IDEM SENTIRE – GIANNI MURA IN DIFESA DELLA CANOISTA MESSA KO DALLA POLITICA (E DAL FUOCO AMICO DEI COMPAGNI TAFAZZI)

Gianni Mura per "La Repubblica"

Josefa Idem si racconta, molto e bene, in un libro Mondadori che uscirà domani e si fa notare già per il titolo: Partiamo dalla fine.

La fine che più ha fatto discutere: da ministra è durata 57 giorni, e avrebbe potuto intuire dai segnali che sarebbe stata dura. La telefonata di Letta che annunciava la nomina le è arrivata mentre era al funerale di un'amica. La cronistoria di questa fine è il primo capitolo del libro. Prima donna del grande sport (primadonna mai) a essere coinvolta nella grande (si fa per dire) politica dopo una militanza a misura di città, Ravenna, e di regione. Ero felice, il giorno dell'annuncio, per lei e per me, come cittadino e come giornalista sportivo.

Tre deleghe: allo sport, giusto, alle politiche giovanili, giusto anche questo perché quando si hanno due figli, 18 e 10 anni, si è più sensibili all'argomento, e alle pari opportunità, giusto anche questo perché Josefa sa cosa significa nascere donna. A partire dal nome che porta. Il padre poliziotto aspettava un figlio per chiamarlo Josef. È arrivata lei, è bastato attaccare una 'a'. I parenti, il marito, gli amici la chiamano Sefi. Io ci riesco a fatica e non sempre, perché mi suona stonato un diminutivo per questa mujer vertical, così solare nella fatica e così pratica e lucida nelle riflessioni.

Tre deleghe, per la ministra senza portafoglio, e un impegno a capofitto da subito, e sono belle pagine quelle in cui descrive le sue giornate romane. Era anche partita bene, cercando collegamenti operativi con altri ministeri, in particolare sul tema del femminicidio, allora come oggi sempre d'attualità. Era partita molto bene, a differenza di quanto le accadeva spesso in gara ma anche nella vita da atleta, dove ha dato il meglio passati i 30 anni.

Ed è finita troppo presto e male per una storia di Imu e Ici cui era certamente estranea. Dico certamente non da amico ma da contribuente. Quando si sta molto in giro, non importa se a vincere medaglie o a scribacchiare, per certe cose bisogna appoggiarsi a qualcuno di cui ci si fida, meglio ancora a un commercialista. Se però questa persona commette un errore oppure omette un pagamento, la responsabilità (la colpa) non è mai sua ma sempre di chi dichiara.

Le dimissioni di Josefa arrivano nello stesso giorno in cui a Milano si sentenzia su Berlusconi nel caso-Ruby. Quale migliore occasione per Letta e il suo governo di dimostrare che non si guarda in faccia a nessuno, che chi sbaglia paga? Oltre a una violentissima campagna dei giornali di destra, ripresa con maggiore violenza dai frequentatori di social network più populisti e cialtroni (puttana e ladra sono le
voci più riportabili), la soldatessa Idem è abbattuta dal fuoco amico, spécialité maison.

Questo lo dico io, lei su questo argomento sorvola, con una compostezza d'altri tempi. E quando rientra a casa, dopo le dimissioni, vede appoggiata al muro la pagaia di Pechino, storta e rattoppata, destinata a un'asta di beneficenza, e si sente esattamente come la pagaia. E le viene in mente una frase del figlio, quand'era piccolo: «Mamma, mi fa male la carne». Anche a lei fa male la carne, perché sa di essere sempre stata onesta, di non aver mai rubato nulla a nessuno, di aver badato anche a 15 euro in più o in meno se c'era da scegliere un volo, ma la carne le fa male anche perché non sa chi e come porterà avanti quel lavoro che aveva incominciato.

Occhio al sottotitolo: «Successi e sconfitte nella vita e nello sport sono solo questione di metodo». Già, lo sport. Unica donna ad aver partecipato a otto Olimpiadi, 28 medaglie nei tornei ad alto livello. Ha pagaiato per due volte il giro della Terra. S'è ricaricata dopo le sconfitte. Non era particolarmente vocata, non era Superwoman. Cuore più piccolo del normale, con due braccia non riusciva ad alzare un peso che le altre sollevavano con uno. Partiva lenta, il rush finale non era dei più folgoranti.

Ma a Pechino perse l'oro per 4 millesimi di secondo, i millesimi di secondo non sono calcolati nemmeno nelle gare veloci di atletica e molte delegazioni (non quella italiana) chiesero invano l'ex aequo. Sul pontile c'erano i figli, Janek e Jonas, allora 13 e 5 anni, e festeggiavano quello che credevano un oro. «No, la mamma è arrivata seconda ma va bene lo stesso», disse lei. Andava bene anche il quinto posto di Londra, l'anno scorso, a 3 decimi di secondo dal bronzo, a 48 anni.

Di un gran polverone suscitato per mille euro e che ha prodotto una sola vittima si potrà dire che è giusto, questa è la politica, baby. Lo è assai meno in un Paese dove Alfano e Bonino saranno magari tempestivi con l'Ici e l'Imu, ma la vergogna del caso Shalabayeva gli scivola sopra come l'acqua sulle piume dell'anitra. Dimettersi? E quando mai? E perché?

Un Paese rappresentato anche da Razzi, che va in Corea del Nord e la paragona alla Svizzera, tutti liberi di andare e venire, ma a quanto pare di queste cosette si accorge solo Crozza. Comunque, in questo Paese la cittadina Idem dalla fine è spesso salpata. Stiamo all'oggi: bel libro, per chi ama lo sport. Quanto all'eventuale ripartenza, non le farò il torto di un paragone calcistico. Aspetto.

 

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