tina anselmi

FACCI E IL CONTRO-COCCODRILLO DI TINA ANSELMI: “ERA OSTILE ALLA FEMMINILITÀ CHE PER RIPICCA L’HA ABBANDONATA ANZITEMPO; SCIALBA NEL VESTIRE, BRUTTARELLA DA LASCIAR CREDERE CHE DEI MERITI DOVESSE AVERLI PER FORZA. MORALISTOIDE, IMPASTATA DI RETORICA PARTIGIANO-SINDACALISTA. ERA UN SANTINO DA PARABREZZA NELL'ITALIETTA DA STRAPAESE”

massimo teodorimassimo teodori

1 - MASSIMO TEODORI: «ESTRANEA AI GIOCHI DI POTERE, MA SALVÒ I PARTITI»

Al.T. per il Corriere della Sera

 

Massimo Teodori fu il relatore di minoranza della Commissione P2 per conto dei Radicali. Il suo rapporto con Tina Anselmi fu conflittuale.

 

Che confronto ebbe con lei?

«All'inizio ottimo. Ma a poco a poco divenni più agguerrito».

 

Anselmi si comportò da donna coraggiosa: fu minacciata e isolata.

«Era una persona proba, estranea a certi giochi: ma io penso che fu messa lì per quello dai partiti e pienamente sostenuta».

 

TINA ANSELMITINA ANSELMI

Perché?

«Fu incaricata per volere della sinistra Dc, immersa fino al collo nella vicenda, d'intesa con il Pci, che voleva tornare al compromesso storico. Il loro punto di riferimento era Giulio Andreotti, che però aleggiava in ogni carta delle P2. La sua tesi fu funzionale a salvare i partiti. Lei sosteneva che l'obiettivo di Licio Gelli fosse un colpo di Stato contro i partiti, guidato dagli americani, che fin dallo sbarco in Sicilia avevano ricostituito la massoneria».

 

La sua tesi, invece?

«Che fosse un'agenzia al servizio dei partiti, usata per accrescerne il potere».

 

2 - MORTA LA ANSELMI LA MINISTRO-DONNA DA DIMENTICARE

Filippo Facci per “Libero Quotidiano”

 

filippo faccifilippo facci

Tina Anselmi - spiegato a un ragazzino o a un bamboccione - era la Rosy Bindi della Prima Repubblica, con tutte le fondamentali differenze che spesso ci fanno rimpiangere la Prima e guardare con sufficienza la Seconda. Entrambe, la Anselmi e la Bindi, hanno avuto dei ruoli non per le caratteristiche che avevano ma per quelle che mancavano: per quella medietà grigia e contegnosa, cioè, che in Italia lascia passare indisturbati mentre gli altri si azzuffano e si dividono.

 

Poi, nel ping pong bipolare, ogni tanto sono finite anche loro, ma sempre facendo più che altro un gran fumo. Comunque: entrambe venete, entrambe democristiane, entrambe ostili a una femminilità che per ripicca le ha abbandonate anzitempo; entrambe un po' suocere e un po' perpetue del prete, scialbe soprattutto nel vestire, abbastanza bruttarelle da lasciar credere che dei meriti dovessero averli per forza: insomma il contrario di oggi, costretti come siamo a guardare con sospetto delle signore magari bravissime ma che hanno l'handicap di essere belle e agghindate da strafighe.

TINA  ANSELMITINA ANSELMI

 

Entrambe, poi, sono state ministre (la Anselmi è stata la prima della storia d'Italia) ed entrambe, quando sulla difensiva, sono parse intrise di un'arroganza legnosa che ha rappresentato un loro limite. Naturalmente, nella più seriosa Prima Repubblica, una Tina Anselmi doveva avere un curriculum ben più solido di una qualsiasi Bindi. Non era fragile neppure fisicamente, essendo stata un ex campionessa di giavellotto e pallacanestro perlomeno a livello regionale, questo in un periodo in cui non solo la politica era un'attività prevalentemente maschile.

 

Ragazzona provinciale, staffetta partigiana col nome di Gabriella, figlia di un aiuto-farmacista, socialista, anzi comunista, anzi cattocomunista, anzi democristiana, quindi insegnante, sindacalista, deputata nel 1968, infine primo ministro donna in 115 anni di storia (al ministero del Lavoro, nel 1976) peraltro su nomina di Giulio Andreotti. Un archetipo: matriarcale e concreta, dispersiva e consociativa, identitaria e casalinga, rassicurante e furba, moralistoide e icona dell’Anpi, impastata di retorica partigiano-sindacalista con parlata stampata a memoria.

