1. MISSIONE COMPIUTA: L’OPERAZIONE NAPOLITANO CONFERMA CHE DA NOVEMBRE 2011 L’ITALIA È DIVENTATA UN PROTETTORATO COLONIALE TELEGUIDATO DA WASHINGTON E BERLINO 2. SECONDO IL MAGO PADELLARO, DALLA MANCATA SFIDUCIA DI MONTI AL BALLETTO DEI “SAGGI”, UN PIANO STUDIATO NEI PARTICOLARI DA RE GIORGIO PER FARSI RIELEGGERE! 3. LA PROVA? LE CANCELLERIE INTERNAZIONALI CHE LO RINGRAZIANO PER IL “SACRIFICIO” 4. SECONDO IL MAGO FERRARA, IL RITO MASSONICO DELL’ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO, CHE SI FONDA SUL VOTO SEGRETO: È VIETATO CANDIDARSI, NON BISOGNA DIRE PER CHI SI VOTA, NON SONO ACCETTATE DISCUSSIONI PUBBLICHE, BISOGNA ESSERE UOMINI...

1. ERA TUTTO STUDIATO
Antonio Padellaro per "Il Fatto Quotidiano"


C'è un filo rosso che porta allo sconcertante bis di Giorgio Napolitano, parte da lontano e si chiama governo delle larghe intese con Berlusconi. E' una lampante verità che sul Colle delle bugie e dei nastri cancellati nessuno pub negare, scolpita sui moniti che d'ora in poi saranno legge. Quel filo del Quirinale, nel dicembre 2011 dopo la disastrosa caduta del governo B., impedisce le elezioni anticipate.

Come mai? Forse era chiaro che, con il crollo annunciato della destra, il Pd vincitore avrebbe potuto imporre senza problemi il proprio capo dello Stato?E perché quando, nel dicembre scorso, Monti si dimette, non viene rispedito alle Camere per verificare la fiducia? Forse perché timing, perfetto, consentiva alla presidenza di gestire non solo le elezioni, ma anche il dopo? Il pareggio auspicato e raggiunto, il mezzo incarico a Bersani, lo stop a M5S che chiede un premier fuori dai partiti, la melina dei "saggi".

Tutto per arrivare paralizzati all'elezione del Presidente e quindi all'inevitabile rielezione? Forse il piano non era cosa diabolico, forse l'encefalogramma piatto dei partiti ha permesso a Napolitano di orchestrare la crisi come meglio voleva.

Ma è difficile credere che, dopo aver respinto fino alla noia ogni offerta per restare, il navigato politico abbia ceduto in un paio d'ore alle suppliche di alcuni presunti leader alla canna del gas.

Si è fatto rieleggere, vogliamo credere, non per sete di potere (a 88 anni!), ma per governare l'inciucio che nella sua testa è l'unico strumento per controllare un Paese allo sfascio. E per tenere lontano quell'eversore di Grillo che crede addirittura nella democrazia dei cittadini. Non s'illuda, però: davanti ai problemi giganteschi degli italiani (e alle piazze in fermento), questa monarchia decrepita e grottesca è solo uno scudo di paglia. D'ora in poi questi politici inetti e disperati il conto lo faranno pagare a lui.

2. IL RITO MASSONICO DELL'ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO
Giuliano Ferrara per "Il Giornale"


Il libero voto segreto dei parlamentari ha ricostituito in extremis l'unità rappresentativa della nazione con la rielezione di Giorgio Napolitano. Ma prima ci siamo giocati Franco Marini (intesa e condivisione) e ci siamo giocati Romano Prodi (rottura e divisione) a colpi di voto segreto. Il luogo politico dell'affaire è la lotteria massonica detta anche «elezione del presidente» secondo la Costituzione più bella del mondo (firmato: Roberto Benigni).

Lo strumento è il libero voto segreto di deputati e senatori, definiti cecchini o franco-tiratori sul modello della guerra tra Prussia e Francia degli anni 1870 e 1871. Ragioniamo. Adottiamo questo modo di fare ormai esotico, così lontano dai clic della mente retina, così inusuale: ragioniamo, argomentiamo, scaviamo nei concetti. Almeno un po', senza boria, tanto meno boria del dotto. Sulla scorta del senso comune o del buon senso. Dunque.

