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IMPARA L'ARTE E VENDILA A PARTE - IL GOVERNO RENZI VUOLE AMMORBIDIRE LE REGOLE PER LA CIRCOLAZIONE E LA VENDITA DELLE OPERE D'ARTE. SOLO UN’AUTOCERTIFICAZIONE PER OTTENERE IL VIA LIBERA - CRITICHE DA ASSOCIAZIONI E STORICI

1 - “TROPPO FACILE ESPORTARE LE NOSTRE OPERE D’ARTE” LA LEGGE CHE DIVIDE I CRITICI

SCONTRO SUL DDL CHE AGEVOLA IL COMMERCIO DELLE OPERE ALL’ESTERO IL NO DI ESPERTI E ASSOCIAZIONI: “COSÌ L’ITALIA SVENDE I SUOI TESORI”

 

Sara Grattoggi per “la Repubblica”

dario franceschinidario franceschini

 

Esportare opere d’arte, senza dover chiedere un’autorizzazione, potrebbe diventare molto più semplice. E lo sarà se passerà l’emendamento al ddl n. 2085 sul mercato e la concorrenza, ora al vaglio della commissione Bilancio del Senato, proposto dai senatori pd Andrea Marcucci, Francesco Scalia, Camilla Fabbri e Linda Lanzillotta, ma scritto insieme agli uffici del ministro Dario Franceschini. Un emendamento che modifica il Codice dei beni culturali e del paesaggio, cambiando le regole per la circolazione internazionale delle opere.

 

opere arteopere arte

Oggi, chi vuole farle uscire dall’Italia le deve sottoporre a uno degli uffici Esportazioni del ministero per ottenere l’attestato di libera circolazione e la licenza di esportazione. Un passaggio obbligatorio per tutte le opere il cui autore non sia vivente e che siano state realizzate oltre 50 anni fa. Se l’emendamento dovesse diventare legge, la soglia si alzerebbe, invece, a 70 anni, includendo così — fra le opere non più soggette alla tutela del Codice e libere di partire — anche una parte importante della produzione del Novecento, che include capolavori di maestri come Fontana, Burri, Guttuso o Morandi.

OPERE ARTE IMBALLATEOPERE ARTE IMBALLATE

Non solo.

 

Per la prima volta, si introdurrebbe come discriminante per la presentazione o meno delle opere agli uffici il loro valore economico. Anche le più antiche infatti — reperti archeologici e archivi esclusi — potrebbero prendere il volo senza autorizzazione, nel caso il loro valore non superi determinate cifre (circa 140mila euro per i quadri, ad esempio, 50mila per statue e libri). Ma per stabilirlo basterà un’autocertificazione. Fra le altre novità dell’emendamento, il prolungamento della validità dell’attestato di libera circolazione, da 3 a 5 anni, e della licenza di esportazione, da 6 mesi a un anno. E l’introduzione di un “passaporto” delle opere, valido 5 anni.

 

Modifiche che hanno scatenato aspre polemiche da parte di storici dell’arte e associazioni dedicate alla tutela. A cominciare da Italia Nostra, che in una lettera alle commissioni del Senato ha espresso «preoccupazione e dissenso per un provvedimento che secondo noi viola l’articolo 9 della Costituzione», spiega il presidente Marco Parini.

 

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«Nettamente negativo» il parere di Salvatore Settis, «perché questo testo si riferisce al mercato come fosse l’unica componente dell’interesse pubblico». «Nel 1902, quando lo Stato valutava se comprare o meno la Galleria Borghese, la Deposizione di Raffaello era valutata un milione di lire, mentre il Davide con la testa di Golia di Caravaggio solo 1.200 lire — ricorda l’archeologo e storico dell’arte — . Se si fosse ragionato così, i Caravaggio della Galleria Borghese sarebbero tutti “emigrati”».

 

Spezza una lancia in favore della norma, invece, il critico Achille Bonito Oliva: «Dal mio punto di vista l’arte è universale e può circolare liberamente. Va controllato però che le autocertificazioni sul valore non diventino un escamotage per poi tesaurizzare le opere all’estero».

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Difende l’emendamento, definito «un lavoro di squadra», il Mibact: «C’è un ragionevole bilanciamento tra l’interesse della tutela e quello del mercato dell’arte. Inoltre, la norma introduce una clausola di salvaguardia per le opere fra i 50 e i 70 anni, che consente al ministero di vincolarle se lo ritiene necessario».

 

 

 

 

 

2 - MA IL VALORE DELLA BELLEZZA VA BEN OLTRE IL MERCATO

 

Tomaso Montanari per “la Repubblica”

 

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DOPO il silenzio assenso, dopo l’accorpamento delle soprintendenze e la loro confluenza nelle prefetture, dopo il radicale divorzio tra musei e territorio, una riforma dell’esportazione delle opere d’arte sta per cancellare un altro pezzo del nostro umiliato sistema di tutela. E non uno qualunque: è proprio sulla regolamentazione delle esportazioni che il sistema poggia da almeno quattro secoli.

 

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Nel 1603, il granduca di Toscana affidava all’Accademia del Disegno la «facultà di dichiarare» quali maestri fossero inesportabili. E, nel 1660, il poeta veneziano Marco Boschini lodava «la prudenza /de chi governa el Stato venezian»: perché, se in queste materie non fosse entrata «la regia man» (il potere pubblico), «piture adio, Venezia sarìa senza».

 

È solo grazie a questa lunga stagione di tutela che l’Italia è ancora — malgrado tutto — quella che è. Ed è in forza di questa tradizione (recepita tra i principi fondamentali della Costituzione, all’articolo 9) che l’Italia ha ottenuto l’eccezione culturale al Trattato di Maastricht (1992) grazie alla quale le opere d’arte del passato non sono merci qualsiasi.

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La pessima legge proposta da Andrea Marcucci va in direzione opposta.

 

Su richiesta della parte meno lungimirante del mercato dell’arte, allarga di vent’anni la zona franca (così, per dire, i quadri degli ultimi vent’anni di Giorgio Morandi partiranno all’istante), e soprattutto introduce l’automatismo della soglia di valore, per giunta autocertificata.

 

Ora, non solo il valore venale non è l’unico metro per decidere (ci sono opere importantissime storicamente che non costano più di 150mila euro), ma soprattutto non si deve far valutare l’opera dal suo interessato proprietario. Tra errori in buona fede e non, rischia di uscire davvero di tutto, e gli eventuali controlli ex post non potranno recuperare i buoi fuggiti dalla stalla.

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Con la stessa legge, in Slovacchia un busto di marmo raffigurante papa Paolo V è uscito perché valutato 24mila euro: salvo poi scoprirsi che era di Gian Lorenzo Bernini (è finito al Getty di Los Angeles, pare per 30 milioni di euro).

 

Possiamo e dobbiamo rendere più efficienti e autorevoli gli Uffici Esportazione (magari assumendo giovani storici dell’arte), ma non possiamo sostituire il loro giudizio con l’arbitrio del mercato e l’interesse privato. Se questa legge passerà, verrà il giorno in cui gli stessi mercanti si accorgeranno di non aver più nulla da vendere, in Italia. Ma sarà tardi.

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