
“LO STATO PALESTINESE NASCERÀ SOLO QUANDO RITERREMO CHE CI SARANNO LE CONDIZIONI” – IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI ISRAELE, GIDEON SA’AR, FA CAPIRE CHE LA TREGUA NON CAMBIA IL PUNTO DI VISTA DEGLI ISRAELIANI: “AVER LASCIATO LA STRISCIA AI PALESTINESI NON HA PORTATO PACE NÉ SICUREZZA E ORA DOBBIAMO ESSERE CAUTI. SE ABBANDONASSIMO LA GIUDEA E SAMARIA, E NON LO FAREMO, CI TROVEREMMO CON "HAMASLAND" AL CONFINE. PARLARE DI STATO PALESTINESE DOPO IL 7 OTTOBRE NON È RESPONSABILE. E COMUNQUE È IMPRATICABILE SENZA CHE SIA D'ACCORDO ISRAELE, CHE NON LO È – CI OPPONIAMO AL RILASCIO DI BARGHOUTI PERCHÉ È IL SIMBOLO DEL TERRORISMO E NON DELLA PACE, ALL'INDOMANI DI OSLO HA SCELTO DI GUIDARE CHI COMPIVA ATTENTATI CONTRO ISRAELE, L'HA FATTO MENTRE ERA PARTE DELL'AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE E DI FATAH A CUI AVEVAMO DATO UNA CHANCE. È GRAVISSIMO”
Estratto dell’articolo di Francesca Paci per “la Stampa”
[…] il ministro degli esteri Gideon Sa'ar accetta di parlare con La Stampa delle luci del piano Trump, delle incognite e soprattutto dei prossimi passi.
Siamo al traguardo della prima fase: gli ostaggi, vivi e morti, dovrebbero essere oggi in Israele e il presidente americano firmerà l'accordo con i mediatori. E poi? È ottimista sul resto dei 20 punti?
«[…] Bisogna che gli ostaggi siano a casa, che venga completato il rilascio dei terroristi dalle carceri israeliane e che entri a pieno regime la consegna degli aiuti umanitari, già iniziata. Allora si potrà mettere mano alla parte successiva, a partire dalla smilitarizzazione di Hamas e dalla distruzione delle sue infrastrutture. […]».
Pare che Hamas, riapparso per le strade di Gaza con 7000 uomini, faccia ora marcia indietro sul disarmo. Israele è pronto a rilanciare la guerra?
«[…] È chiaro che se Hamas non mantiene gli impegni, non lo faremo neppure noi. […] il piano è condizionato, anche il ritiro dell'esercito israeliano lo è. Noi facciamo la nostra parte, speriamo i palestinesi facciano la loro».
benjamin netanyahu e donald trump in israele foto lapresse 2
Secondo la stampa americana tutto è cambiato dopo il raid su Doha. Crede che sia stata una mossa vincente?
«La decisione di intervenire a Gaza city ha imposto una pressione militare che ha pesato.
Al tempo stesso, l'operazione in Qatar ha creato le condizioni affinché Trump mettesse insieme una coalizione di Paesi arabi e musulmani, inclusi Qatar e Turchia, per incalzare Hamas. Credo abbia funzionato la combinazione tra la pressione politica e quella militare».
Il ministro della difesa Katz ha scritto su X che quando gli ostaggi saranno a casa l'esercito israeliano distruggerà tutti i tunnel di Hamas: come si fa senza violare la tregua?
«Se ci si atterrà al piano il cessate il fuoco reggerà. La seconda fase prevede che i palestinesi distruggano i tunnel nel territorio sotto il loro controllo e noi in quello in cui siamo ancora presenti. Entrambi siamo coinvolti nello smantellamento delle infrastrutture terroristiche. L'esercito non bombarderà i territori da cui si è ritirato».
Avete appena trovato le carte con il presunto piano di Yahya Sinwar per il 7 ottobre. Avranno effetto su chi, in molte piazze del mondo, sembra aver sovrapposto a quel massacro le migliaia vittime di Gaza?
«Abbiamo materiale audio e ora anche documenti che provano le intenzioni di Sinwar: il 7 ottobre 2023 Hamas pianificava un'invasione che, con l'aiuto dell'Iran e dei suoi alleati, avrebbe dovuto trasformarsi in una guerra totale con l'obiettivo di distruggere lo Stato d'Israele. Nonostante gli attacchi combinati dal Libano, dall'Iran e dallo Yemen il conflitto è stato contenuto ma le istruzioni erano chiare, ammazzare i bambini davanti ai genitori e viceversa era finalizzato a terrorizzare gli israeliani in modo tale che sentissero di non poter mai più vivere in sicurezza. Spero che alla fine il mondo capisca che Hamas ha iniziato questa guerra e che è responsabile delle vittime israeliane come di quelle palestinesi: noi abbiamo risposto alla volontà di eliminarci».
Il piano Trump assomiglia molto a quanto tentato da Joe Biden un anno fa. Non si poteva finire la guerra allora, con migliaia di morti in meno?
«[…] il presidente Trump è il migliore amico che Israele abbiamo mai avuto alla Casa Bianca e lo accoglieremo alla Knesset con ogni onore. Questo piano inoltre non ha paralleli con il passato: finora Hamas non aveva mai accettato la smilitarizzazione e aveva sempre chiesto il pieno ritiro israeliano come premessa per rilasciare gli ostaggi. Le condizioni oggi sono molto diverse […] Se ci fossimo fermati un anno fa avremmo anche la minaccia dell'Iran nucleare, è stato molto positivo che Israele non abbia ceduto alle pressioni».
Intanto l'opinione pubblica occidentale, americani compresi, si è raffreddata e molti governi hanno riconosciuto lo Stato palestinese. La preoccupa l'isolamento d'Israele?
«Non credo che Israele sia isolato ma, soprattutto, non conta quanti Paesi abbiano riconosciuto lo Stato palestinese: quello Stato nascerà solo quando riterremo che ci saranno le condizioni, così com'è stato con il processo di Oslo e con il ritiro unilaterale da Gaza. Aver lasciato la Striscia ai palestinesi non ha portato pace né sicurezza e ora dobbiamo essere cauti. Se abbandonassimo la Giudea e Samaria, e non lo faremo, ci troveremmo con "Hamasland" al confine. Parlare di Stato palestinese dopo il 7 ottobre non è responsabile. E comunque è impraticabile senza che sia d'accordo Israele, che non lo è».
[…] Perché Israele non vuole liberare Marwan Barghouti, che i palestinesi considerano un leader e che dal carcere continua a credere nella soluzione due popoli per due Stati?
«Rilasciare qualsiasi assassino è terribile, ingiusto e doloroso […] Barghouti è il simbolo del terrorismo e non della pace, all'indomani di Oslo ha scelto di guidare chi compiva attentati contro Israele, l'ha fatto mentre era parte dell'Autorità Nazionale Palestinese e di Fatah a cui avevamo dato una chance. È gravissimo».
È con l'Anp che, un domani, Israele discuterà la nascita d'uno Stato palestinese?
«Il piano prevede che l'Anp compia le riforme necessarie per divenire un partner credibile, a partire dalla correzione del sistema educativo e dalla rinuncia al diritto al ritorno dei palestinesi. Solo allora se ne parlerà […] Non vogliamo gestire le vite dei palestinesi ma non accetteremo mai la nascita di una nazione sovrana, con tanto di esercito e controllo dei confini, che minacci la sicurezza dello Stato ebraico».
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benjamin netanyahu e donald trump in israele foto lapresse 1