Perché sia dannato come spergiuro e traditore un deputato o senatore, il quale aderisca formalmente a una decisione del suo gruppo parlamentare ma poi nell'urna voti in modo difforme, occorre che si diano delle condizioni tassative. Bersani, comprensibilmente adirato con gli altri e non con se stesso, la fa troppo facile.

La prima condizione è che quel voto in dissenso dato nell'ombra colpisca una decisione maturata nella libertà, argomentata razionalmente, presa in un contesto in cui esistevano alternative visibili, dunque una decisione democratica effettiva.

La seconda condizione è chiarire in modo esauriente a che cosa serva il voto segreto, protetto da un catafalco e da opportune tendine, e perché sia considerato irritale e di cattivo gusto sottrarsi alla regola del voto segreto magari fotografando la scheda con il telefonino o ricorrendo a mezzucci grafici, come per esempio la formulazione «R. Prodi» che sarebbe stata adottata da Vendola e dai suoi nel fatale quarto scrutinio di venerdì pomeriggio in cui Prodi cadde con grande fragore e dolore.

La mia tesi è che, prima condizione, le decisioni prese per acclamazione, come nelle tribù barbariche, e proposte nominativamente qualche ora prima del voto, sono una caricatura della democrazia politica, e corrispondono purtroppo al metodo di elezione del capo dello Stato che è proprio della nostra Costituzione, che non è la più bella del mondo, sul modello dell'adunata massonica.

La segretezza è il codice, il linguaggio preferito della procedura costituzionale di elezione del primo magistrato della Repubblica. Se fatti in pubblico, si dice che i nomi si bruciano. Nessuno mai si candida con un programma e con le sue idee e per realizzare un certo modello politico civile, tutti sono sempre portati, sostenuti, inventati da kingmaker che non sono corpi elettorali scelti dai cittadini ma forze potenti, ovvero oligarchie del sistema dei partiti (e anche estranee ad esso).

Il parlamentare è da sempre il terminale, che si vorrebbe inerte ma talvolta non lo è, di questa procedura decisamente antidemocratica. Tutto parte da una circostanza, la scadenza del mandato o le dimissioni del presidente in carica, e dalla fissazione di una data nella quale le Camere si riuniscono come seggio elettorale, il che significa che sono chiamate ad eleggere al buio, senza alcun potere di discussione parlamentare, o sulla scorta di indicazioni sghembe, traversali, presuntive, l'uomo fatale che sarà per sette lunghi anni l'inquilino del Quirinale.

Se è così, ribellarsi è giusto, come diceva il Grande Timoniere cinese. Si obietterà. Ma ribellati a viso aperto, perdinci, non essere ipocrita, non è una bella cosa mentire, dire che sì, si è d'accordo su un nome, e poi «impallinarlo» nel segreto dello scrutinio mettendo nei guai il tuo partito o la tua coalizione, per non parlare di un Paese smarrito.

Ma l'espressione importante è «nel segreto dello scrutinio», tutto il resto è retorica o questione etica che vale nei comportamenti privati o pubblici, in famiglia e nella professione, ma non nell'esercizio della sovranità politica democratica. Qui siamo in una istituzione repubblicana che si è voluta regolare, e su tali questioni avviene in tutto il mondo, con la procedura sacra del voto segreto.

E perché? Ora io affermo una cosa evidente ma accuratamente nascosta tra le righe dell'ipocrisia del potere. Il voto segreto serve proprio a consentire con il timbro della legalità lo svincolarsi del parlamentare da decisioni non democratiche, sebbene a quel modo acconciate tanto per far scena. Il voto segreto è garanzia che l'eletto sia prescelto da un'assemblea libera, che ha sempre il potere di rigettare, comunque si siano espresse, pressioni e trappole che imprigionano la volontà e obbligano in una certa direzione.

