L’AUTUNNO DELLA DECADENCE – L’ULTIMA IPOTESI? CHIEDERE LA GRAZIA A RE GIORGIO (MA SILVIO NON VUOLE) – IL CAV. INTANTO SI PREPARA AL PEGGIO: FARE IL ‘’BEPPE GRILLO” DI SUA FIGLIA MARINA…

Salvatore Merlo per "Il Foglio"
Franco Coppi, il suo grande avvocato, non esclude che Silvio Berlusconi possa chiedere la grazia, ma lui, chiuso nella dimora di Arcore e confortato dall'altro avvocato, Niccolò Ghedini, si confessa con amici e parenti dicendo che non vuole chiederla. Ma chissà. La diplomazia è al lavoro e ieri sera, con lui, gli avvocati hanno parlato a lungo dell'ipotesi di chiedere un atto di clemenza al Quirinale. D'altra parte, fra i tanti pensieri che gli passano per la testa in queste ore incerte, c'è anche l'intima consapevolezza che i suoi guai giudiziari, la decadenza dal Senato, e persino gli arresti domiciliari, sono come certi veleni che spesso rompono il vetro che li contiene. E nessuno, nell'Italia politica, al Quirinale e a Palazzo Chigi, nella residenza di Giorgio Napolitano e in quella di Enrico Letta, vuole morire avvelenato.
E dunque la parola "grazia" si riaffaccia sul proscenio, e all'interno della corte di Arcore la maneggiano con cautela e con rispetto, come se fosse una cosa vera, possibile: ma chi la chiede, se Berlusconi non vuole? Sono tutti convinti che il tempo sia poco, che la strategia della dilazione sia fallita, infranta contro le incertezze del Pd e che dunque entro il 15 ottobre il meccanismo della decadenza in Senato sarà inevitabile.
Il destino si compie. Così il Cavaliere, straordinariamente adattabile a tutte le esigenze del suo tempo dinamico, si prepara al peggio, ha finito di scrivere un discorso fiammeggiante da pronunciare al Senato, ma sono quaranta pagine e vanno sfoltite senza pietà. E' un discorso sullo stato della giustizia in Italia, è la fine del governo di larghe intese.
Nei suoi colloqui privati, non esclude più di diventare il Beppe Grillo di sua figlia Marina, cioè il grande capo ineleggibile, confinato in un luogo remoto, magari agli arresti, il vecchio della montagna di Arcore, consigliere specialissimo di una nuova Berlusconi, ma in gonnella, ancora riluttante, è vero, eppure pronta a bere l'amaro calice della politica se fosse inevitabile, e soprattutto se fosse il padre a chiederlo.
Così adesso il Cavaliere, col suo carattere variabile, capace di eccessi sia nel bene sia nel male, come succede per tutte le creature che ebbero dal destino troppi doni, soppesa senza cautela la possibilità di far precipitare tutto, "non mi danno scelta", dice, affranto d'impossibilità. E pensa dunque di consegnarsi a una campagna elettorale mai vista prima, padre e figlia insieme, o quasi. Ma nulla è ancora deciso. Gli amici, per primo Gianni Letta, invitano Berlusconi a considerare i rischi dell'incognito.
"La peggiore politica è quella fatta a nervi tesi", gli dicono, "aspetta", insistono, sarebbe un grave errore strategico trasformarsi da vittime giudiziarie in carnefici politici della grande coalizione. E dunque il Cavaliere tentenna, oscilla. S'allontana un momento, seccato, ma poi non può fare a meno di tornare all'idea della crisi, come un topo verso il boccone avvelenato. La crisi forse non porterebbe alle elezioni, ma ci sarebbe la lunga campagna elettorale del prigioniero libero (e di sua figlia), dall'opposizione. Prima, certo, potrebbe esserci una richiesta di grazia, chissà, il miraggio d'un lieto fine.

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