
L’UNICA ARMA CON CUI L’EUROPA PUÒ FARE MALE A PUTIN SONO I SOLDI – L'AMBASCIATORE STEFANINI SUONA LA SVEGLIA AI PAESI DELL’UE, CHE CONTINUANO A MUOVERSI IN ORDINE SPARSO: “PER FAR SENTIRE LA PROPRIA VOCE, I LEADER POSSONO FARE UNA COSA: USARE I SOLDI RUSSI CONGELATI, O MEGLIO GLI INTERESSI FRUTTATI, PER DARE UN SOSTEGNO FINANZIARIO A KIEV. E PER RISPONDERE ALLO SCHIAFFO DI SERGEI LAVROV, CHE HA LIQUIDATO IL PIANO DI PACE UE-KIEV CON UN ‘NON SE PARLA NEANCHE’...”
Estratto dell’articolo di Stefano Stefanini per "la Stampa"
VERTICE ALLA CASA BIANCA CON DONALD TRUMP VOLODYMYR ZELENSKY E I VOLENTEROSI
L'Europa sta cercando di far sentire la sua voce sull'Ucraina. Purtroppo, per non smentirsi, lo sta facendo in ordine sparso. Con un asciutto comunicato congiunto mattutino i principali leader ribadiscono la classica posizione pro cessate il fuoco senza precondizioni o complicazioni.
Nel tardo pomeriggio, via Bloomberg, arriva la notizia di un tanto ben intenzionato quanto complesso piano di pace Ue-Kiev che punta al coinvolgimento dello stesso Donald Trump. A tarda serata sul piano gravitava ancora il silenzio di Washington e delle capitali europee. Alla vigilia del Consiglio europeo che ha l'Ucraina al centro dell'agenda.
Forse Bruxelles voleva sorprendere Mosca. Che ha messo subito le mani avanti. Sergei Lavrov non aveva perso tempo. A comunicato congiunto dei leader europei e di Volodymir Zelensky fresco di stampa, aveva fatto immediatamente sapere «non se ne parla neanche». Di armistizio con congelamento della linea del fronte.
Tradotto: la Russia vuole più territorio oltre quello strappato con le armi (e qualche centinaio di migliaia di vite umane). Più le «cause alla radice» del conflitto, sinonimo di "Zelensky deve andarsene". Più chiaro di così non poteva essere.
Anche sul piano, ove mai l'intelligence di Mosca ne avesse già avuto sentore, prima di Bloomberg. Il "nyet" esclude pure il contenuto nel piano.
Non c'è nulla di nuovo né nella posizione russa né in quelle europee. Lavrov si è guadagnato i galloni di longevità alla guida della politica estera di Mosca per coerenza nel sostenerla, difendibile o meno. Da mesi europei e ucraini puntano a un cessate il fuoco che metta fine alla guerra lasciando le cose come stanno sul terreno: chi ha preso (Russia) ha preso, chi ha difeso (Ucraina) ha difeso. La soluzione "coreana": niente pace ma niente più sangue. Pensavano di aver convinto anche un ondivago Donald Trump.
VERTICE ALLA CASA BIANCA CON DONALD TRUMP VOLODYMYR ZELENSKY E I VOLENTEROSI
Adesso però si sentono dire da Lavrov che sulla posizione russa Trump e Putin «avevano raggiunto un'intesa in Alaska». Beninteso l'unico che potrebbe smentire, il presidente americano, se ne guarda bene.
Sulla guerra russo-ucraina Trump ha detto di tutto e il contrario di tutto. Ha fatto niente o quasi, salvo un tourbillon diplomatico affidato all'indispensabile Steve Witkoff ma con diretto e ripetuto impegno personale, sia con Putin, lunghe telefonate e Anchorage, che con Zelensky incontrato varie volte, persino nella navata di San Pietro.
Ma l'ultima visita del presidente ucraino alla Casa Bianca, pur non disastrosa come la prima, non è andata bene. Più ne filtrano notizie, più si rafforza l'impressione che Trump, reduce dai fasti mediorientali e da due ore di conversazione telefonica con Putin, abbia prospettato (raccomandato?) la cessione di (altro) territorio alla Russia - l'intero Donetsk? - in cambio di pace per l'Ucraina. "Land for peace". Così raccontano le fonti americane più vicine al colloquio.
la stretta di mano tra putin e trump ad anchorage, alaska. foto lapresse
L'affrettata consultazione dei principali leader europei – Frederiksen, Macron, Meloni, Merz, Starmer, Støre, Stubb, Tusk, più Costa e von der Leyen per l'Ue - con Zelensky correva ai ripari. Le brevi conclusioni sono tanto sacrosante quanto in predicato. Un'incognita riguarda le "misure per l'utilizzo dei fondi russi congelati".
Darebbe una bella boccata d'ossigeno finanziaria all'Ucraina, specie adesso che le forniture militari americane si pagano in contanti, ma l'Ue ne parla da più di un anno. Riuscirà il Consiglio europeo di domani a superare il veto ungherese, nonché altre perplessità?
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DONALD TUSK - EMMANUEL MACRON - KEIR STARMER - FRIEDRICH MERZ - INCONTRO A TIRANA
Ma il vero interrogativo sta nelle tre frasi che dicono testualmente: sì alla posizione di Trump per mettere immediatamente fine alla guerra; il fronte ("linea di contatto") come punto di partenza dei negoziati; i confini internazionali non si cambiano con la forza.
Sorvolando sull'ultimo punto, bello per quanto antistorico - apriamo l'atlante: quale confine europeo non è stato tracciato con la forza? Si può giocare con le parole ma la partenza dei negoziati dalla linea di contatto è proprio quanto Lavrov ha prontamente rigettato.
A meno di non negoziare continuando a combattere, ma allora dove va a finire l'«immediatamente» della posizione di Trump? Si torna all'incognita principale: non si sa quale sia la posizione di Trump. Dalla parte della pace per definizione, al punto di farla anche fra chi non era in guerra (Etiopia-Egitto, Serbia-Kosovo, tutto fa Nobel), ma della pace che vogliono gli europei e l'Ucraina o di quella che vuole la Russia? Con chi sta Donald?
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Pertanto, gli europei e Zelensky fanno l'unica cosa possibile: fare finta che Trump sia con loro e che la sua posizione, che appoggiano, ormai formula standard quando si parla del presidente americano, sia di un cessate il fuoco senza ulteriori cessioni territoriali ucraine. Poi si negozierà. Questo è quanto dicono col comunicato di ieri. Lo pensano? Lo credono?
Soprattutto, si sono domandati il "cosa fare", se dopo l'incontro con Putin, Trump chiedesse a Zelensky di mollare più territorio? A quel punto chi e cosa appoggerà l'Europa? Forse in privato, forse alcuni dei leader ne hanno parlato.
la stretta di mano tra putin e trump ad anchorage, alaska. foto lapresse
Intanto però i leader dell'Ue possono fare una cosa. Oltre il piano per dimostrare di esserci. Usare i soldi russi congelati, o meglio gli interessi fruttati, non il capitale che resta proprietà di Mosca, per dare un sostegno finanziario a Kiev. E per rispondere non passivamente allo schiaffo di Sergei Lavrov. Che non si cura dei piani, ma i soldi sono un'altra cosa.
KEIR STARMER - EMMANUEL MACRON - FRIEDRICH MERZ - IN TRENO PER KIEV