DOBBIAMO COMINCIARE A IMPARARE IL CINESE?

Federica Bianchi per "l'Espresso"

Dopo un secolo e mezzo senza sogni, la Cina è pronta ad avere il suo. Ad annunciarlo è stato il nuovo leader Xi Jinping che ne ha voluto fare il motto dei suoi dieci anni di governo. E se il sogno di un'America anni Cinquanta in rapida ascesa era offrire a ogni cittadino uguali opportunità per avere successo ed essere felice, quello cinese è un sogno collettivo. Imposto dall'alto e valido per tutti.

La parola chiave è «fuxing», rinascita. La Cina vuole riconquistare il suo legittimo posto nel mondo «usurpato» dalle potenze coloniali all'inizio del Novecento e guidare i popoli verso un futuro di pace. Quale sia il «legittimo» posto che la Cina ha intenzione di riconquistare non è chiaro.

Adesso Pechino si reputa più forte, sente di non avere tanto bisogno dell'Occidente e non si fa scrupoli nell'affermare che dall'America vuole essere trattata come potenza di pari rango. Almeno per il momento. Perché se la prossima tappa della sua ascesa è garantire un benessere diffuso alla popolazione entro il 2020, ha già stabilito che nel 2049, non a caso il centesimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese, sottrarrà agli Stati Uniti, considerati una potenza in declino, il trono di primo Paese del mondo tanto economicamente quanto militarmente.

I forti legami con l'esercito sono parte del motivo per cui Xi è salito al potere e il concorrente Bo Xilai è stato fatto fuori. E proprio dall'esercito Xi vuole partire per garantire un sostegno duraturo al suo regime sia all'interno che all'esterno del Paese.

Tra coloro che possono dire «ve l'avevo detto» c'è il colonnello Liu Mingfu dell'Esercito di liberazione popolare. Tre anni fa aveva scritto un libro dal titolo "Il sogno cinese" in cui sosteneva che la Cina avrebbe dovuto puntare a sorpassare gli Usa come potenza militare e prediceva una lunga e faticosa battaglia tra i due Stati per il dominio globale.

Battaglia che la Cina avrebbe infine vinto. Allora il libro fu ritirato in fretta dagli scaffali da uno Hu preoccupato di danneggiare le relazioni con gli Stati Uniti. Oggi vi ha fatto ritorno. Il via libera è stato dato all'indomani del discorso di Xi a bordo dell'Haikou, un sottomarino anti-missili che ha recentemente ispezionato le acque del Mare della Cina meridionale su cui più nazioni rivendicano la propria sovranità.

«Questo sogno è il sogno di una nazione forte. E per l'esercito è il sogno di un esercito forte», Xi aveva detto ai soldati: «Per raggiungere la grande rinascita della nazione cinese dobbiamo assicurare che ci sia unità di intenti tra una nazione prospera e il suo esercito». Xi, a differenza dei due predecessori, nei suoi primi cento giorni in carica ha anche visitato basi militari e programmi spaziali e si è messo al timone della gestione della disputa territoriale con il Giappone sulle isole Senkaku nel mare della Cina meridionale.

Quella con il Giappone è solo la più fragorosa di una serie di dispute territoriali che la Cina ha in corso con i Paesi confinanti nel tentativo di riappropriarsi dei territori che sostiene di avere avuto sotto il proprio controllo nel momento di massima espansione. Reclamando quello che ritiene suolo cinese, Pechino intende mandare un chiaro segnale: è la Cina la potenza dominante in Asia. Non il Giappone. Non la Russia. E tantomeno gli Usa.

Il rischio di tanto protagonismo in questa seconda, politicamente intensa, fase di ascesa da nazione in via di sviluppo a leader mondiale è però quello di non andare d'accordo con nessuno. E il rimanere senza alleati è un lusso che nemmeno una superpotenza può permettersi. Il Giappone, l'India e la Corea del Sud sono solidi alleati statunitensi, infastiditi dal crescente potere cinese. E se il Pakistan si è avvicinato alla Cina è soprattutto perché quest'ultima gli fornisce oltre il 50 per cento delle armi con l'obiettivo dichiarato di tenere sotto pressione l'India, sua rivale storica e concorrente diretta della Cina.

Un rapporto migliore è quello che Pechino ha con la Russia, se non altro perché condividono la stesso regime oligarchico e perché Mosca può diventare la fornitrice principale di energia oltre che di armi. Ma a dispetto delle apparenze, i rapporti sino-russi sono storicamente basati sulla sfiducia e sulla rivalità geopolitica.

La Russia non vede di buon occhio l'ascesa a superpotenza della Cina. Per contrastarla non manca occasione di sostenere militarmente il Vietnam, spina nel fianco cinese: la recente vendita di sei sottomarini altamente tecnologici e 12 jet da combattimento mette in pericolo la ricerca di dominio cinese sulle vie commerciali nel mare meridionale.

Fino a oggi l'unico vero alleato, anche se in posizione di vassallo, è stata la Corea del Nord che dalla Cina dipende per la totalità dei suoi approvvigionamenti energetici e per oltre l'80 per cento di ogni altro tipo di prodotto. Ma il rifiuto di Pyongyang di mettere in atto una qualche tiepida riforma economica con cui migliorare le condizioni di vita dei cittadini e l'aggressiva politica estera del giovane leader Kim Jong Un, che ha recentemente dichiarato nullo l'armistizio con la Corea del Sud e ha detto di tenere nel mirino le basi americane in Giappone, sta mettendo in pericolo il delicato equilibrio della diplomazia cinese.

Pechino non può permettere che un'eventuale escalation armata tra Usa e Corea del Nord porti a un'entrata in massa di profughi nordcoreani nei suoi territori del nord o addirittura a una riunificazione delle due Coree, evento che equivarrebbe a ritrovarsi basi militari americane lungo i suoi confini.

Se per Pechino la diplomazia non è facile in Asia, è ancora più complicata altrove. Il volume delle esportazioni in Africa ha oggi raggiunto i 100 miliardi di euro, oltre 20 volte quello di dieci anni fa. Molti Stati africani per quasi un decennio hanno considerato la Cina non solo come un'alternativa commerciale agli ex Paesi coloniali ma addirittura un alleato: ora cominciano a trattarla con diffidenza.

«I giorni del movimento dei Paesi non allineati che ci ha unito dopo il colonialismo sono finiti», ha scritto il governatore della Banca centrale della Nigeria Lamido Sanusi in un recente articolo sul "Financial Times".«La Cina non è più un'economia sottosviluppata come la nostra ma è la seconda principale economia del mondo, capace delle stesse forme di sfruttamento dell'Occidente. Un contribuente significativo alla deindustrializzazione e sottosviluppo dell'Africa». La stampa cinese ha immediatamente spiegato che "il sogno cinese" non ha solo a che fare con la rinascita della Cina ma anche con la prosperità del resto del mondo.

Prima di convincere africani, europei o americani, Xi e i suoi oligarchi dovrebbero però convincere i loro stessi concittadini. E sono ben lontani dal riuscirci. Come ha scritto un utente su Weibo, il Twitter cinese, «La Cina appartiene ai cittadini. Solo quando avranno libertà di parola, elezioni e uguali diritti saranno interessati al ruolo della nazione nel mondo».

 

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