GOOD MORNING ASSAD! PUTIN INFINOCCHIA UN OBAMA SEMPRE PIU’ DEBOLE: NIENTE STOP AGLI AIUTI AL REGIME

Maurizio Molinari per "la Stampa"

Al summit del G8 è gelo sulla Siria fra Barack Obama e Vladimir Putin. Dopo quasi due ore di colloquio i presidenti di Usa e Russia si presentano ai reporter mostrando nervosismo. Entrambi hanno le mani incrociate, muovono i piedi in più direzioni e parlano a monosillabi.

Le frasi iniziali sono quasi identiche. «Le nostre posizioni sulla Siria non coincidono» esordisce Putin. «Abbiamo opinioni diverse» gli fa eco Obama. La definizione delle coincidenza è ridotta al minimo. Per Putin: «Vogliamo porre fine alle stragi, una soluzione pacifica e desideriamo il negoziato di Ginevra».

Per Obama: «Ci preoccupano le armi chimiche, vogliamo la fine delle stragi, continueremo a lavorare assieme». In sostanza Putin rifiuta la richiesta di cessare il sostegno al regime di Assad e Obama non fa marcia indietro sugli aiuti militari ai ribelli. I due leader parlano con formalità, non si guardano negli occhi, incarnano l'entità del disaccordo sulla Siria all'origine di un'impasse che impedisce al G8 di raggiungere l'intesa su una dichiarazione comune.

Nel tentativo di limitare i danni, Putin parla di «cooperazione sulla sicurezza» e di «intesa per spingere l'Iran dopo il voto a rinunciare al nucleare» mentre Obama si sofferma sullo sport: «Lui mi ha parlato di judo, io di basket». Ma è il gelo fra loro che resta impresso a chi li vede e ascolta.

Si conclude così una giornata che vede la Siria al centro delle fibrillazioni, sin dal mattino. L'anfitrione britannico David Cameron si rivolge a Putin al suo arrivo: «La Russia deve capire che in Siria bisogna dare al popolo la possibilità di liberarsi dell'autoritarismo per scegliere un governo rappresentativo».

La risposta arriva dal portavoce Cremlino: «L'Occidente pensa alla no fly zone, siamo contrari e senza il nostro assenso all'Onu sarebbe illegittima». Washington smentisce che la no fly zone sia in agenda, ma serve a poco.

Herman Van Rompuy, presidente dell'Ue, apre un altro fronte: «Entro la fine dell'anno i profughi siriani saranno 3,5 milioni» dunque siamo in emergenza umanitaria. I portavoci russi non ribattono neanche e quando Putin incontra il premier canadese Stephen Harper il disaccordo si palesa.

«La Siria è governata da banditi, impossibile giustificarli» afferma il canadese. Il presidente francese François Hollande nell'incontro con Putin sottolinea «l'isolamento di Mosca». «Non capisco come fa la Russia a ritenere legittimo fornire armi a un regime che massacra il suo popolo» tuona Hollande.

La pressione di europei e canadesi su Putin è compatta, serve a preparare il faccia a faccia con Obama, al termine della giornata. Tocca a Obama porre Putin davanti alla richiesta di sottoscrivere un comunicato nel quale si auspica la «soluzione politica» con una «transizione» che significa l'addio al potere di Assad.

È l'unica vera richiesta che Usa, Europa, Canada e Giappone sottopongono a Putin: dopo due anni e 93 mila morti è l'ora di cessare il sostegno al Raiss per consentire il successo di Ginevra 2, la conferenza fra esponenti dell'opposizione e del regime per «tenere unita» la Siria del dopo-Assad.

Ma è un dialogo fra sordi. Putin non arretra, ribadisce le accuse di «estremismo» ai ribelli e accusa l'Occidente di «miopia» per voler «gettare la Siria nel caos». Le foto scattate durante il colloquio mostrano l'americano che si porta la mano al mento mentre il russo lo guarda dall'alto in basso, quasi con supponenza.

A Cameron non resta che trarre le conseguenze: «Siamo pragmatici, l'unanimità sulla Siria non c'è». In concreto ciò significa che Putin è convinto che Assad, con gli Hezbollah, può farcela a espugnare Aleppo entro dell'estate infliggendo al ribelli una sconfitta capace di ridisegnare il Medio Oriente. A capirlo sono i sauditi che gli fanno sapere: «Abbiamo iniziato a dare i missili anti-aerei ai ribelli».

 

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