T’AMO PIO GOLPE D’EGITTO! – I SINISTRATI PRO MILITARI: “NON 1 MA 10 ESERCITI CONTRO L’INTEGRALISMO ISLAMISTA” (E LE PRIMAVERE ARABE?)

Filippo Facci per "Libero"

È un golpe militare, ma è buono, anzi «dolce», tutto sommato va bene. Il paradosso l'hanno notato tutti: la piazza, in Egitto, ha sostanzialmente deposto la stessa democrazia che un anno fa era riuscita a ottenere. Non c'è ragione di credere che si tratti di una piazza intrinsecamente diversa rispetto ad allora: è comunque una piazza, una minoranza - le piazze lo sono sempre, fuor di retorica - e le immagini delle webcam paiono sempre le stesse.

Tra l'altro, da quando sono iniziate le proteste, ci sono stati morti, feriti, un centinaio di aggressioni sessuali - documenta Human Rights Watch - e almeno 19 stupri che pure non sono i «centinaia» di cui ieri scriveva Repubblica; ma è pur vero che molte egiziane tendono a non denunciarli. Ricordiamo che le prime elezioni libere della storia locale erano state vinte dai Fratelli musulmani, organizzazione presente su tutto il territorio nazionale e sostenuta da militanti uniti e devoti soprattutto rispetto alle forze laiche.

Questa forza, a suo tempo, vinse le elezioni legislative e presidenziali ma resta distribuita in modo diseguale sul territorio: detta male, le città virtuose rimangono in mano ai laici - soprattutto Il Cairo - e le campagne più povere in mano ai religiosi. Da qui la prima semplificata contrapposizione agli occhi di noi occidentali: modernità contro arcaismo, e, forzando un po', progressisti contro conservatori.

Resta da capire che cosa abbia portato parte dei progressisti italiani, e nondimeno molti giornali borghesi, a tifare così apertamente per dei militari che hanno rovesciato una democrazia che era costata sangue: un potere non eletto dal popolo che ha contraddetto e annullato un potere eletto dal popolo. La contraddizione è così lampante che Michele Serra su Repubblica, per esempio, l'ha parzialmente giustificata così: «Alzi la mano chi non è contento della messa in mora di quel voto e di quel consenso, alzi la mano chi non fa il tifo per il Cairo, per la capitale, contro il contado reazionario».

Ma basta a giustificare un colpo di Stato?
«Si vedono certe barbe fanatiche, in giro per il mondo arabo, che fanno venir voglia non di uno, ma di dieci eserciti che impediscano con ogni mezzo all'integralismo islamista di prevalere». Non uno, ma dieci eserciti. Contro l'integralismo. Ma anche, in questo modo, contro la democrazia: la questione si fa sempre più spinosa. Che cosa rimane della primavera araba? Uno show mediatico, forse dello stesso genere che sta andando in onda oggi mentre i carri armati sfilano sotto il Palazzo presidenziale.

I militari hanno anche sospeso la Costituzione, tra l'altro. Eppure è un «golpe popolare», per dirla con Antonio Ferrari del Corriere della Sera: «Non è un golpe contro il popolo. Può sembrare un ossimoro, ma il golpe popolare è auspicato dalla maggioranza del più grande paese arabo ». E qui la contraddizione è ancora più lampante, perché la «maggioranza», a meno di trucchi, dovrebbe essere quella emersa dal voto che appunto aveva eletto i Fratelli musulmani, e che, sempre attraverso il voto, avrebbe potuto mandarli a casa democraticamente e senza golpe.

Il Corriere, ieri, ha descritto tutti imotivi di inadeguatezza del presidente Mohammed Morsi, i suoi tentennamenti, l'inaffidabilità, gli errori ancor meglio descritti da Bernard Guetta in un articolo sull'Internazionale: «Un'altra metà del paese detestava il puritanesimo dei Fratelli musulmani e il loro integralismo religioso... Riunendo i più poveri e l'Egitto modernista, si è formata una nuova maggioranza a colpi di petizioni e grandi manifestazioni, e l'esercito è corso in aiuto della contestazione organizzando un colpo di stato con l'appoggio dei partiti laici e di alcune autorità religiose».

Bene, ma anche qui: se davvero trattasi di nuova maggioranza, perché non lasciarla esprimere come prevede la sudatissima democrazia? Il dilemma sfiora la schizofrenia. Serra: «Ma della democrazia, quando è d'impiccio, che ne facciamo? Facciamo finta di niente?». Ferrari: «Dolce, grigio, ma pur sempre golpe». Guetta: «L'ondata di arresti è ingiustificabile... l'esercito è uscito dalle caserme, e non sarà facile farcelo ritornare».

Non c'è sarcasmo, qui, nel sottolineare che certe contraddizioni sfiorano un comprensibile travaglio. Meno comprensibile è quando un certo giustificazionismo viene tirato per i capelli. Bernardo Valli di Repubblica, che pure è uno bravo, giunge ad accusare il presidente - deposto coi carri armati dell'esercito - di aver «adottato uno stile da caserma»; mentre il generale Abdel Fattah al Sissi, capo del consiglio supremo delle forze armate, secondo Valli «si proporrebbe di ripristinare il processo democratico minato dall'inettitudine del presidente».

Detta così, significa che ha rovesciato una democrazia per instaurare una democrazia. Il capogiro rimane. Il tortuoso Pasquale Ferrara, su l'Unità, fa un po' di fumo: «Mai come nei processi di consolidamento democratico è importante associare alla legalità anche la legittimità, e cioè il vasto riconoscimento del ruolo del presidente come garante di tutto il popolo e non solo di una parte, sia pure prevalente».

Il che, riletto tre volte, significa che essere eletti da una maggioranza, e rappresentare questa maggioranza, non è sufficiente se non piaci anche a tutti gli altri. Ricorda un certo antiberlusconismo. Le contraddizioni ovviamente non riguardano solo il nostro circoletto mediatico. Gli Stati Uniti sono i principali finanziatori dell'esercito egiziano (da 1,3 a 1,5 miliardi di dollari, secondo le fonti) ma in Senato hanno già fatto notare che la legge parla chiaro: quando un governo democraticamente eletto viene deposto da un golpe militare, beh, si devono tagliare gli aiuti. O cambi la legge, dunque, o non lo chiami golpe.

 

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