FINI: “QUELLO CHE STA ACCADENDO AD ALFANO DIMOSTRA CHE LA MIA POLEMICA NON ERA UNA RIBELLIONE MA IL TENTATIVO DI CAMBIARE ROTTA AL CENTRODESTRA ITALIANO”

Ugo Magri per La Stampa

«C'è stato l'esito totalmente negativo alle elezioni di febbraio. Ne ho preso atto senza attribuire agli elettori la colpa, da quel momento ho riflettuto sugli errori commessi e sulle cose da fare in futuro. Ho dedicato questi mesi a scrivere per Rizzoli un libro che si intitola "Il ventennio" , dove ripercorro la storia del mio rapporto con Berlusconi; lo sto presentando tramite iniziative in tutta Italia. Ho dato impulso alla Fondazione Liberadestra con l'obiettivo di far lievitare la consapevolezza, specie tra i giovani, sui rischi che correrà l'Europa se non saprà rinnovare il suo appeal, oppure sui limiti dello Stato sociale come l'abbiamo conosciuto finora, o su tante altre idee ancora».

È il trampolino per rituffarsi nella politica?
«Se per politica lei intende fondare partiti, oppure bussare alla porta di quelli che già ci sono per ottenere un posto, non ci penso affatto. Men che meno ho intenzione di candidarmi alle prossime elezioni europee».

Che emozioni le suscita quanto accade nel Pdl?
«Mi conferma quanto è vero l'antico detto per cui "il tempo è galantuomo" e i nodi vengono al pettine. Si dimostra una volta di più che la mia polemica non era una ribellione sedata con la forza ma il tentativo di cambiare rotta al centrodestra italiano».

Un tentativo finito male, ne converrà col Cavaliere...
«Non ho difficoltà ad ammetterlo. Il disegno di Monti, mio e di Casini era viziato all'origine, perché il terzo polo che ci riproponevamo di fare esisteva già, lo rappresentava Grillo. E noi di questo non ci eravamo accorti».

Che altro avete sbagliato?
«Fu un errore presentare la nostra alleanza come obbligata per via del sistema elettorale, con una lista al Senato e tre alla Camera, senza un progetto condiviso e mai una manifestazione in comune. Si diede il senso della disunione. C'è di più. Tanti elettori di destra, che avevano capito e condiviso le ragioni del dissenso con Berlusconi, non ritrovarono nel programma di Monti la destra che loro cercavano. E in effetti, di destra ce n'era ben poca».

Torniamo all'oggi, al dramma di Alfano...
«Capisco la sua angoscia. Lui e gli altri ministri Pdl sono stretti tra l'interesse del Paese e il loro rapporto con Berlusconi, al quale diversamente da me loro devono proprio tutto, mai sarebbero arrivati in Parlamento e men che meno al governo senza il Cavaliere».

Il quale ora pretende le loro dimissioni dal governo...
«Berlusconi fa quello che ha sempre fatto: dà ordini. La natura della sua personalità è incompatibile con opinioni diverse dalla propria. Chi non è d'accordo o viene cacciato o se ne va. Tutta intera la sua filosofia si riassume nella concezione aziendale, o padronale, o proprietaria: ognuno la chiami come vuole. Ma finché si tratta del Milan e di Mediaset, passi. Non è invece accettabile nel caso di un partito politico».

Le «colombe» Pdl temono il «metodo Boffo», fatto di dossieraggi ai loro danni. Lei può dire di averlo sperimentato...
«Siccome la ferita è ancora aperta, tutto questo mi indigna. Ci sono quelli che solo oggi scoprono l'acqua calda, magari perché hanno paura di restarne scottati».

Si riferisce ad Alfano?
«A tutti e a nessuno in particolare. Ma chi aveva gli occhi per vedere, già nel mio caso avrebbe dovuto denunciare l'uso di metodi intimidatori che nulla hanno in comune con la libertà dell'informazione. Si va a rovistare nel privato, si mette in moto una macchina del fango, si spargono rappresentazioni calunniose...».

C'è sempre la rivalsa dell'azione legale, non crede?
«Io alla giustizia ho fatto ricorso, e pure qualche giornalista è già stato condannato per diffamazione e sulla famigerata vicenda di Montecarlo, la Procura di Roma ha archiviato la denuncia a mio carico».

Secondo lei, Berlusconi è finito?
«Non è ancora fuori gioco. Nel Paese un consenso, sia pure calante, gli rimane. E sono convinto che lui controlli tuttora i due terzi del partito. Ma l'epilogo del ventennio è alle porte. E lo spazio invaso dal berlusconismo prima o poi verrà occupato da altri. Il mio auspicio è che siano i giovani a farsi protagonisti, perché non esistono uomini per tutte le stagioni».

Ma perdoni se insisto: è proprio sicuro che la crisi del Pdl non le fa venire voglia di tornare in pista?
«Le ripeto di no, a ripropormi come uomo di partito non ci penso minimamente. Chi come me ha una storia alle spalle, può solo offrire un aiuto con l'esperienza e, se ne possiede, con le idee».

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