JIHAD PATINATA - L’ISIS COMBATTE LA SUA GUERRA ANCHE CON I MEDIA E DOPO TWITTER E I VIDEO, PUNTA MOLTO SULLA RIVISTA “DAQIB”: GRAFICA CURATA, MOLTE IMMAGINI DI COMBATTIMENTI - C’E’ ANCHE LA RUBRICA SUI BUONI SENTIMENTI

Francesco Borgonovo per "Libero Quotidiano"

 

DABIQ isisDABIQ isis

Abbiamo visto i loro trailer in stile Hollywood, i filmati delle esecuzioni realizzati sul modello delle serie televisive, perfino i videogiochi. Adesso ci tocca il loro Vanity Fair. I propagandisti dello Stato islamico hanno deciso di allargarsi alla carta stampata, sfornando una rivista patinata senza nulla da invidiare ai nostri prodotti da edicola. Se non fosse che, invece delle ultime novità del glamour, pubblicizza la guerra santa.

 

Dopo tutto, ognuno ha i suoi gusti. Il giornale si chiama Dabiq, dal nome di una città situata nel Nordest della Siria, nel governatorato di Aleppo. Lì si svolse, nel 1516, la battaglia di Marj Dabiq tra gli ottomani e i mammelucchi, decisiva per cementare le fondamenta dell’ultimo califfato, a cui si ispira quello rimesso in piedi oggi da al Baghdadi. Quindi la testata è quanto mai esplicativa delle intenzioni dei redattori.

 

La veste grafica è molto curata, ricca di immagini, tra cui spiccano fotografie di guerriglia e raffigurazioni epiche dei combattenti musulmani circondati dalle fiamme. Il contenuto degli articoli non è da meno. Si tratta, in pratica, di una versione islamica e maschile di Donna Moderna: avrebbero potuto chiamarlo Jihadista Moderno o A.

sostenitori di isis festeggiano in siriasostenitori di isis festeggiano in siria

 

Dove la A sta evidentemente per Allah. Il primo numero della rivista è uscito in agosto, in questi giorni è arrivato il quarto. Le copertine sono sempre ad effetto: una grande immagine centrale e qualche titolo in basso, un po’ come fa l’Espresso. Sull’ultima campeggia un fotomontaggio che raffigura una bandiera nera del Califfato sventolante in piazza San Pietro a Roma. Titolo: «La crociata fallita».

 

Come intuibile, il tono bellicoso la fa da padrone, tra promesse di conquista, sterminio e brutalità assortite. Ma, da rivista patinata di qualità, Dabiq si apre ai temi più vari. C’è un’intera sezione dedicata ai buoni sentimenti. Sotto l’accattivante titolo «Una finestra sullo Stato islamico», vengono indicate tutte le opere di bene realizzate dal Califfato, quasi si trattasse di una brochure di un’associazione umanitaria. Si vede la foto di un ponte in riparazione.

 

nazisis  nazisis

Poi, quella di una berlina che attraversa il suddetto ponte riparato (lo dicono loro: magari la sequenza delle foto è inversa e la berlina era l’autobomba che ha fatto esplodere il tutto, ma diamo ai guerriglieri il beneficio del dubbio). In un’altra pagina, immagini di operai al lavoro per ripristinare l’energia elettrica. Un servizio di pulizia della strada (poco importa che la strada non sia asfaltata e che spostare la polvere da un posto all’altro si riveli sostanzialmente inutile).

 

Ancora, un ragazzino sottoposto a terapia contro il cancro che solleva una bandiera dell’Is. Infine, ecco la radiosa inquadratura di una casa di riposo per anziani, dove tutti gli arzilli vegliardi sono accomodati davanti a una tavola imbandita (chiaramente, sono tutti uomini). Viene quasi da intenerirsi, non fosse che poche pagine dopo troviamo il povero Sotloff con la testa mozzata. Ma veniamo alla sezione più interessante della rivista.

 

Quella, potremmo dire, dedicata al «lifestyle», alle ultime mode del Califfato. Dovete sapere, infatti, che ultimamente è tornata in gran voga la schiavitù. Unita alla sottomissione sessuale. Già ce li immaginiamo, i coniugi, accomodati sul divano (anzi, l’ottomana), con lei che dice a lui: «Caro, lo sai che è di gran moda avere una schiava?».

 

E quello: «Ah sì? Non credere a tutto quello che leggi sui giornali. Comunque, se è per non farti sfigurare con le tue amiche, ne possiamo prendere un paio anche noi». Cerchiamo di riderne, per sdrammatizzare. Ma quel che si legge davvero su Dabiq è agghiacciante. L’articolo si intitola «Il ritorno della schiavitù prima dell’Ora» (riferito al giorno del giudizio). E spiega che il ritorno della schiavitù nel mondo islamico è segno della vittoria imminente.

il mondo secondo l'isis  2il mondo secondo l'isis 2

 

Poi, chiarisce nel dettaglio perché ridurre le femmine infedeli al ruolo di schiave e concubine è non solo permesso dal Corano, ma anche auspicabile. Per prima cosa, viene sgombrato il campo da equivoci. E cioè si precisa che anche le donne della minoranza yazida (considerate «adoratrici del demonio» e perseguitate senza requie in questi mesi) possono essere schiavizzate e non semplicemente passate a fil di spada.

 

Poi, testi sacri alla mano, l’anonimo autore dell’articolo - forse il portavoce dell’Is in persona - dimostra che «schiavizzare le famiglie degli infedeli e prendere le loro donne come concubine è un orientamento fermamente stabilito dalla sharia che se uno negasse o ignorasse, sarebbe come negare o ignorare i versetti del Corano o le narrazioni del Profeta».

isis in siriaisis in siria

 

La schiavitù permette di non cadere in tentazione, infrangendo il sacro vincolo del matrimonio. Per esempio, se uno ha in casa una domestica, molto meglio che questa sia direttamente una schiava sessuale, poiché in quel caso «la relazione sarebbe legale». Infine, è bene che il padrone abbia un figlio dalle donne «infedeli» di sua proprietà, perché è scritto che «la schiava darà i natali al suo padrone».

 

FILMATO ISISFILMATO ISIS

Il figlio di un’infedele, infatti, può essere islamico e, di conseguenza, schiavizzare a sua volta la propria madre. Chiaro, no? In questo modo si giustifica quanto affermato in un altro articolo: «Noi conquisteremo la vostra Roma, spezzeremo le vostre croci e renderemo schiave le vostre donne, col il permesso di Allah. (...) Se noi non lo realizzeremo in questo tempo, i nostri figli e i nostri nipoti lo realizzeranno e loro venderanno i vostri figli come schiavi». E sarà tutto lecito, perché il Corano lo permette. Per saperne di più, potete abbonarvi a Dabiq. È economico: al massimo, fra qualche anno, vi costerà la vita.

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