IL DOLLARO COME ARMA - OBAMA E BERNANKE TENGONO IL VERDONE ARTIFICIALMENTE BASSO, PER FAVORIRE LE ESPORTAZIONI USA E CONTRASTARE QUELLE CINESI E COREANE - COSÌ FACENDO, SCHIANTANO PURE IL COMMERCIO EUROPEO - CON LE SANZIONI E IL DOLLARO, USA E ISRAELE VOGLIONO STROZZARE TEHERAN PER STIMOLARE PROTESTE ‘STILE CAIRO’ E CACCIARE AHMADINEJAD, PER LA GIOIA DEI SAUDITI…

1- OBAMA IRRITA LA CINA E L'ALLEATO COREANO "TIENE IL DOLLARO DEBOLE, UN COLPO BASSO"

Federico Rampini per "la Repubblica"

Parlando qui al "Council on Foreign Relations" giovedì Mario Monti ha evocato la «singolare forza dell'euro». Altri sono meno garbati e più espliciti. Dalla Cina alla Corea del Sud arrivano pesanti accuse contro gli Stati Uniti: sono loro che spingono il dollaro al ribasso, in una spregiudicata svalutazione competitiva. Un modo classico per uscire dalla crisi aiutandosi con una moneta debole: a scapito degli altri.

Il premier italiano, interrogato sulla crisi dell'eurozona davanti alla platea newyorchese (un mix di establishment politico, industriale, finanziario), aveva osservato: per quanto si parli di debolezza europea, la moneta unica resta a quota 1,30 sul dollaro. Poco dopo la sua nascita 12 anni fa, ha ricordato sempre Monti, in tempi meno turbolenti l'euro aveva toccato la parità uno a uno. Non ha esplicitato il seguito, ma è facile intuirlo: se oggi l'euro potesse scendere fino a quei livelli, sarebbe un bell'aiuto per le esportazioni italiane, francesi. Che cosa lo impedisce?

Monti ha evitato di puntare il dito contro qualcuno. Lo fanno invece due potenze asiatiche. I banchieri centrali di Cina e Corea del Sud, riuniti in un vertice bilaterale a Pechino, non hanno dubbi. Da quel vertice hanno pronunciato una dura requisitoria contro Washington. Secondo loro è tutta colpa della Federal Reserve, la banca centrale americana, se il dollaro torna a perdere quota rispetto alle loro monete.

Lanciando una terza fase di "quantitative easing", massicci acquisti di titoli pubblici e obbligazioni fondiarie, il presidente della Fed Ben Bernanke ha annunciato che immetterà oltre 40 miliardi di dollari sul mercato ogni mese (in realtà la dimensione di questi interventi è pari al doppio, 80 miliardi). Senza limiti temporali. Questa politica andrà avanti a oltranza, finché non c'è una ripresa dell'economia americana con effetti sostanziali sull'occupazione.

Bernanke non ha mai detto che questa politica punta a indebolire il dollaro. La sua giustificazione è un'altra: immettendo liquidità sul mercato a tempo indeterminato vuole schiacciare sempre più in basso il costo del denaro, per aiutare le famiglie indebitate, facilitare il rimborso dei mutui casa. Beninteso, se c'è l'effetto collaterale di svalutare il dollaro, anche questo aiuta: guarda caso, il deficit commerciale degli Stati Uniti si è ridotto, e i sintomi di "re-industrializzazione" americana sono legati anche alla ritrovata competitività dei prezzi del made in Usa.

Tra "quantitative easing" e svalutazione competitiva, il collegamento avviene in molti modi, anche tecnicamente complessi. Ma alla base c'è una regola semplice e ferrea dell'economia di mercato: quella della domanda e dell'offerta. Se aumenta la quantità di moneta offerta, in linea di massima il valore di questa moneta scende.

I cinesi lo avvertono, a loro spese. Venerdì il renminbi o yuan, la valuta della Repubblica Popolare, a quota 6,285 sul dollaro ha toccato il massimo storico della sua storia contemporanea (cioè dal 1994 anno in cui cominciò ad essere parzialmente convertibile). Questa forza dello yuan sul dollaro arriva in una fase delicata. La crescita del Pil cinese rallenta, frenata da un calo delle esportazioni, proprio mentre a Pechino sta per avvenire una delicata successione politica ai vertici. Da questa parte del Pacifico si moltiplicano i segnali di tensioni protezioniste: Obama di recente ha vietato un investimento cinese nell'energia eolica per motivi strategici; il suo rivale Mitt Romney dice che se vincerà le elezioni denuncerà la Cina come «manipolatrice della sua moneta» dando la stura a un ampio ventaglio di ritorsioni commerciali.

E' singolare l'allineamento su Pechino della Corea del Sud, storico alleato degli Stati Uniti al quale Obama ha sempre dedicato molti riguardi (ha visitato tre volte in tre anni Seul). Il banchiere centrale coreano si è detto d'accordo con il suo omologo cinese sul fatto che «occorre minimizzare gli effetti negativi delle politiche monetarie delle nazioni avanzate», una chiara allusione alla Fed. Sia Cina che Corea del Sud temono, oltre alla perdita di competitività del proprio export, anche un ritorno di tensioni inflazionistiche sulle materie prime, sempre per effetto dell'"ingorgo di liquidità" che la Fed sta alimentando.

