
“HO FATTO IL SESSANTOTTO PER IL SESSO. PRIMA POCA ROBA, TRASCURABILE; DOPO, TANTISSIMA” – GIORDANO BRUNO GUERRI SENZA FRENI – “LA RIVOLUZIONE SESSUALE IN UN’ISTANTANEA? IO CON UNA DONNA SU UNA PANCHINA DI PARCO SEMPIONE, CIRCONDATO DA GUARDONI DI OGNI TIPO E ALTRI IMPEGNATI IN ATTIVITÀ ANALOGHE ALLA MIA. SOPRATTUTTO OMOSESSUALI. INFASTIDITO? AL CONTRARIO. HO FATTO ANCHE DELLE COSE CON UOMINI, SÌ. MA MOLTE MENO, E DI TIPO DECISAMENTE DIVERSO, DI QUELLE DI CUI PARLAI IN UN’INTERVISTA CHE DIEDI ANNI FA - LE DROGHE? BASTA, ACQUA PASSATA” – “IO INTELLETTUALE DI DESTRA? LA PAROLA INTELLETTUALE MI FA CACARE. E IL DI DESTRA ANCHE. ODIO IL CONSERVATORISMO” – E POI SCHLEIN (“È UNA SCIAGURA”), TRUMP (“VUOLE FARE IL DITTATORE”) E LA COSA IN COMUNE CON D’ANNUNZIO: LA CALVIZIE…
Tommaso Labate per il Corriere della Sera – Estratti
(…)
«Sono nato, cresciuto e sono rimasto, per ventisette anni, “Giordano Bruno Guerri, figlio di Gina Guerri e di n.n.”».
Sua madre aveva avuto una storia clandestina nata all’improvviso?
«Macché. Mia mamma e mio papà, Febo Anselmi, stavano insieme da quando erano ragazzini. Solo che tornato dalla Guerra, durante la quale si erano scambiati decine di lettere d’amore, di fronte alla prospettiva di sposare la ragazza con cui stava da sempre mio padre si sentì come se la sua vita stesse per finire. Un giorno che era andato a ritirare lo stipendio si invaghì di una dipendente delle Poste che vide bionda, truccata e bellissima. E sposò lei».
Salvo pentirsene, a quanto pare.
«Quando mia mamma decise di perdonare mio padre, a Iesa fu un tema di dibattito a tutti i livelli e a tutte le latitudini. Il padre e i fratelli la corcarono di botte pur di farla desistere. Ma lei niente, se lo riprese. Non essendoci ancora il divorzio, mio papà non poteva separarsi dalla moglie. Né riconoscere me quando poi sono nato, perché sarebbe finito in galera per il reato di concubinato. Quando i miei genitori si sono finalmente potuti sposare, diventai Giordano Bruno Guerri Anselmi. Ma ero già grande: al loro matrimonio ho fatto il fotografo».
Quando è nato lei la situazione tra le famiglie si era già pacificata?
giordano bruno guerri d'annunzio
«Più o meno. Sono nato il 21 dicembre, il giorno dell’uccisione del maiale, che per i contadini è il giorno più importante dell’anno. Sono arrivato in anticipo perché la nonna era caduta dall’albero mentre raccoglieva le olive; e mia mamma, incinta di nove mesi, chiamata a dare una mano al posto della nonna infortunata, forse s’era affaticata troppo. Sono ancora fiero del miracolo che ho reso possibile nascendo quel giorno e non dopo».
Quale?
«Ho allungato di otto giorni la vita di quel maiale».
Animalista?
«Convinto oltre ogni ragionevole dubbio che tra qualche secolo le atrocità che abbiamo riservato agli animali, compresa quella di ucciderli per mangiarli, saranno considerate alla stregua di quelle perpetrate a danno delle persone».
È vegetariano?
«Sono un consumatore ipocrita di carne. Poca, per la verità».
Com’è un consumatore ipocrita di carne?
«Non mangio la carne che nel piatto conserva le fattezze dell’animale com’era in vita. La coscia di pollo non la mangio. L’hamburger sì».
Perché Giordano Bruno? Famiglia anticlericale?
«Al contrario, famiglia cattolica. Il nonno paterno disse “ho sognato il povero Giordano, m’ha detto che se lo chiamiamo come lui è felice”. Quello materno però replicò che aveva sognato “il povero Bruno”, anche lui felice della futura omonimia del nascituro. Da lì, Giordano Bruno. Il prete, sentito il nome, bruciò di rabbia e si mise a raccontare di come Giordano Bruno era stato un nemico della Chiesa. Il mio nonno paterno lo fulminò con una battuta: “Ovvia, ‘un ci vorrete mica brucià anche questo!”».
Famiglia politicizzata?
«No».
Lei è stato un ragazzo politicizzato?
«Ho fatto il Sessantotto a Milano da cane sciolto ringhiante ma non politicizzato. Finii in galera per una sigaretta».
Come andò?
«Dopo una manifestazione portarono parecchi di noi in questura. Per ingannare l’attesa mi accesi una sigaretta. Un poliziotto, che a sua volta stava fumando, mi ordinò di spegnerla ché lì era vietato fumare. “E lei?”, gli chiesi indicando la sua. Mi fece sbattere in cella».
Che senso aveva fare il Sessantotto se non era interessato alla politica?
«Per il sesso. Prima del Sessantotto, poca roba, trascurabile; dopo, tantissima».
La rivoluzione sessuale in un’istantanea.
«Io con una donna su una panchina di Parco Sempione, circondato da guardoni di ogni tipo e altri impegnati in attività analoghe alla mia. Soprattutto omosessuali».
Ne era infastidito?
