“LI SBRANIAMO” O LO SBRANANO? – LE ANALOGIE TRA LO SCANDALO MPS E IL CASO BNL-UNIPOL E L’INCUBO DEL 2006 CON IL PAREGGIO AL SENATO COSTRINGONO BERSANI ALLA LINEA DURA: “MONTI DICE VIA I PARTITI DALLE BANCHE? SONO D’ACCORDO. IO AGGIUNGO: VIA I BANCHIERI DAI PARTITI. COSÌ SIAMO A POSTO” – MA NEL PD NON TUTTI SONO D’ACCORDO CON IL CULATELLO MANNARO…

Jena per "La Stampa" - Monti vuole tenere i partiti lontani dalle banche, guai a chi gliele tocca.


Federico Geremicca per "La Stampa"

Se qualcuno aveva avuto dei dubbi, aveva pensato a uno scatto di nervi o magari a una battuta, bene: si era sbagliato. "Li sbraniamo" è una linea: anzi, è la linea. Voluta da Bersani e ribadita nuovamente ieri: «Non siamo delle mammolette: se pensano di fare i picchiatori con delle mammolette, si sbagliano». E Massimo D'Alema il "duro" per eccellenza - è d'accordo: «Non abbiamo ragione di temere l'accertamento della verità...».

L'immagine è sicuramente abusata, però stavolta le cose stanno davvero così: il Partito democratico infila l'elmetto e scende in trincea, avendo capito che il caso Montepaschi si è ormai trasformato in una guerra capace di condizionare - e chissà se perfino sovvertire - l'esito dell'intera campagna elettorale.

Tutti contro il Partito democratico: a sinistra, al centro e a destra. Un accerchiamento impossibile da sopportare. «Non è consentito a nessuno sfregiare il buon nome del Pd», ha avvertito ieri un Bersani furioso come nei giorni peggiori. E i democrats lo seguono: la maggioranza perchè convinta, e qualcun altro perchè non è che si possano aprire varchi al nemico nel pieno della campagna elettorale.

Quindi, altro che mammolette: elmetto in testa e dagli ai picchiatori. Anche perchè il caso Montepaschi oltre a evocare un temutissimo fantasma, di cui poi diremo - sta già causando danni concreti e visibilissimi. Secondo Tecnè - che registra quotidianamente per Sky le intenzioni di voto degli italiani - il vantaggio del centrosinistra sul centrodestra va progressivamente scemando: ieri, per la prima volta, è sceso sotto la soglia dei cinque punti percentuali (33,6 contro 28,7), passando da un +6,5% ad un meno rassicurante +4,9%. E tutti gli istituti di sondaggio confermano il trend: Pd-Sel sempre in vantaggio, ma decisamente in calo...

Troppe cose ricordano troppo da vicino l'indimenticata campagna elettorale del 2006, con la coalizione di centrosinistra largamente in vantaggio all'inizio e poi rimontata da Berlusconi, fino ad esser raggiunta e costretta - a Palazzo Madama - ad aggrapparsi ai voti dei senatori a vita, di quelli eletti all'estero e agli umori altalenanti dei comunisti alla Turigliatto. Oggi il Pd è in battaglia per evitare lo stesso, identico rischio: e come allora c'è di mezzo un'altra maledettissima banca...

E' vero che in sede giudiziaria - ma anni dopo - il famoso "abbiamo una banca" detto da Piero Fassino a Giovanni Consorte (si trattava, allora, della scalata Unipol alla Bnl) si è tradotto in una vittoria giudiziaria per l'allora segretario dei Ds: ma quell'affare - secondo ogni istituto di statistica - costò alla coalizione molti punti percentuali e, probabilmente, la piena vittoria (ben più importante) alle elezioni.

Roberto Cuillo, al tempo portavoce di Piero Fassino, è esplicito: «Ricordo benissimo quei mesi, le analogie con l'oggi sono impressionanti: non solo per l'affare Unipol-Bnl, ma anche per il tracimare di Berlusconi in ogni format tv. Il risultato? Purtroppo semplice da dire: a dicembre 2005 noi dei Ds eravamo largamente in vantaggio, ad aprile 2006 chiudemmo al Senato con poco più del 17%, avendo perso in tre mesi quasi il 5% dei voti».

Il fantasma del successo che sfuma sul filo di lana - in verità - già aleggiava sul quartier generale del Pd dopo l'inattesa "salita in politica" di Mario Monti: da più di una settimana, però - con l'esplodere del caso Montepaschi - quel fantasma si è insediato stabilmente ai piani alti di Largo del Nazareno seminando acutissimi timori. C'è davvero il rischio che finisca come allora? E' giusta la linea tutta orgoglio e aggressività messa in campo dal segretario? Il Pd è davvero pienamente d'accordo con Bersani? E nel caso l'emergenza si aggravasse, esiste un "piano B" per arginarla?

Che il Partito democratico sia convintamente unito e compatto dietro il segretario, lo si può escludere senza timori di smentita. Alcuni (pare perfino Rosy Bindi sia tra questi) avrebbero preferito una linea che non accantonasse del tutto la necessità di un'autocritica, convinti che «negare e basta, per sperare nel contrattacco, potrebbe non esser convincente nemmeno per i nostri stessi elettori». L'area liberal storce il naso di fronte a certi affondi di Bersani (soprattutto quando hanno per bersaglio, come da giorni, il premier Mario Monti). E personalità come Matteo Renzi tacciono per non danneggiare ulteriormente la campagna elettorale: ma avevano già messo a verbale critiche e riserve circa il sistema-Siena.

Quel che è certo, però, è che la linea non cambierà: non siamo mammolette, se ci attaccano li sbraniamo. E "piani B" non ce ne sono. «E quale dovrebbe essere il "piano B"? - si chiede Stefano Fassina, responsabile economico del Pd e vicinissimo a Bersani -. Dovremmo discutere le critiche che ci arrivano da Verdini, indagato per bancarotta fraudolenta, oppure ascoltare i consigli - chiamiamoli così - di Mario Monti che ha in lista Alfredo Monaci, che stava nel Cda di Montepaschi? La reazione dei democratici è dura ma legittima, visto che siamo stati noi ad avviare il cambiamento a Siena».

Tutti con l'elmetto, dunque, e tutti in trincea dietro Bersani. E agli attacchi si risponde colpo su colpo: «Monti dice via i partiti dalle banche? Sono d'accordo - annota il segretario -. Io aggiungo: via i banchieri dai partiti. Così siamo a posto». O, almeno, è quel che ardentemente spera...

 

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