I PM ACCUSANO: “TUTTI VOLEVANO FARSI GRANDI CON LA MORTE DI CUCCHI”

Fulvio Fiano e Redazione Roma Online per Corriere.it

"Tutti volevano farsi grandi con la morte di Cucchi". E' dura l'accusa del pm Vincenzo Barba durante la requisitoria nel processo per il decesso di Stefano Cucchi. Un processo che la pubblica accusa - coprotagonista di aperte polemiche con i familiari del giovane - non ha esitato a definire «mediatico». «Riteniamo inaccettabile e gravemente offensive le dichiarazioni del pm sul conto di Stefano e di tutti noi» ha replicato immediatamente di Ilaria Cucchi, che mostrò alla stampa le foto del corpo martoriato del fratello Stefano, geometra 31enne fermato per possesso di droga il 15 ottobre 2009 e morto una settimana dopo nel reparto protetto dell'ospedale Sandro Pertini. 

LESIONI
La requisitoria dei pm affronta anche il nodo centrale: le violenze subite da Cucchi. «È stato picchiato nelle celle del Tribunale di piazzale Clodio in attesa del processo di convalida perchè pretendeva cure per la sua crisi d'astinenza in cui probabilmente si trovava. Comunque quelle lesioni non ne causarono la morte» dice Barba. E l'altro pubblico ministero, Maria Francesca Loy aggiunge: «Le lesioni che aveva Stefano non sono neanche una concausa della sua morte ma hanno valenza occasionale. Cucchi - ha sottolineato il pm - è morto perchè non è stato alimentato, non è stato curato, rifiutava di cibarsi e nessuno dei medici si è preoccupato di farlo nutrire».

MORTO DI FAME E DI SETE
Per il pubblico ministero Loy, Cucchi «è morto di fame e di sete». La magrezza del 31enne viene paragonata a quella «dei prigionieri di Auschwitz». «Tutti noi possiamo immaginare le conseguenze di uso di droghe su un corpo umano per vent'anni. Assumeva ogni tipo di sostanza stupefacente, soffriva inoltre di crisi epilettiche dall'età di 18 anni. Dal 2001 al 2009 ha compiuto ben 17 accessi al pronto soccorso dell'ospedale Vannini, una media di due all'anno».

LE RESPONSABILITA' DEI MEDICI
Secondo il pm, quello dei medici «non è stato un comportamento colposo, ma chiari indici di indifferenza nei confronti del paziente». «Il dolo è configurabile in tutte le manifestazioni. Non stiamo dicendo che i medici e gli infermieri hanno voluto far morire Cucchi, ma davanti al rifiuto di un paziente maleducato, cafone e scorbutico, hanno accettato il rischio che potesse morire» spiega Loy. «Non c'è dubbio che nei comportamenti dei sanitari ci siano profili di imperizia. La condotta dei medici ha determinato la morte di Cucchi», anche se «non stiamo parlando di un giovane sano», ha concluso.

PROCESSO MEDIATICO
Forti della super perizia chiesta dal tribunale e che - attribuendo il decesso alle mancate cure - dà loro sostanzialmente ragione sulla scelta di non contestare il reato di omicidio per le percosse subite dal 31enne dopo l'arresto, i pm hanno aperto la loro requisitoria accusando chi, a loro avviso, ha voluto speculare fin dall'inizio sulla vicenda: «Tutti volevano farsi grandi con la morte di Cucchi», ha detto Barba. Un processo che la pubblica accusa - coprotagonista di aperte polemiche con i familiari del giovane - non ha esitato a definire «mediatico». «I mass media - ha sostenuto ancora il pm - hanno influenzato l'opinione pubblica. C'è chi ha voluto dare una rappresentazione della realtà diversa da quella emersa dal processo».

DICHIARAZIONI INACCETTABILI
«Riteniamo inaccettabile e gravemente offensive le dichiarazioni del pm Barba sul conto di Stefano e di tutti noi - commenta la sorella Ilaria Cucchi - Continuo chiedermi chi sono gli imputati nel processo per la morte di mio fratello. Affermare, o peggio alludere al fatto che noi non avessimo riferito ai carabinieri, durante la perquisizione in casa nostra, che Stefano avesse anche un'altra casa a Morena per nascondere la droga, da noi stessi poi ritrovata e denunciata, è un comportamento intollerabile oltre che incomprensibile. Tra l'altro nessuna indagine è stata fatta su chi l'abbia data a Stefano. I pm nella loro ansia accusatoria dimenticano che mio padre aveva regolarmente denunciato alla Questura la presenza di Stefano in quella casa».

PROTEZIONE DEI TESTIMONI
Secondo i pm, il processo mediatico ha reso per esempio reso difficile proteggere uno dei testimoni chiave, l'immigrato del Gambia, Samura Yaya, che la mattina del 16 ottobre del 2009 si trovava nella cella adiacente a quella di Cucchi nei sotterranei del tribunale di Roma. «Abbiamo dovuto fare una lotta impari per difendere la nostra fonte di prova da un attacco politico e giornalistico», ha detto ancora il magistrato-

Andando poi nel merito della vicenda, l'accusa si è soffermata a su un punto in particolare: «Il giorno del suo arresto dopo la convalida in tribunale ed il pestaggio, arriva la decisione di portarlo dal carcere all'ospedale Fatebenefratelli. Ma dalle 16.35 alle 19.50 lui resterà in una panchina, senza assistenza perché sono stati posti tutti i possibili ostacoli per impedire, rallentare. E tutto questo tempo per percorrere dieci minuti al massimo di strada, tra il Fatebenefratelli e Regina Coeli». Un atteggiamento che ha secondo i pm una motivazione ben precisa: «La necessità di evitare che occhi estranei vedessero. Per celare una situazione di precarietà».

RICHIESTE
I due magistrati lunedì pomeriggio formuleranno le richieste davanti alla III Corte d'Assise, presieduta da Evelina Canale, nell'aula bunker di Rebibbbia. Dodici gli imputati tra infermieri, medici e agenti di polizia penitenziaria. In particolare le guardie Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici sono imputati di lesioni personali aggravate. I medici Aldo Fierro, Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi Preite de Marchis e Silvia Di Carlo, insieme con gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe rispondono di abbandono di persona incapace. Un altro medico Rosita Caponetti, dirigente del Pertini, è accusata di falso e abuso d'ufficio.

 

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