IN GALERA NO, MA SOTTO I PONTI SÌ - HA RAGIONE SALLUSTI QUANDO PARLA DI “SCENEGGIATA” SULLA LEGGE CONTRO LA DIFFAMAZIONE - PER SALVARLO DAL CARCERE ELIMINANDO LA PENA DETENTIVA PER I REATI DIFFAMATORI, IL CENTRODESTRA VUOLE MULTE FOLLI E RETTIFICHE SPROPORZIONATE (PD E UDC CONTRO) - SENZA CONTARE IL RISCHIO DI TARPARE LE ALI ALL’INFORMAZIONE ONLINE - L’INTERVENTO DI CATERINA MALAVENDA ...

1- NUOVA LEGGE BAVAGLIO, ALTOLÀ PD E UDC - "NON FAREMO PASSARE QUEL TESTO"
Annalisa Cuzzocrea per www.repubblica.it

La legge che doveva salvare dal carcere Alessandro Sallusti, e rischia di inguaiare in suo nome tutta la libera stampa, comincia a diventare un affare imbarazzante. I primi firmatari sono i senatori Vannino Chiti e Maurizio Gasparri: doveva essere un impegno bipartisan, quello di eliminare la possibilità del carcere come pena per la diffamazione. Oggi, però, quella legge Chiti non la riconosce più. E Pd e Udc si dicono pronti a frenare qualsiasi strisciante tentativo di censura.

"Se verrà fuori un pasticcio sono pronto a togliere la mia firma", dice Chiti. Il senatore pd spiega che il suo primo obiettivo era eliminare il carcere. E che aveva poi previsto, per ragioni motivate, un obbligo di rettifica da parte del giornale con lo stesso spazio e lo stesso rilievo della notizia. Questo però doveva servire a bloccare il procedimento penale. Sulle pene, si era pensato a un massimo di 50mila euro. E per il web, il tutto avrebbe dovuto riguardare solo i giornali online, non i singoli blog.

Nelle mani della commissione giustizia, "a forte maggioranza di centrodestra", le cose sono cambiate. "Si rischia di fare una legge puramente sanzionatoria. Se è così meglio fermarsi, limitarsi a eliminare il carcere, e lasciare che sia un Parlamento più sereno a occuparsi del resto". Chiti non fa parte della commissione Giustizia, dove invece la vicenda è seguita da vicino dall'ex pm Felice Casson. Suo uno degli emendamenti che prevede che il giornalista "recidivo" nella diffamazione sia interdetto per un periodo da uno a tre anni.

"Ma il punto di partenza era l'interdizione perpetua - spiega Casson - di questo bisogna tener conto. Poi certo, c'è una tendenza di alcuni senatori, soprattutto del centrodestra ma non solo, a inasprire le sanzioni pecuniarie e quelle accessorie". Rivendica, Casson, di aver proposto di eliminare la possibilità di riparazione pecuniaria in caso ci sia già una multa.

Mentre Luigi Zanda spiega: "Il sentimento comune del Pd è contro l'arresto, contro le maximulte, contro le esagerazioni che abbiamo letto nel pezzo di Repubblica. Non le faremo passare". E la stessa capogruppo Anna Finocchiaro ricorda che il partito si è battuto perché il testo arrivasse in aula, e non venisse votato direttamente in commissione come aveva previsto il presidente del Senato Schifani: "Ci siamo opposti alla deliberante che abbiamo fatto saltare. Oltre all'abolizione della pena detentiva, ci vuole un sistema che bilanci la risarcibilità dell'onore e della dignità del diffamato. È una battaglia che il Pd fa da 15 anni".

Il relatore della legge per il Pdl, Filippo Berselli, è invece convinto che si stia andando nella direzione giusta: "La storia dell'emendamento anti-Gabanelli non ha senso, nessuno ha mai preso davvero in considerazione l'idea di togliere al giornalista la copertura economica dell'azienda. Il senatore Caliendo lo ritirerà. Quanto alle pene pecuniarie, è ovvio che togliendo il carcere dovevamo aumentarle. Se poi c'è una giusta rettifica, vengono diminuite. E se il direttore responsabile non vuole farla, il giornalista può chiedere ai giudici di imporgliela".

Roberto Rao, Udc, avverte: "Dobbiamo scongiurare che le norme sulla diffamazione a mezzo stampa riguardino tutti i blog. Quanto all'aumento delle pene, la diffamazione dev'essere duramente sanzionata, ma questa legge non può essere un cavallo di Troia per fare norme intimidatorie contro i giornalisti".

Molto preoccupato il presidente della Federazione nazionale della stampa Roberto Natale, che ricorda come sanzioni da 100mila euro rappresentino un problema per le grandi redazioni, e un rischio di sopravvivenza per le altre. E avvisa: "Siamo pronti alla stessa battaglia fatta contro la legge sulle intercettazioni. Se nelle prossime 36 ore non ci sarà un ravvedimento operoso, sarà meglio lasciare in piedi la legge che c'è".


