L’ABC DELLA PARALISI - IL PDL HA PERSO, IL TERZO POLO HA PUNTATO SU MONTI E SI E’ SQUAGLIATO, IL PD AVANZA MA CON CANDIDATI ALTRUI ED È SCHIACCIATO DA GRILLO E DI PIETRO. ORA NESSUNO PARLA PIÙ DI ELEZIONI ANTICIPATE - E SULLA LEGGE ELETTORALE ORA SI LANCIA IL DOPPIO TURNO, PERCHÉ SE SI VA ALLE URNE COL PROPORZIONALE, NON DIVENTIAMO LA GERMANIA MA LA GRECIA: TROPPI PARTITI, NESSUNA MAGGIORANZA - E IL GOVERNO RISCHIA UNO STALLO LUNGO UN ANNO…

1 - LE ELEZIONI ANTICIPATE SI ALLONTANANO
Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"

Il governo non rischia la crisi ma lo stallo, rischia cioè di rimaner vittima delle spinte contrapposte che già si manifestano nella «strana maggioranza». Perché se è vero che il voto di ieri ha fatto tramontare l'ipotesi delle elezioni anticipate, è altrettanto vero che da oggi Monti sarà chiamato a un compito difficile: gestire da una parte il Pdl, che resta partito di maggioranza relativa in Parlamento, e dall'altro il Pd, che è diventato azionista politico di maggioranza nel Paese.

Alfano e Bersani già strattonano il Professore, e se il primo - dinnanzi alla sconfitta - avvisa il premier che il suo partito «non appoggerà provvedimenti invotabili», il secondo - capitalizzando il risultato - esorta l'esecutivo «d'ora in poi ad ascoltarci di più». In mezzo c'è Casini - con la foto dei vertici di Abc ormai ingiallita - che sapendo di esser rimasto senza alcun dividendo, per bocca di Cesa spinge Monti a «passare alla fase due, o sarà un massacro».

Doveva essere solo un voto amministrativo, si è trasformato - per dirla con Follini - in un «reset». D'un colpo cade il velo del tatticismo che aveva accompagnato la trattativa su una nuova legge elettorale alla «tedesca». «Non c'è nessuna intesa sul testo e non ci sarà alcun vertice con Bersani e Casini», annuncia Alfano, che pure aveva segnato sull'agenda l'appuntamento di mercoledì. Usa le stesse parole che qualche ora prima - in forma riservata - aveva pronunciato il leader del Pd: «Fermi tutti, niente incontro. Prima sarà necessaria una riflessione. E noi non abbiamo fretta, aspettiamo che ci vengano fatte delle proposte».

Il motivo è chiaro. Il proporzionale viene seppellito dai primi dati che emergono dalle urne, e che scatenano nel Pdl la reazione di quanti già premevano per far saltare il progetto: «Un simile modello, con un quadro già così disarticolato - dice l'ex ministro Fitto - renderebbe instabile il sistema, salterebbe la governabilità. Altro che Germania, diventeremmo la Grecia».

Ecco spiegato il motivo per cui Bersani aspetta senza fretta. D'altronde, non si capisce perché il capo dei Democrat dovrebbe accettare una soluzione che frantumerebbe la coalizione di centrosinistra, «che c'è ed emerge dal voto». Non si capisce perché dovrebbe consegnare alla sinistra radicale o all'Udc la golden share del prossimo governo, che il Porcellum gli fornisce: «Se si vuole, per garantire la stabilità del quadro politico, si può discutere sul doppio turno», propone Bersani, che così mette fine al doppio gioco di Casini.

Non c'è dubbio che sia il Pdl la vittima del giro elettorale, con Alfano costretto a intestarsi il ruolo di curatore fallimentare di un partito che paga la fine del governo Berlusconi prima ancora dell'appoggio ai provvedimenti del governo Monti. E per quanto il Cavaliere disapprovi, senza citarlo, l'ammissione della sconfitta fatta dal segretario, sarà assai difficile che un eventuale ritorno sulla scena dell'ex premier possa avere una funzione salvifica: non c'è spazio per nuovi predellini, ed è il primo a esserne consapevole. La verità - rivelata senza mezzi termini da Ferrara - è che «Berlusconi non sa cosa fare».