Il parlamentare rappresenta la nazione, dice la Costituzione, e in questo non sbaglia. Non è una pedina in mano ai gruppi dirigenti dei partiti e dei movimenti anche a 5 Stelle. E lo strumento che gli consente di rappresentare la nazione si chiama voto segreto. Dunque, i franco-tiratori sono gli eroi della libertà parlamentare e il voto segreto che li legittima e li giustifica è la garanzia che le decisioni siano prese in nome del popolo italiano, e non di Bersani o chi per lui.

Per Franco Marini mi dispiace, ma il quorum era troppo alto, la forza persuasiva di un'intesa tra il Pd e il Cav e Monti è logorata e non unifica due terzi dei rappresentanti della nazione. Per Romano Prodi non posso dire che mi dispiaccia, anche senza maramaldeggiare, ma anche lì vale lo stesso ragionamento.

Per Napolitano, la proposta era persuasiva, sapeva di democrazia politica efficiente e seria, ed è passata senza problemi anche a voto segreto. Sempre che si possa continuare a ragionare, direi, tra un tweet e l'altro, tra un golpe e una marcia da operetta, che non tutto è bene quel che finisce bene, ma provvisoriamente è finita bene. Grazie ai traditori.

 

napolitano e merkel BARACK OBAMA E GIORGIO NAPOLITANO ALLA CASA BIANCA MARIO MONTI FA GOL AD ANGELA MERKEL NEL PRESEPE NAPOLETANOmonti napolitano merkel obama vignettaAntonio Padellaro PRESIDIO GRILLINO PER LA FORMAZIONE DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI APRISCATOLE IN SENATO FOTO TWITTER BEPPE GRILLOmassoneria GRAN LOGGIA D ITALIA MASSONERIA MASSONERIA RAFFIMASSONERIA IL TEMPIO DI PALAZZO VITELLESCHI A ROMA MASSONERIA GREMBIULE DA MAESTRO VENERABILE E CAPPUCCIO GIULIANO FERRARA E PAOLO MIELI

Ultimi Dagoreport

francesco milleri andrea orcel carlo messina nagel donnet generali caltagirone

DAGOREPORT - COSA FRULLA NELLA TESTA DI FRANCESCO MILLERI, GRAN TIMONIERE DEGLI AFFARI DELLA LITIGIOSA DINASTIA DEL VECCHIO? RISPETTO ALLO SPARTITO CHE LO VEDE DA ANNI AL GUINZAGLIO DI UN CALTAGIRONE SEMPRE PIÙ POSSEDUTO DAL SOGNO ALLUCINATORIO DI CONQUISTARE GENERALI, IL CEO DI DELFIN HA CAMBIATO PAROLE E MUSICA - INTERPELLATO SULL’OPS LANCIATA DA MEDIOBANCA SU BANCA GENERALI, MILLERI HA SORPRESO TUTTI RILASCIANDO ESPLICITI SEGNALI DI APERTURA AL “NEMICO” ALBERTO NAGEL: “ALCUNE COSE LE HA FATTE… LUI STA CERCANDO DI CAMBIARE IL RUOLO DI MEDIOBANCA, C’È DA APPREZZARLO… SE QUESTA È UN’OPERAZIONE CHE PORTA VALORE, ALLORA CI VEDRÀ SICURAMENTE A FAVORE” – UN SEGNALE DI DISPONIBILITÀ, QUELLO DI MILLERI, CHE SI AGGIUNGE AGLI APPLAUSI DELL’ALTRO ALLEATO DI CALTARICCONE, IL CEO DI MPS, FRANCESCO LOVAGLIO - AL PARI DELLA DIVERSITÀ DI INTERESSI BANCARI CHE DIVIDE LEGA E FRATELLI D’ITALIA (SI VEDA L’OPS DI UNICREDIT SU BPM), UNA DIFFORMITÀ DI OBIETTIVI ECONOMICI POTREBBE BENISSIMO STARCI ANCHE TRA GLI EREDI DELLA FAMIGLIA DEL VECCHIO RISPETTO AL PIANO DEI “CALTAGIRONESI’’ DEI PALAZZI ROMANI…

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO