A NOI L'AUSTERITY, A LORO IL MALLOPPO: CON L'EURO LA GERMANIA CI HA FREGATO 2 MILA MILIARDI DI EURO

Francesco De Dominicis per "Libero"

Il conto, un po' brutale, fa impressione e sfiora i 2mila miliardi di euro. Stiamo parlando dell'avanzo della bilancia commerciale tedesca, calcolato nel periodo che va dal 1999 al 2012: in 14 anni di euro la Germania ha portato a casa - è il caso di dirlo - un bottino incredibile.

La differenza tra le esportazioni e le importazioni - indicatore che fino all'arrivo della moneta unica era in profondo rosso dalle parti di Berlino - ha assicurato all'economia tedesca un avanzo pari a 1.873,3 miliardi di euro. Cifra che già alla fine di questo mese, se il ritmo degli ultimi anni dovesse restare più o meno invariato, potrebbe arrivare a superare la vetta dei 2mila miliardi di euro. Esattamente quanto vale il buco nei conti pubblici italiani.

Ma le finanze statali, stavolta, c'entrano poco nella sfida tra Italia e Germania. Match sempre appassionante quando si gioca su un campo di calcio, ma ormai a senso unico quando il duello avviene sul terreno della crescita economica, del pil, dei consumi oppure dell'occupazione.

E in effetti, facendo un raffronto tra la bilancia commerciale tedesca e quella italiana, salta fuori la «sconfitta» secca per il nostro Paese. Che con l'euro, nonostante l'export abbia tenuto botta (pure sotto i colpi della profonda recessione), ha invertito la rotta positiva assicurata dalla lira e ora segna un deficit. Ora l'Italia deve fare i conti con un disavanzo, calcolato nel periodo 1999-2012, di 351,5 miliardi di euro.

Non scopriamo oggi, del resto, che l'euro è stato un affare per la Germania, mentre si è rivelato una «fregatura» clamorosa per l'Italia. I dati sono lampanti, anche quelli diversi rispetto alla bilancia commerciale. In effetti, basta guardare anche altri indicatori, come il pil procapite che nel 2012 è arrivato a quota 39mila euro in Germania contro i 30mila dell'Italia; oppure l'andamento della disoccupazione: la Germania ha chiuso lo scorso anno al 5,4%, mentre dentro i nostri confini la quota di senza lavoro era al 10,6%.

L'errore è all'origine. È il 1998. Si deve decidere il tasso di cambio delle valute europee: Berlino impone il valore del marco a tutto il Vecchio continente e - proprio grazie al cambio favorevole, insieme coi restrittivi parametri di Maastricht sui conti pubblici tarati su misura per la Germania - riesce in pochissimo tempo a rovesciare il tavolo dell'import-export.

Prima della moneta unica la musica era stata assai diversa: negli ultimi anni di lira, infatti, l'Italia aveva la bilancia commerciale sempre in attivo. Ciò anche grazie alle svalutazioni monetarie. L'avanzo era stato complessivamente di 110 miliardi di euro tra il 1992 e il 1998. Periodo nel quale l'economia tedesca non navigava a gonfie vele e, anzi, faceva i conti con un disavanzo della bilancia commerciale di 142,2 miliardi di euro.

Certo adesso anche la Germania corre il rischio di cominciare a soffrire. Gli effetti dell'austerity imposta dalla cancelliera Angela Merkel ora tornano indietro come boomerang pericolosissimi. Non a caso, lunedì il Fondo monetario internazionale ha messo in guardia Berlino, facendo piombare sul tavolo una previsione di «crescita debole» per il 2013, con significativi rischi sulle prospettive. Di qui la richiesta di evitare un «risanamento eccessivo». Basta col rigore, dice l'Fmi.

Appello, quello dell'organismo con sede a Washington, al quale Berlino non ha ancora formalmente replicato. D'altra parte, non c'è da aspettarsi alcuna mossa a sorpresa: la Merkel non ha mai guardato con favore l'ipotesi di allentare la morsa sulla disciplina di bilancio.

Tuttavia Berlino non può nemmeno tirare troppo la corda: Italia, Spagna e pure Francia stanno annaspando e senza i principali partner dell'euro per la Germania sarebbe una débâcle. I veti della Merkel scricchiolano da un po' e la stessa cancelliera ha aperto a un maggiore coordinamento su fisco, lavoro e pensioni. Ma è davvero presto per ipotizzare l'avvio di un ampio percorso volto a riformare l'assetto istituzionale dell'Unione europea e della stessa Banca centrale europea.

 

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