2- LA LIBERTÀ DI STAMPA NON SI TUTELA CON CAVILLI PUNITIVI E MULTE ECCESSIVE
Caterina Malavenda per il "Corriere della Sera"

(Avvocato, esperto in Diritto dell'informazione)

Caro direttore, con estrema determinazione, qualche incertezza sintattica e tempi contingentati, la Commissione Giustizia del Senato si appresta a votare un numero sterminato di emendamenti e subemendamenti al «disegno di legge sulla diffamazione», una definizione strategicamente minimalista che nasconde ben altro.

Se approvato, infatti, pur abolendo il carcere per salvare Sallusti - che non vuole essere salvato e chiede di interrompere «questa sceneggiata» - disarticolerà, demolendolo, un sistema di pesi e contrappesi, che ha retto per oltre 60 anni, tutelando gli interessi economici degli editori, senza penalizzare eccessivamente i giornalisti e tenendo nel giusto conto le ragioni dei diffamati.

Dobbiamo abolire il carcere per i giornalisti, perché «ce lo chiede l'Europa», sostengono in Commissione. Ma è una scusa buona per tutte le occasioni.

Eppure quella stessa Europa e con la stessa autorevolezza, nel 2008 ha condannato proprio l'Italia a risarcire un giornalista, per l'entità delle somme che era stato obbligato a versare a un querelante che, secondo i nostri giudici, era stato diffamato; e, in quella occasione, ha ribadito che, per misurare e, del caso, censurare l'ingerenza dello Stato sulla libertà d'espressione, occorre valutare la natura e la gravosità delle pene inflitte: non solo il carcere, ma anche la previsione di sanzioni economiche eccessive, ha sentenziato la Corte europea dei diritti dell'uomo, può dissuadere i giornalisti, cani da guardia della democrazia, dal continuare a informare il pubblico su temi di interesse generale.

E cosa fanno allora i nostri senatori, cui l'Europa chiede esattamente il contrario? Scrivono emendamenti che prevedono, a caso e senza alcuna giustificazione, il pagamento di somme sempre più alte, multe, danni, riparazioni pecuniarie, sanzioni amministrative, una sorta di gara al rialzo, in cui è in palio quella stessa libertà di informazione, che pretenderebbero di difendere, eliminando il carcere.

Allora l'Europa non c'entra nulla e, in verità, neppure la dichiarata intenzione di riequilibrare il sistema in favore dei diffamati, il cui unico obiettivo dovrebbe essere il rapido e definitivo ripristino dell'onore offeso, mediante la pubblicazione di una rettifica adeguata, visibile e «documentata», come i relatori hanno giustamente precisato, perché il direttore non sia obbligato a pubblicare menzogne di parte. Non certo, però, in prima pagina e in modo da occuparne almeno il 20 per cento, per sette volte consecutive, come alcuni emendamenti pretenderebbero; e seguita dalla paralisi dell'azione penale, quale effetto automatico della sua corretta diffusione, come altri emendamenti ipotizzano.

E ancor meno c'entrano, con il disegno di legge all'esame della Commissione, le attenzioni riservate all'editore: l'ipotizzato annullamento della sua volontà contrattuale, se intende farsi carico dei danni da diffamazione; l'obbligo di restituire una parte dei contributi per l'editoria, che ha ricevuto dallo Stato con il rischio di perderli addirittura per un anno o la previsione di una sanzione amministrativa a suo carico, che potrebbe arrivare fino a 750.000 euro, se un suo giornalista diffama o se il direttore non pubblica una rettifica, cosa sono se non un modo raffinato e devastante di contrapporlo alla redazione?

E, per una sorta di par condicio sui generis, anche chi edita libri «scomodi» potrebbe essere obbligato a pubblicare, a proprie spese, rettifiche di lunghezza illimitata, su richiesta di ciascuno dei soggetti, citati dagli autori.

Una forma di dissuasione ad ampio spettro, che scoraggerebbe anche il più ostinato degli editori, dunque, che si aggiunge, aggravandola, a quella riservata ai giornalisti, poveri cani da guardia, che potranno continuare ad abbaiare, senza mordere, però, a quel potere che dovrebbero sorvegliare e che non ha alcuna intenzione di farsi azzannare. Sembrano rimasti, però, già ora - con qualche incisiva ed encomiabile eccezione - senza parole e senza la forza o la voglia di reagire a quella che sembra sempre più la resa dei conti finale. Dopo aver paventato e per ora evitato ieri il bavaglio sulle intercettazioni, domani rischiano di dover sopportare una bella museruola.

 

PROTESTA CONTRO LA LEGGE BAVAGLIOFOTOMONTAGGIO - ALESSANDRO SALLUSTI IN CARCEREChitiMAURIZIO GASPARRI FELICE CASSON ZANDA LUIGI alessandro-sallusti-condannatoRENATO SCHIFANI Filippo Berselli Caterina Malavenda

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