IL LEONE E’ DIVENTATO UN’ANATRA ZOPPA? - LA “SATIRA” ANTIREGIME IN SIRIA DIPINGE ASSAD (IN ARABO, LEONE) IN VERSIONE VOLATILE CHE BECCHETTA IL MANGIME GETTATO A TERRA DA MINISTRI E GENERALI - LA STORIA DELLA “DEBOLEZZA” DI ASSAD E DELLA FEROCIA DEL SUO FRATELLINO MAHER, CHE L’80ENNE MADRE ANISA VORREBBE VEDERE PRESIDENTE - MA CHE BELLA FAMIGLIOLA! TRE CUGINI A CAPO DELLE MILIZIE CIVILI ACCUSATE DEI CRIMINI PIÙ EFFERATI NEGLI ULTIMI MESI….

Lorenzo Cremonesi per il "Corriere della Sera"

Altro che leone! Assad in arabo significa appunto leone. Ma l'immagine che impera è quella dell'anatra. «Bashar bhatta» (anatra in arabo), dicono i ribelli, ma spesso sussurrano anche i suoi sostenitori, timorosi che un presidente tanto debole per un momento tanto grave non possa altro che portare guai e accelerare la fine della dittatura. L'appellativo nasce da una mail di un suo impiegato, che lo chiamava così in modo affettuoso, scoperta pochi mesi fa dall'opposizione e diffusa sulla rete via web.

Da allora sui muri delle strade della rivolta non è difficile vedere disegnata la caricatura di Bashar Assad raffigurato come un'anatra che lemme lemme, obbediente e timoroso, becchetta il miglio gettato a terra dai ministri e generali del suo governo.
Il messaggio è semplice: il presidente non conta nulla, sono gli uomini della vecchia nomenclatura, i capi dei maggiori clan alauiti, i quadri alti dell'esercito, dei potentissimi servizi segreti, che dettano le grandi scelte della politica estera e interna.

Il padre Hafez, morto nel Duemila dopo tre decenni di totale controllo sugli apparati dello Stato, era davvero un Assad, un leone combattente. Ma Bashar non ha nulla di quella tempra, al meglio è una «bhatta». Che non è poi tanto orribile per un dittatore. Non fa paura, pena piuttosto. La sua viene descritta come una figura patetica, un poco comica, goffa, prigioniero dei suoi fedelissimi, vittima del tiro incrociato dei nemici interni ed esterni. «Alla fine Bashar cercherà di scappare, di fuggire all'estero con la moglie Asma e i figli.

Non ha la stoffa del combattente. E allora potrebbe essere qualcuno del suo cerchio più intimo, magari lo stesso fratello Maher, che potrebbe assassinarlo per evitare la vergogna sulla famiglia», sostenevano solo pochi giorni fa alcuni alti ex ufficiali dell'esercito passati armi e bagagli tra le file della rivoluzione e incontrati alle porte di Aleppo mentre andavano a rafforzare le brigate asserragliate nel centro.

La narrativa della debolezza di Bashar del resto non è nuova. Risale direttamente al 1994, quando la morte del fratello primogenito Basil (erede designato da molti anni) in un incidente d'auto presso l'aeroporto internazionale di Damasco spinse Hafez a richiamare il figlio da Londra dove esercitava da medico oftalmologo per prepararlo alla successione. Da una confortevole esistenza di studioso e ricercatore nelle migliori università anglosassoni venne improvvisamente catapultato nella macchina militare del regime.

Non è chiaro quanto Bashar abbia apprezzato la scelta. Certo non piacque al fratello più giovane Maher (classe 1967), sin da giovanissimo educato nelle accademie militari siriane e in Russia, legato ai cugini capi dei servizi segreti civili e militari. Soprattutto apprezzato dalla mamma, Anisa, oggi quasi ottantenne, eppure ancora attiva e attenta agli interessi di famiglia.

Durante un viaggio a Qardaqha, il villaggio natale del clan Assad sulle colline che dominano il porto di Latakia, nel cuore delle regioni alauite, un medico locale, a conoscenza delle dinamiche interne al clan Assad, mi confidò che oggi Anisa starebbe premendo per sostituire Maher a Bashar. Ma ciò troverebbe l'opposizione del resto del clan, timoroso che un cambio tanto importante alla testa del regime in questo periodo non farebbe altro che rivelare le debolezze interne.

Fu proprio Maher nel 2001 a convincere Bashar a porre rapidamente fine a quella che allora era stata definita con ottimismo la «primavera di Damasco». Una breve stagione di speranza per i difensori dei diritti umani e della democrazia nel Paese, quando parve per qualche mese che Bashar potesse garantire il pluralismo dei partiti e la libertà di stampa.
Poi fu il ritorno del pugno di ferro. Via via sempre più duro, più oppressivo. Il buio.

Fu evidente dopo l'assassinio del premier sunnita libanese Rafik Hariri, nel 2005, quando il regime fece quadrato contro le accuse delle forze liberali libanesi, della comunità internazionale e della commissione investigativa organizzata dalle Nazioni Unite. Allora i giudici Onu in un rapporto preliminare indicarono Maher e il cugino Asef Shawakat come possibili mandanti. Nei circoli intellettuali di Beirut le responsabilità siriane per la morte di Hariri furono poi allargate a quelle degli assassini di una decina tra intellettuali, giornalisti e politici libanesi negli anni seguenti.

Oggi la nomenclatura alauita si distingue per i modi brutali con cui cerca di reprimere la marea sempre montante delle rivolte. Maher è a capo della temibile Guardia repubblicana oltre che comandante della Quarta divisione, responsabile tra l'altro della sanguinosa repressione delle rivolte nella città di Daraa nel marzo 2011, dove furono proprio le immagini delle decine di vittime civili uccise a sangue freddo dai soldati a contribuire alla diffusione della protesta in tutto il Paese.

Ma il clan è molto largo. Tre cugini di Bashar - Fawaz Assad, Yasser Assad e Rias Assad - sono a capo della cosiddetta Shabiha (gli spettri), le milizie civili accusate dei crimini più efferati negli ultimi mesi. Rami Makluf, classe 1969 (il padre Mohammad Makluf era fratello di Anisa), ha in mano l'economia di famiglia. Controlla la telefonia cellulare nazionale, due banche, l'import di auto di lusso, linee aeree, catene di negozi. La lista continua con Alì Mamluk, nato nel 1946, uno dei pochi sunniti ad avere un ruolo importante come quello di direttore della Sicurezza Nazionale.

A capo dell'intelligence militare c'è però un alauita, Abdul Fatah Qudsiya, responsabile tra l'altro degli assedi sanguinosi su Homs, Hama e ora Aleppo. Lo affianca Rafiq Shahada, promosso dopo il grave attentato che a metà luglio ha decapitato gli apparati di sicurezza del regime. Hafez Makluf, responsabile dell'intelligence della capitale, nato nel 1971, è amico d'infanzia di Bashar e si trovava in auto con Basil quando avvenne l'incidente.
Un intimo dunque del presidente. Ma non è chiaro quanto oggi sia pronto a difenderlo. Anche lui potrebbe pensare che la situazione richiede leoni e non anatre.

 

 

 

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