DEMOCRAZIA ALLA TURCA - ERDOGAN VA ALLA “GUERRA DELLE PIAZZE” – I MANIFESTANTI: “VUOLE UN GOLPE, LO FERMEREMO”

1-ERDOGAN SFIDA LA PIAZZA: "ORA BASTA"
M.Ott. per "La Stampa"

Sembra la quiete prima della tempesta. Ieri pomeriggio migliaia di persone si sono ritrovate a Piazza Taksim, nel centro di Istanbul, e nella capitale Ankara per manifestare contro il governo islamico-moderato.

L'occupazione di Gezi Parki, l'area verde da cui è nata l'ondata di protesta che si è trasformata in rivolta contro l'esecutivo, dura da più di una settimana. E ieri il premier Recep Tayyip Erdogan ha lanciato un messaggio: «La pazienza del suo governo ha dei limiti. Siamo pazienti, rimarremo pazienti, ma la nostra pazienza ha dei limiti».

Il premier ha fretta di mostrare che il popolo è dalla sua parte. Ieri ha parlato dell'occupazione di Gezi Parki in ben quattro discorsi diversi, tornando a paragonare le migliaia di manifestanti che stanno occupando il centro di Istanbul pacificamente a «sciacalli che bruciano e distruggono» e accusando la stampa straniera di riportare una versione distorta dei fatti.

Il prossimo fine settimana si terranno due manifestazioni una ad Ankara e l'altra a Istanbul. La folla sarà oceanica, anche grazie all'efficace organizzazione dell'Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo fondato dal premier.

La giornata si era aperta all'insegna del cauto ottimismo per via di alcuni messaggi che il prefetto della città, Avni Mutlu, aveva lasciato su Twitter, che si conferma ancora una volta il protagonista di questa rivolta. «So che siete sereni sotto gli alberi, vorrei essere lì con voi» ha scritto il prefetto in netta contrapposizione con le posizioni dell'esecutivo.

Piazza Taksim continua a riempirsi ma naviga a vista, in attesa di capire che cosa succederà nei prossimi giorni. Il campeggio degli studenti ormai non si limita solo più a Gezi Parki, ma si è esteso a tutta la zona circostante, protetto dai ragazzi delle tifoserie di Galatasaray, Fenerbahce e Besiktas, che sono parte integrante del servizio d'ordine. Il motto è uno solo «Tayyip (Erdogan, ndr) istifa», Erdogan dimettiti.

L'aria è quella di chi aspetta il compiersi degli eventi. Sabato notte sono andati in scena violenti scontri nel centro di Ankara. Ma la partita simbolica si gioca a piazza Taksim. I giovani hanno rafforzato tutte le barricate e sperano in una mediazione, altrimenti sarà lotta. Erdogan, almeno apparentemente, sembra essere intenzionato ad andare dritto per la sua strada e adesso la domanda è se prenderà la piazza con la forza o per stanchezza.

2. NELLA PERIFERIA SCIITA DI ISTANBUL: "VUOLE UN GOLPE, LO FERMEREMO"
Marta Ottaviani per "La Stampa"

Chi chiede un taxi per Gazi Mahallesi, nel distretto di Gaziosmapasha, estrema periferia nord di Istanbul, nella migliore delle ipotesi viene guardato con meraviglia. Nella peggiore rimane in mezzo a una strada, ad aspettare che si accosti un'altra macchina. Non ci sono buoni motivi per venire qui in questa parte dimenticata della città, dove il tessuto urbano diventa meno regolare e dove i nomi delle vie cedono il passo ai numeri, come se quelle case dalle facciate scrostate non meritino nemmeno un'identità.

Qui da tre sere avvengono gli scontri più violenti da quando è iniziata la protesta di Gezi Parki, partita dalla salvaguardia di un'area verde ma ben presto sfociata in un no a più voci contro la deriva autoritaria dell'esecutivo islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan. Nella notte fra venerdì e sabato ha perso la vita un ragazzino di 13 anni, che stava prendendo parte agli scontri fra gli abitanti del quartiere e la polizia. Una repressione pressoché ignorata dalla stampa locale.

Pochi lo sanno ma il Gazi Mahallesi è diventato una specie di succursale della protesta e per un motivo per ben preciso. Qui, dagli Anni Settanta, si radunano tutte le anime che stando dando vita alla piazza di Gezi Parki.

Ci sono soprattutto gli aleviti (o alawiti), setta di derivazione sciita, che pratica un Islam più moderato di quello ufficiale sunnita e che, dopo essere stati perseguitati durante l'impero ottomano, sono più vicino all'opposizione laica e kemalista e guardano Erdogan con sospetto.

Ma, fra le vie di Gazi Mahallesi, si incontrano quei movimenti che la Turchia pensava spariti, dimenticati, nella migliore delle ipotesi ridotti a espressione di puro folklore, che hanno giocato un ruolo importante nelle tensioni con i militari negli Anni Settanta e che adesso sono fra le voci più potenti della protesta: comunisti, maoisti, gruppi legati ai curdi, movimenti popolari anti-imperialisti.

Sigle che, a chi non conosce bene la Turchia, non dicono molto, ma che nel 1971, con la loro contrapposizione violenta ai movimenti della destra radicale, in primo luogo i Lupi Grigi, portarono al golpe. Rivendicano una presenza politica che gli è stata negata per anni. L'incognita è se Erdogan segnerà una differenza con la gestione del passato o si comporterà nello stesso modo dei militari.

Murat, 28 anni, alevita gestisce un piccolo chiosco vicino alla stazione della polizia, epicentro degli scontri. «La vera rivoluzione la stiamo facendo qui - dice convinto alla Stampa -. Viviamo nel quartiere da anni, il malcontento nei confronti di Erdogan lo abbiamo visto crescere di giorno in giorno. C'è tutta una Turchia che è stata zitta per decenni e che adesso chiede di essere ascoltata. Non l'ho mai votato, ma non è uno stupido, sono certo che lo capirà».

È l'unico ottimista. Al chiosco, già parlano delle rivolte nelle prossime sere. «Siamo pronti ad andare avanti a oltranza - dice convinto Hakan, che di anni ne ha 30 a che fa parte del Mkp, il partito Maoista, che ha per slogan "avanti nella guerra del popolo" -. Lotteremo fino alle dimissioni. Nessuna forza politica turca si è accorta che il Paese è cambiato e che chiede più democrazia, vera, questa volta, basta i soliti partiti in Parlamento tutelati dallo sbarramento al 10%. Non ci fermerà niente, neanche la censura. Qui i giornalisti non ci vengono, non siamo abbastanza in centro. Un ragazzino di 13 anni ha perso la vita lei lo ha letto sui giornali?».

C'è quasi tutto il quartiere, con loro. Le scorse sere sono scesi in strada in 15 mila. I bambini durante il giorno corrono nei cortili e per le strade dissestate, in questo angolo remoto di Istanbul dove la crescita economica si vede solo dalle parabole alle finestre. Non giocano a pallone, raccolgono sassi, bottiglie di vetro, mattoni, tutto quanto sia contundente e possa servire contro la polizia. «Vinceremo noi» sorridono tranquilli, mentre cercano di barattare un gelato con una piastrella «simbolo della rivolta».

Ma il timore è che le contrapposizioni si esasperino. «Gli aleviti sono delle bestie, vivono nelle loro case come animali e il Paese sta diventando ingestibile» dice un passante. Erdogan deve scegliere se dare voce a quella Turchia che torna dal passato.

 

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