IL “CORRIERE” DEL PRESIDENZIALISMO: SERVE UN CAPO DELLO STATO ELETTO DAI CITTADINI – “LA REPUBBLICA” TEME L’UOMO FORTE, ALIAS IL BANANA

Giovanni Belardelli per "Il Corriere della Sera"

Il muro che da decenni ostacola in Italia una riforma in senso semipresidenziale (presidente eletto direttamente dal popolo, sistema elettorale maggioritario a doppio turno) comincia a presentare le prime crepe. A favore del modello francese si sono pronunciati infatti negli ultimi giorni Walter Veltroni, il segretario del Pd, Guglielmo Epifani e - in modo molto deciso - Romano Prodi.

La stessa dichiarazione del premier Letta sull'impossibilità di eleggere il prossimo capo dello Stato con le vecchie regole è stata interpretata come un'implicita apertura in senso semipresidenziale. Un'apertura che è stata ieri commentata positivamente dal segretario del Pdl Alfano.

Forse una parte dell'opinione pubblica ritiene ancora che si tratti di dibattiti astratti, che poco hanno a che fare con le questioni vere che interessano agli italiani. Ma non è così, giacché una democrazia come la nostra, caratterizzata cronicamente da esecutivi deboli, non è in grado di prendere di petto alcuna delle questioni gravi, spesso drammatiche, legate alla crisi economica.

Invece, come ha scritto anche Prodi in un articolo sul Messaggero di giovedì 30 maggio, un accentramento del potere nelle mani di un presidente eletto direttamente rappresenta ormai «l'unica via di salvezza» per un Paese che ha bisogno di prendere quelle decisioni spesso impopolari che i governi basati su coalizioni instabili non sono in grado di assumere.

Proprio sabato scorso il movimento «Scegliamoci la Repubblica» ha presentato un disegno di legge di iniziativa popolare per una riforma di tipo francese. Ma la vera novità è costituita appunto dalle prese di posizione che si sono manifestate a sinistra (il Pdl, come è noto, da sempre si dichiara favorevole a una qualche forma di presidenzialismo).

E questa novità incrina il fronte dei «Giù-le Mani-dalla-Costituzione-Boys, come tempo fa li definì sarcasticamente Angelo Panebianco su queste colonne: un fronte composito - che va da Saviano a Rosy Bindi, da Zagrebelsky a Vendola - ma chiaramente schierato a sinistra e unito nel sostenere che una riforma in senso presidenziale equivarrebbe a stravolgere la Costituzione «più bella del mondo», rappresentando anzi l'anticamera di un regime autoritario.

Giudizio continuamente riproposto, nonostante la sua inconsistenza sia testimoniata dall'esempio francese, ma anche da un ovvio dato storico ricordato da Piero Calamandrei durante i lavori della Costituente, e cioè dal fatto che in Italia la dittatura è nata «non da un regime a tipo presidenziale, ma da un regime a tipo parlamentare».

Ma a indebolire la posizione del fronte contrario a qualunque evoluzione costituzionale in senso presidenziale è anche un'altra circostanza. Al di là dei vantaggi offerti dal modello francese dal punto di vista di una democrazia governante, c'è da tener conto di un dato di fatto, cui ha implicitamente alluso anche il premier Letta: un sistema basato sull'elezione diretta del presidente della Repubblica appare come l'unico ormai proponibile dopo le elezioni presidenziali dell'aprile scorso.

Quel che allora destò sconcerto presso un'ampia parte di opinione pubblica fu in particolare la pratica del voto segreto e, ad essa collegato, il siluramento da parte dei grandi elettori del Pd di due candidati indicati dal loro stesso partito. Questo (voto segreto e candidati ufficiali bruciati) è precisamente quel che si è verificato in gran parte delle elezioni per la prima carica dello Stato dal 1948 in poi.

Ma oggi, ecco la novità, quel sistema fondato sul voto parlamentare risulta poco accettabile da parte di un'opinione pubblica sempre più diffidente verso la mediazione degli apparati di partito; un'opinione pubblica che, abituatasi ad eleggere direttamente il sindaco e il presidente della Regione, vorrebbe fare lo stesso con il capo dello Stato. È a questo orientamento diffuso che intende dar voce anche Matteo Renzi quando parla di eleggere il «sindaco d'Italia».

Come si capisce, una volta che questa esigenza fosse soddisfatta e il presidente della Repubblica venisse dunque eletto direttamente dal popolo, dovrebbe di necessità avere anche dei poteri corrispondenti alla fortissima legittimazione politica in tal modo ricevuta. Realizzando gli auspici espressi nel 1946 da Calamandrei, sarebbe dunque un presidente che non dovrebbe più limitarsi a invitare un ceto politico debole e recalcitrante a fare questo o a non fare quello, ma potrebbe essere egli stesso - in quanto ai vertici dell'esecutivo - il principale artefice dell'azione di governo.

 

 

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