DOPO-BERSANI, UN NUOVO CORRENTONE CHE VA DA RENZI A D'ALEMA, DA VELTRONI A LETTA, TENUTO INSIEME DALLA LEADERSHIP DEL FIORENTINO?

Marco Damilano per "L'Espresso"

Sul Quirinale, come avveniva ai tempi della Dc, il Pd ha svolto il suo congresso. Fazioni in rivolta, big in caduta libera. E il Cannibale Matteo Renzi scatenato: ha divorato almeno un paio di candidati e ha giocato la partita da protagonista, nonostante l'improvvida scelta del partito di escluderlo dai mille grandi elettori.

«Sbagliato: quando giochi le amichevoli metti in campo le riserve, nella partita della vita devi schierare i campioni», spiegava alla vigilia delle votazioni per il presidente della Repubblica il deputato del Pd Daniele Marantelli, bersaniano inquieto, uno che se ne intende, tra i pilastri della Nazionale parlamentari.

Terminato il big match per il Quirinale, lo Squadrone Bersani è destinato a ritrovarsi con uno spogliatoio dilaniato, una formazione divisa tra moduli di gioco opposti, un capitano contestato. Il conclave di Montecitorio e l'infinito prolungarsi della crisi di governo sospesa da cinquanta giorni consegnano un Pd sempre meno unito e sempre più federazione di sotto-partiti, una specie di proiezione casalinga dell'attuale Unione europea in cui ciascun Stato o staterello pensa ai propri interessi.

Il gruppone del segretario, egemone fino a tre settimane fa, si è assottigliato paurosamente. All'iniziativa pubblica della settimana scorsa, la manifestazione contro la povertà convocata nel quartiere romano di Corviale, attorno a Bersani c'era solo la guardia scelta, lo storico Miguel Gotor, neo-senatore e consigliere del leader, il giovane capogruppo alla Camera Roberto Speranza più il giovane turco tendenza Pier Luigi Stefano Fassina.

In sofferenza acuta il resto del partito per la chiusura del segretario che non ascolta e non parla con nessuno, se non con il clan degli emiliani. Nei gruppi parlamentari c'è malumore per i bersaniani piazzati nei posti-chiave: la vice-presidente del Senato Valeria Fedeli, appena eletta e catapultata sulla carica più alta di Palazzo Madama dopo
il presidente Piero Grasso, con la sponsorizzazione dell'uomo macchina di Largo del Nazareno Maurizio Migliavacca, o il tesoriere del gruppo Carlo Pegorer.

I giovani turchi di Andrea Orlando e Matteo Orfini corteggiano il ministro Fabrizio Barca, ma tentano anche l'accordo con Renzi. Il sindaco di Firenze ha conquistato posizioni e uscirà rafforzato dalla battaglia sul Quirinale. Massimo D'Alema, mossa chiave della partita, è andato a Palazzo Vecchio per stringere la pace con il rottamatore
(e chiedere un appoggio per il Colle).

Walter Veltroni lo ha invitato a casa, un incontro riservato e familiare per chiudere con le antiche incomprensioni. Gli ex popolari, nonostante il siluro contro Franco Marini, hanno mollato Bersani e vedono nel sindaco il futuro condottiero. E anche Enrico Letta, nel momento più violento dello scontro, ha comunque precisato che «Matteo è una risorsa».

Dallo scontro sul Quirinale, il congresso anticipato del Pd, potrebbe nascere un nuovo Correntone che va da Renzi a D'Alema a Veltroni a Letta, tenuto insieme dalla leadership del sindaco e dal recupero dell'identità originaria del Pd: la vocazione maggioritaria formato Lingotto veltroniano, profilo liberal per attrarre i reduci di Scelta Civica ormai abbandonati da Mario Monti al loro destino, tendenzialmente presidenzialista. Una geografia di equilibri interni totalmente riscritta rispetto agli ultimi anni e alle primarie in cui Renzi era isolato nel gruppo dirigente.

Il ritorno del Pd all'americana e obamiano, un modello opposto a quello costruito negli ultimi tre anni dalla segreteria Bersani, il partito socialdemocratico con qualche nostalgia togliattiana. Ma anche Renzi il Cannibale, nonostante la giovane età, deve fare i conti con il fattore T: il tempo. La sua è una guerra-lampo: se non la vince subito, s'impaluda in trincea.

 

 

PIERLUIGI BERSANI PIERLUIGI BERSANI CON LA BANDIERA DEL PD matteo renzi WALTER VELTRONI Massimo DalemaEnrico Letta MATTEO ORFINI

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