MI CHIAMO SCAJOLA E RISOLVO PROBLEMI - NELLE INTERCETTAZIONI, L’EX MINISTRO DELL’INTERNO SPIEGA ALLA MOGLIE DI MATACENA COME FARÀ A SALVARE LE CHIAPPE AL LATITANTE: “CICCIA, LO PORTO A BEIRUT, C’HO LAVORATO GROSSO”

Attilio Bolzoni per "la Repubblica"

Tutti a Beirut, tutti a Beirut. Come dice l'ex ministro dell'Interno, «lì è molto migliore » e «Anche più vicino ». Tutti a Beirut. «Perché sai Ciccia, io c'ho lavorato, c'ho lavorato grosso», racconta lui alla moglie del latitante eccellente tranquillizzandola sulla sorte del marito rifugiato nei mari caldi ma terrorizzato da un rimpatrio forzato in Italia. «Ciccia, concentrati, concentrati un momentino.. «, le ripete Claudio Scajola mordendosi la lingua per non potere parlare chiaramente al telefono.

E l'altra: «Deve andare nella capitale che comincia con la L...?. .. No, no hai ragione tu, L è il Paese, la capitale inizia con la B, deve andare a B», deve andare a Beirut, lo capisce finalmente «Ciccia», Chiara Rizzo, ex modella, seconda moglie di Amedeo Matacena, due volte deputato della Repubblica italiana, uno dei fondatori di Forza Italia in Calabria, in fuga per le sue complicità con la ‘Ndrangheta, rampollo della dinastia che è riuscita a imporre i traghetti privati sullo Stretto di Messina e fomentato e finanziato la rivolta dei «boia chi molla» di Reggio nei lontani anni ‘70.

IL COVO SICURO
Tutti a Beirut, covo sicuro per gli amici dei mafiosi. E per farci arrivare anche lui, il compagno di partito condannato a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa, si muovono nell'ombra una mezza dozzina di personaggi che sembrano appartenere tutti a un'unica setta, una potente associazione segreta internazionale di stampo massonico che ha ramificazioni di qua e di là nel Mediterraneo, da una parte il capo dei falangisti libanesi Amin Gemayel e dall'altra un gruppo di italiani più o meno interessati alla libertà di Amedeo Matacena fra i quali Emo Danesi (ex parlamentare della Dc e tessera numero 1916 della loggia P2 di Gelli), i figli dello statista Amintore Fanfani, Giorgio e Cecilia (non indagati ma perquisite le loro abitazioni), l'imprenditore calabrese Vincenzo Speziali che in Libano è di casa dopo avere sposato una nipote di Gemayel.

E soprattutto l'ex ministro Scajola, considerato dai magistrati di Reggio il primo attore di questa vicenda che s'intreccia per mesi fra Roma, Montecarlo e Dubai, manovre e intrighi per portare l'illustre latitante al sicuro a Beirut. Intercettato, pedinato, fotografato, l'ex ministro Scajola si tiene sempre in contatto con la moglie di Matacena.

È prudente, il suo linguaggio è criptico, ma ci sono circostanze che non può evitare di dire certe cose. Come quando un giorno - alle 12,12 del 12 dicembre del 2013 - Chiara Rizzo lo chiama e lui risponde: «Te lo dico intanto adesso, cerca di memorizzare quello che ti sto dicendo eh... si sposterebbe hai capito... sarebbe buono, buono... sarebbe un capolavoro».

La donna lo incalza («Ma sempre là in zona?», Scajola resta guardingo ma qualcosa le concede: «No, in un posto ancora più sicuro e molto migliore». Amedeo Matacena sulle spiagge delle Seychelles nel suo primo giorno di latitanza, sceglie come riparo dorato Dubai per qualche anno, ma nell'inverno scorso si avvicina la sentenza - prevista per il 20 febbraio 2014 - che potrebbe provocare la sua espulsione dagli Emirati Arabi, l'ex deputato ha paura, sente che è probabile il suo ritorno in Italia, si affida mani e piedi a Claudio Scajola.

LA «MESSA IN SICURO» DI MATACENA
Per i magistrati l'ex ministro è il regista della «messa in sicuro» di Matacena, coordina ogni dettaglio della futura trasferta in Libano, cerca protezioni dall'altra parte del mare. Le sue conversazioni con la moglie del latitante ogni tanto lo tradiscono: «Ti ricordi Beirut?.. questi miei amici, quando sono andato a Beirut, poi sono venuti su..., l'ex presidente, hai presente». E continua: «Ieri ho visto questo tizio e mi dice "noi siamo gli amici di là...", poi io ho capito perché, perché Beirut è una grande Montecarlo e Dubai è una grande Montecarlo».

Conclude: «Domenica vado a Roma prima perché questo viene su suo zio». Scrivono i magistrati su Scajola: «È in pole position nell'impegno volto all'individuazione di uno Stato estero che evitasse per quanto possibile l'estrazione del Matacena. Tale Stato lo individuava nel Libano, impegnandosi con personaggi esteri di rango istituzionale per ottenere tale appoggio per tramite di importanti amicizie». Il riferimento dei giudici corre a quel Vincenzo Speziali, nipote omonino del senatore del Pdl e coinvolto come "gancio" nell'altra eccellente latitanza libanese, quella di Marcello Dell'Utri. Ci sono filmati che «provano» incontri tra Scajola e il suo contatto mediorientale.

IL "PROGRAMMA"
Nelle telefonate ascoltate sulle utenze dell'ex ministro si parla spesso dell'«ex presidente» e di un «programma» per proteggere dalla giustizia italiana Amedeo Matacena. Un «programma» ideato da un'associazione segreta legata alla ‘Ndrangheta, «il terminale di un complesso sistema criminale, in gran parte di natura occulta ed operante anche in territorio estero, destinato ad acquisire e gestire informazioni riservate, fornite da numerosi soggetti in corso di individuazione collegati anche ad apparati istituzionali... ».

L'indagine cominciata sui fondi neri della Lega finiti all'estero è ancora quasi totalmente coperta dal segreto e fa riferimento a una superloggia che, in quest'occasione, ha tentato anche di occultare il patrimonio di Matacena attraverso società e prestanome, da Montecarlo alla Liberia. Il procuratore capo Federico Cafiero De Raho spiega che «serve un approfondimento» per capire cosa sta dietro a un ex ministro dell'Interno che ha favorito una latitanza per un amico dei mafiosi. Ma le carte già raccontano da sole dove può arrivare la ‘Ndrangheta.

 

CLAUDIO SCAJOLA CLAUDIO SCAJOLA CON MASSIMO NICOLUCCIClaudio Scajola matacena amedeocasli52 amedeo chiara matacenaHOTEL PHOENICIA DI BEIRUTMarcello DellUtri con gli avvocati Giuseppe Di Peri e Massimo Krogh GENNARO MOKBEL VILLA WANDA DI LICIO GELLI

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