 

TINA ANSELMITINA ANSELMI

Nell'insieme, perfetta. Un santino da parabrezza nell'Italietta da strapaese: «La ventata di leggerezza che nella mia infanzia ha spazzato tante volte via la malinconia - ha scritto di sè - mi accompagnerà fino alla fine, e avrà sempre per me l'odore del cocomero di nonna Maria e del panetto con l'uva di nonno Ferruccio».

 

TINA   ANSELMITINA ANSELMI

Ora è chiaro che un personaggio così, al di là dei coccodrilli preparati da tempo, diventa l'ideale per registrare anche degli epitaffi ben differenziati. Uno riguarda il periodo in cui guidò la Commissione parlamentare di inchiesta sulla P2 (ottobre 1981-maggio 1984) che in pratica si tradusse in una sfilata ininterrotta di ministri, generali, ambasciatori, segretari di partito, direttori di giornale, banchieri e magistrati: l'ex insegnante Anselmi ritrovò la bacchetta e divenne un'improbabile donna contro i poteri occulti, già oggetto di minacce, pedinamenti e manovre sottotraccia.

 

Divenne la Giovanna D'Arco di un neo Comitato di Liberazione Nazionale in un periodo di delirio giornalistico e civile, ovviamente isolata nel suo partito e tuttavia guardata con un filo di diffidenza anche da parte comunista. Furono più che altro i giornali a dipingerla così, al di là delle intenzioni di lei.

giulio andreotti informalegiulio andreotti informale

 

La Anselmi elaborò una poderosa relazione finale che restò, tuttavia, come un monumento di inconsistenza e di cultura del sospetto: vi si leggeva che la P2 aveva costituito «motivo di pericolo per la compiuta realizzazione del sistema democratico» e che, ancora, le liste erano incomplete, la Loggia era responsabile di intere stragi «in termini non giudiziari ma storico-politici», in pratica - traduzione nostra - che la P2 si era comportata come una moderna lobby di potere.

 

A ridimensionare il gran fumo della Commissione provvidero le successive inchieste giudiziarie: e la conclusione di varie sentenze fu che la Loggia P2 non cospirò contro lo Stato, punto. Anche personaggi come il radicale Massimo Teodori (presente ai lavori della Commissione) bollarono la Loggia come una patacca che celava soltanto la faccia nascosta della partitocrazia, mentre Indro Montanelli ne parlò più che altro come di una malfamata «cricca di affaristi». Tutto l'affare si risolse semmai con un gigantesco regolamento di conti in campo soprattutto editoriale, come ben sanno dalle parti del Corriere della Sera, ex Rizzoli.

COPERTINA LIBRO P2COPERTINA LIBRO P2

 

Una gran fetta di Italia progressista, tuttavia, ormai considerava la Anselmi come la "non" politica perfetta, la moglie ideale del suo amico partigiano Sandro Pertini, il nonno della Repubblica. Per il Quirinale pensarono anche a lei: nel 1992 poteva essere un'alternativa a Oscar Luigi Scalfaro (la sua versione maschile) e il settimanale satirico Cuore, non da solo, fece una campagna serissima in suo favore.

 

Tina AnselmiTina Anselmi

In realtà la stessa Anselmi si giudicava una signora che aveva già dato e che poteva discretamente levare le tende: in questo fu il contrario di Rosy Bindi, viceversa incollata alla poltrona per più legislature contro ogni rottamazione nuovista. La Anselmi fu relegata in commissioni un po' vacue (sulle violenze italiane in Somalia e sui beni sequestrati agli italiani ebraici durante la Guerra) e divenne buona per premi e commemorazioni: da madrina del sito internet di Walter Veltroni a tributaria di un francobollo per l'anniversario della sua nomina a ministro.

 

INDRO MONTANELLIINDRO MONTANELLI

La morale è che si salvò dalla retorica protestataria della casta e dei vitalizi nonostante figurasse a pieno titolo - assieme ad altri ministri - tra i distruttori della previdenza italiana, per dirne una. Si dimentica spesso che Tina Anselmi è stata la prima donna alla guida delle pensioni italiane e che in questo anticipò Elsa Fornero. Da una parte.

 

Dall'altra, qualsiasi ragazzino o bamboccione oggi potrebbe rimproverarle d'aver versato solo 362 mila euro di contributi e tuttavia di aver già incassato 1,6 milioni di euro (dati risalenti all' anno scorso) grazie a un vitalizio di 5.966 euro mensili. La Anselmi si è defilata per tempo, e ha fatto bene. Resta l'icona che era. Le urla e il parolaio della Seconda Repubblica l'ha lasciato tutto per noi.

UN GIOVANE LICIO GELLI UN GIOVANE LICIO GELLI

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