«Al contrario».
È stato con uomini?
«Ho fatto delle cose con uomini, sì. Ma molte meno, e di tipo decisamente diverso, di quelle di cui parlai in un’intervista che diedi anni fa, quando mi inventai rapporti omosessuali di ogni tipo per rispondere a modo mio a un colonnino che era uscito sul Foglio di Giuliano Ferrara, in cui si elencavano presunte e analoghe viziosità del sottoscritto».
DICAPRIO AL VITTORIALE CON GIORDANO BRUNO GUERRI
Le droghe?
«Basta, acqua passata».
Diventò un saggista famoso nel 1976, a venticinque anni, con una biografia di Giuseppe Bottai.
«Era stata, due anni prima, la mia tesi di laurea alla Cattolica. La mandai alla casa editrice Feltrinelli senza speranze, visto che all’epoca pubblicavano cose del tipo “come si fabbrica una molotov”. Mi chiamò il grande Giampiero Brega, il direttore editoriale di Feltrinelli che qualche anno dopo si sarebbe buttato dalla finestra di quell’ufficio, e mi mise sottomano un contratto per la pubblicazione. Mi fiondai sulla prima penna che stava sulla scrivania e firmai di corsa. Brega provò a fermarmi: “Ma prima di firmare, almeno legga quello che c’è scritto!”».
Un successo dirompente.
«Figlio di una tesi allora rivoluzionaria, oggi riconosciuta più o meno da tutti: che anche nel Fascismo c’erano letterati che avevano studiato e studiato bene, capaci, intelligenti. E che Bottai era uno di loro. Da sindaco di Roma, Francesco Rutelli negli anni Novanta propose di intitolargli una via. Ci furono delle proteste, anche da parte della comunità ebraica, e non se ne fece nulla».
Altro long-seller: Povera santa, povero assassino – La vera storia di Maria Goretti, che La Nave di Teseo ripubblica oggi a quarant’anni dalla sua uscita.
«Quello fu un colpo di fortuna. Ero a Latina a lavorare per una mostra sui cinquant’anni della fondazione della città. In una caserma dei carabinieri, sbattei il muso contro l’incartamento segretissimo del processo di canonizzazione di Maria Goretti, che doveva stare in Vaticano e non là».
Come c’era finito nella caserma dei carabinieri?
«Per uno scambio di faldoni. I documenti del processo a carico di Alessandro Serenelli, il ragazzo che aveva ucciso l’undicenne Maria Goretti dopo aver tentato invano di violentarla, dovevano stare nell’archivio dei carabinieri ma erano finiti in Vaticano; il faldone della canonizzazione della ragazza, che doveva essere custodito dalla Santa Sede, aveva fatto il percorso inverso».
Il Vaticano reagì malissimo.
«E il libro vendette, subito, le prima centotrentamila copie».
Le fa piacere essere annoverato tra gli intellettuali di destra?
«La parola “intellettuale” mi fa cacare».
E il «di destra»?
«Anche. Odio il conservatorismo. Ho molti pensieri di destra, certo; ma anche molti pensieri di sinistra».
Tipo?
«Sono per l’eutanasia e i matrimoni gay».
Le piace Schlein?
«Vuole una valutazione tecnica? Come leader è una sciagura proprio perché punta tutto sulle cose di sinistra che piacciono a me ma non portano voti. E aiutano Meloni».
Meloni?
«Lei mi piace. È un capo».
L’ha votata?
«Per tanti anni non ho votato. Poi, alle ultime Europee, sono tornato a farlo e ho scelto Forza Italia perché mi piacevano le tre linee guida di Tajani».
Quali erano?
«Non me lo ricordo più, aspetti che le cerco… Eccole: elezione diretta della Commissione europea, fine del vincolo delle decisioni prese all’unanimità dai ventisette governi, revisione del Green deal».
Trump?
«È pericoloso».
Musk?
«Un genio, un visionario, un uomo del Rinascimento finito in quest’epoca. Ma forse più pericoloso di Trump».
Perché?
«Trump vuole trasformare gli Stati Uniti in una dittatura, oltre ai problemi internazionali che crea. Musk può trasformare in una dittatura il mondo intero, dando però l’illusione a tutti di poter vivere in una condizione di maggiore libertà rispetto a prima».
Il partito per cui ha votato di più?
«I Radicali. Ho litigato con Pannella perché voleva che facessi la tessera».
E lei?
«Non l’ho fatta perché ero davvero radicale e un radicale non fa la tessera».
Mai tentato dalla politica attiva?
«Mi sono candidato alle elezioni politiche del 1987 col Partito repubblicano convinto da Giorgio La Malfa che cercava un successore di Alberto Arbasino, appena uscito dal Parlamento. Nella mia stessa circoscrizione, candidato della sinistra indipendente, c’era Giorgio Strehler».
Come finì?
«Per lui bene. Per me male».
Lei guida da anni la Fondazione Vittoriale, la casa-museo di Gabriele D’Annunzio. Sente di avere qualcosa in comune con lui?
«La calvizie. D’Annunzio diceva, e aveva ragione, che la bellezza del futuro sarà calva».
Se l’avesse fatta D’Annunzio la marcia su Roma, avrebbe governato l’Italia meglio o peggio rispetto al Duce?
«In modo molto più immaginifico e non sarebbe durato vent’anni. Forse neanche due».
giordano bruno guerri
giordano bruno guerri
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GIORDANO BRUNO GUERRI
Giordano Bruno Guerri con la moglie Paola Veneto
COLLOQUIO - QUADRO CON GABRIELE D ANNUNZIO E GIORDANO BRUNO GUERRI - SFONDO VITTORIALE
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