
LA GUERRA DI NETANYAHU PREPARA UNA NUOVA ONDATA DI TERRORISMO – L'OCCUPAZIONE ISRAELIANA DI GAZA CITY AVRÀ RIPERCUSSIONI SU TUTTO IL MEDIO ORIENTE. L’AMBASCIATORE SEQUI: “ROVINE E TENDOPOLI ALIMENTANO UN BRODO DI COLTURA CHE NUTRE FONDAMENTALISMO E TERRORISMO. HAMAS NON SARÀ CANCELLATO DAI CARRI ARMATI: PUÒ RINASCERE DALLE ROVINE. ISRAELE RISCHIA DI VINCERE LA BATTAGLIA E PERDERE LA PARTITA” – “LA CRISI COLPISCE L'ARCHITETTURA REGIONALE. GLI ACCORDI DI ABRAMO SI BASAVANO SU UN COMPROMESSO: ISRAELE RINUNCIAVA ALL'ANNESSIONE DELLA CISGIORDANIA PER PRIVILEGIARE LA NORMALIZZAZIONE CON GLI ARABI. OGGI, CON IL SOSTEGNO DI TRUMP E DOPO AVER LOGORATO HEZBOLLAH, IRAN E HAMAS, ISRAELE SI SENTE MENO BISOGNOSA DI QUELL'ALLINEAMENTO…”
Estratto dell’articolo di Ettore Sequi per “La Stampa”
attacco israeliano a gaza city
«La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai militari». Con questa massima il Primo Ministro francese Clemenceau ricordava che la guerra non è solo tattica, ma responsabilità politica, fini e legittimità.
A Gaza accade l'inverso: il governo israeliano ha deciso di forzare la mano, ignorando i dubbi del capo di Stato maggiore, secondo cui la guerra urbana difficilmente porterà alla resa di Hamas. Non è primato civile, ma la sua degenerazione: ricorso alla forza che apre costi differiti per Israele, sul terreno e nelle relazioni regionali e internazionali.
ettore francesco sequi foto di bacco
[...] l'ingresso di carri ed elicotteri a Gaza City, l'ennesimo spostamento di civili allo stremo e l'uso di fame, paura e sofferenza come strumenti di guerra, hanno segnato un salto di intensità: una operazione urbana dai rendimenti tattici forse rapidi ma dai costi strategici altissimi.
Qui il primo paradosso. La politica fissa gli obiettivi (distruggere Hamas, ripristinare la deterrenza) ma nega i vincoli operativi dei militari. È il culmine di una strategia precisa. Distruggere militarmente Hamas, imporre il dominio su Gaza e riaffermare che la sopravvivenza di Israele passa dal controllo totale di Gaza.
Qui emerge un secondo paradosso geopolitico: la sicurezza immediata può erodere l'equilibrio regionale, trasformando un conflitto locale in catalizzatore d'instabilità L'emergenza umanitaria è già inaccettabile. Il Presidente Mattarella lo ha ricordato pochi giorni fa: "insostenibile e disumana la situazione dei bambini a Gaza".
L'accusa a Israele di condurre un genocidio a Gaza da parte dalla Commissione d'Inchiesta dell'ONU, segna un salto politico e giuridico nel giudizio internazionale. Rovine e tendopoli alimentano un brodo di coltura che nutre fondamentalismo e terrorismo e Hamas è un'ideologia che vive di lutti, odio e vuoti di potere.
l'esodo dei palestinesi da gaza city foto lapresse 2
La crisi non si esaurisce nell'emergenza umanitaria. Colpisce anche l'architettura regionale. Gli Accordi di Abramo si basavano su un compromesso: Israele rinunciava all'annessione della Cisgiordania per privilegiare la normalizzazione con gli arabi.
Oggi, con il sostegno di Trump e dopo aver logorato Hezbollah, Iran e Hamas, Israele si sente più sicura e meno bisognosa di quell'allineamento.
Anteporre annessione e controllo di Gaza alla normalizzazione erode la logica che rese possibile l'intesa con Emirati, Bahrein e Marocco e raffredda le prospettive con l'Arabia Saudita. Così, mentre sul campo si combatte, sul piano geopolitico si indebolisce un'architettura che era stata il maggiore successo diplomatico di Israele e promessa di stabilità regionale.
donald trump benjamin netanyahu
A ciò si aggiunge una divisione interna profonda. Le famiglie degli ostaggi accusano Netanyahu di essere "l'unico ostacolo" alla loro liberazione. L'occupazione di Gaza City non solo mette a rischio i rapiti, ma divide la società israeliana alimentando una frattura tra chi invoca la forza totale e chi chiede un compromesso per salvare vite. In una democrazia assediata questa frattura diventa vulnerabilità strategica: la sopravvivenza nazionale si intreccia con lacerazioni interne ed erode coesione e legittimità internazionale.
l'esodo dei palestinesi da gaza city foto lapresse 5
La dimensione geopolitica è più ampia. Ogni giorno di guerra logora Golfo ed Egitto, esaspera Cisgiordania e Giordania, polarizza l'Iraq, accresce il ruolo della Turchia e consente all'Iran di rientrare in gioco. Gli Stati Uniti ribadiscono che saranno "sempre al fianco di Israele" ma pagano un prezzo: nel Sud globale l'immagine di Washington si sgretola. Cina e Russia sfruttano la crepa e si accreditano come sponsor anti-occidentali.
L'Europa invece resta frammentata e incapace di tradurre il proprio peso in azione, divisa perché vari governi calibrano l'atteggiamento verso Israele soprattutto sulla bese del loro rapporto bilaterale con gli Stati Uniti, che rimane strumento cruciale di legittimazione interna. [...]
BENJAMIN NETANYAHU E ISRAEL KATZ VISITANO LA STRISCIA DI GAZA
Il conflitto a Gaza non è solo una guerra tra Israele e Hamas: riflette un mondo in cui il primato della politica vacilla, la diplomazia è impotente e la forza diventa risposta sistematica. Israele ha diritto di difendersi, ma una dottrina fondata sulla forza totale rischia di ignorare la logica delle guerre asimmetriche in cui ogni vittoria militare può produrre una sconfitta strategica. Hamas non sarà cancellato dai carri armati: può rinascere dalle rovine.
Israele rischia di vincere la battaglia e perdere la partita: ogni metro guadagnato a Gaza può tradursi in terreno perso sul piano diplomatico e regionale, trasformando il successo tattico in grave costo strategico verso Stati Uniti, mondo arabo ed Europa. [...]
netanyahu trump
l'esodo dei palestinesi da gaza city foto lapresse 3
l'esodo dei palestinesi da gaza city foto lapresse 1
l'esodo dei palestinesi da gaza city foto lapresse 6