Da metà luglio, il Wall Street Journal Dollar Index, che misura il valore della moneta Usa rispetto a un paniere di tutte le altre valute mondiali, dà un deprezzamento del 3,5% del dollaro. E la terza fase del "quantitative easing" è cominciata solo due settimane fa, gli effetti hanno appena iniziato a manifestarsi. Gli asiatici tornano ad accarezzare progetti per rendersi meno dipendenti dal dollaro, e questi sono stati al centro dell'incontro sinocoreano a Pechino.

Anche il peso del dollaro nelle riserve ufficiali delle banche centrali sta calando, nel mondo intero. Ma Washington in questa fase ha delle priorità chiare: lo status mondiale, la solidità e il prestigio del dollaro passano in subordine. Se un dollaro debole aiuta l'export made in Usa, la Casa Bianca ha una ragione in più di rallegrarsi per quel che sta facendo la Fed.


2- IRAN: IL RIAL CROLLA, ISRAELE SPERA IN RIVOLTA POPOLARE
Rodolfo Calo' per l'ANSA

Il valore del Rial, la valuta iraniana, e' sceso sotto una soglia senza precedenti per effetto, seppur indiretto, delle sanzioni internazionali contro il programma nucleare di Teheran sospettato di nascondere una dimensione militare puntando alla bomba atomica. Le prevedibili ripercussioni negative sul potere di acquisto degli iraniani coincidono con le speranze israeliane che la situazione economica faccia crollare la repubblica islamica, rendendo inutile l'evocato intervento militare contro i suoi impianti atomici.

Dopo una salita altalenante durata mesi, la valuta iraniana oggi si e' deprezzata di un altro 8% in un sol giorno oltrepassando la soglia psicologica dei ''30 mila'': negli uffici di cambio aperti al pubblico, stamattina servivano fino a 30.890 Rial per comprare un dollaro, con una variazione del 40% in confronto all'inizio del mese e del 130% rispetto all'autunno scorso, quando stavano per essere varate le piu' recenti sanzioni petrolifere e finanziarie da parte di Usa e Unione europa messe in campo fra gennaio e luglio.

Anche se non tutti gli esperti concordano, il nesso tra il deprezzamento del Rial e le sanzioni e' stato in sostanza ammesso dallo stesso presidente della Banca centrale iraniana, Mahmud Bahman, quando questo mese ha parlato di un Iran in ''guerra economica con il mondo''. Ieri un deputato, Ali Motahari', ha esplicitato il meccanismo attraverso il quale il governo starebbe limitando l'immissione di valuta straniera nel mercato dei cambi per alzare il valore del dollaro e di conseguenza delle proprie riserve per cercare di ripianare il deficit di bilancio creato dalla riforma dei sussidi di poverta'.

La mancata distribuzione di dollari sul mercato libero, denunciata fra gli altri anche dal presidente della Commissione bilancio del parlamento, Gholam Reza Mesbahi-Moghadam, secondo Motahari' e' scattata quando sono diminuiti i proventi della vendita di petrolio (un dato dell'Agenzia internazionale per l'Energia relativo ad agosto e citato anche da media iraniani attesta un export di soli 1,1 milioni di barili al giorno, meno della meta' della media di 2,4 milioni dell'anno scorso).

Un deputato esperto in economia ha confermato di recente che il deprezzamento del Rial "si ripercuoter... sui prezzi di molti beni". Un'ovvia previsione che si inserisce in un quadro fatto di inflazione annua a due cifre alimentata fra l'altro dal prezzo della benzina aumentato di otto volte in quattro anni, nuovi oneri come un'inedita tassa sui rifiuti appena imposta a Teheran, eliminazione dei prezzi calmierati su beni essenziali come riso ed elettricita'.

In linea con il senso di passate dichiarazioni anche della Guida Suprema Ali Khamenei, il ministro dell'Economia Seyed Shamseddin Hosseini ha detto oggi che le sanzioni puntano ad abbassare il livello di vita degli iraniani e a creare malcontento, riferisce l'agenzia Fars. E davanti al parlamento, a Teheran, e' possibile vedere spesso piccole manifestazioni per rivendicazioni salariali.

Ed e' anche su questo sfondo che il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha potuto sostenere che le sanzioni economiche internazionali stanno producendo nell'economia del paese un effetto "catastrofico" in grado di fomentare ''dimostrazioni contro il regime'' peggiori di quelle del 2009 e innescare una sua caduta con una ''rivoluzione Tahrir'' all'iraniana.

 

BARACK OBAMA OBAMA E BERNANKE MARIO DRAGHIben bernanke-mario draghi-tim geithner AHMADINEJAD Teheran testa un missile a lungo raggioEURO DOLLARO WEN Jiabao

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