Resta il mantra dell'«unità dei moderati», progetto complicato e che non potrà intestarsi, pena il fallimento. Certo, è l'unica strada che rimane al Pdl. Ma non solo al Pdl.
Anche Casini non ha molte altre opzioni. Il Terzo polo si è rivelato infatti un'operazione di Palazzo, e il capo dei centristi rischia ora l'irrilevanza politica, perché - come a suo tempo fece il Cavaliere nel 2008 - sconta l'errore di non aver lavorato all'unificazione dell'area moderata dopo la crisi del governo Berlusconi.

Utilizzando l'appoggio a Monti come un cavallo di Troia, il leader dell'Udc confidava di fare un'opa sul Pdl. Le difficoltà del gabinetto tecnico, e alcuni errori del Professore, non l'hanno però aiutato nel progetto. Ecco cosa si cela quindi dietro la mossa (difensiva) di Alfano, secondo cui «le urne confermano i due poli».

Non a caso Cesa forza la mano sulla necessità di rilanciare l'azione di governo, e lancia un appello ai moderati. Non a caso il segretario dei centristi spiega che «d'ora in poi bisognerà lavorare per unire un'area che è divisa». Restano nelle sue parole delle ambiguità che andranno sciolte.

Ma senza più i vertici dell'Abc che garantivano all'Udc un grande spazio di manovra in Parlamento, senza più la possibilità di ottenere una legge elettorale proporzionale, e con Bersani che smonta la «politica dei due forni», offrendo solo un posto alla tavola della sua coalizione, il passaggio appare quasi obbligato. «Casini - secondo il coordinatore del Pdl, Bondi - avrebbe potuto già costruire un rapporto con Alfano, dopo la caduta del governo Berlusconi. E il tema che era stato posto allora, viene riproposto ora».

«Ora» però sarà complicato ricostruire sulle macerie di un voto che è inequivocabile, ma l'allarme nell'Udc è scattato. Perciò acquista un peso il segnale che Cesa invia agli ex alleati: «Il nostro appello era rivolto a tutti. Sì, anche ad Alfano. C'è necessità di riunificare il fronte moderato, in forme nuove, garantendo le diverse specificità».

Dinnanzi alla foto di Vasto - e nonostante il risultato del centrosinistra resti per certi versi contraddittorio - nell'area che fu di centrodestra sembra prender corpo l'esigenza di aprire un cantiere. Bondi prova a coniare la parola d'ordine del progetto: «Unità nell'autonomia». Senza più colpi ad effetto, senza predellini, come vuole ribadire il coordinatore del Pdl, che pure è un berlusconiano della prima ora: «Per ricostruire l'unità dei moderati servirà la dura fatica quotidiana della politica».

Il voto di ieri, che sembra aver rimesso tutto in movimento nel Paese, paradossalmente ha prodotto nel Palazzo l'effetto inverso, inducendo i partiti a fermarsi per studiare ognuno la propria strategia, prima di lanciarsi nella volata verso le elezioni politiche. È come un surplace. Che per Monti rischia di trasformarsi in uno stallo lungo un anno, con il pericolo di un incidente sempre dietro l'angolo. Perché, come dice Bersani, «non per colpa nostra, ma la maionese può sempre impazzire».


2 - L.ELETTORALE: VIOLANTE, RIFLETTERE SU MODELLO DOPPIO TURNO

(ANSA) - "E' evidente che questo ultimo voto delle amministrative cambia alcuni presupposti sui quali stavamo lavorando. In assenza di partiti consolidati, allo stato ne resta in piedi solo uno, si rischia una eccessiva frammentazione. Pertanto occorre riflettere sulla praticabilità del doppio turno di collegio". E' quanto osserva il responsabile Riforme del Pd Luciano Violante commentando il voto elettorale di ieri. "Come Pd avevamo presentato un testo - ricorda - occorre rifletterci".


3 - L.ELETTORALE:GELMINI,POSSIBILE INTESA CON PD SU DOPPIO TURNO

(ANSA) - "Ieri, durante un incontro, Franceschini e Bersani hanno fatto un parallelismo con il sistema elettorale francese e con il tema del doppio turno: su questo stiamo ragionando". Lo ha detto Maria Stella Gelmini, deputata del PDL, ai microfoni di Agorà, su Rai Tre. "Il rischio di un eccessiva frammentazione c'è - aggiunge l'ex ministro dell'Istruzione - Tornando alla legge elettorale, noi siamo per cambiarla".

 

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