1- LE LOGGE MASSONICHE ANGLO-AMERICANE NON VOGLIONO PIÙ BENE AL TEDESCO MONTI? 2- DOPO “FINANCIAL TIMES”, ‘’WALL STREET JOURNAL” LO BASTONA PER DUE GIORNI DI SEGUITO CON LO STESSO EDITORIALE SULL'ART 18, E OPLA’ LA RASSEGNA STAMPA ONLINE SPARISCE DAL SITO DEL GOVERNO: “RICHIESTA DEGLI EDITORI PER IL RISPETTO DEL DIRITTO D’AUTORE”. MA I MINISTERI CONTINUANO A PUBBLICARLA TRANQUILLAMENTE 3- IL TAGLIO ARRIVA A POCHI GIORNI DAL GIALLO DELLE LODI FANTASMA DI OBAMA A MONTI E L’ARTICOLO DEL “FATTO” NON SEGNALATO SULLA RASSEGNA STAMPA DI GOVERNO.IT 4- SUL CORRIERE IL DUO ALESINA-GIAVAZZI TORNA A SBRANARE MONTI: IL GOVERNO SI È ARENATO, L’ECONOMIA CONTINUA A RALLENTARE, LO SPREAD RISALE, MA MISURE PER LA CRESCITA NON CI SONO: L’UNICA CERTEZZA È L’AUMENTO DELLE TASSE (IVA DAL 21 AL 23%)

1- MONTI INCROCIA LE PENNE CON IL WALL STREET JOURNAL. E LA RASSEGNA STAMPA SPARISCE DAL SITO DEL GOVERNO (SU RICHIESTA DEGLI EDITORI)
Filippo Sensi per "Europa Quotidiano"


Va bene che repetita iuvant, ma il copione stavolta è talmente lo stesso che pare quel film sul giorno della marmotta, dove il tempo scorreva in loop nella amena cittadina americana di Punxsutawney.
Con Mario Monti, però, nella parte di Bill Murray a rivivere quotidianamente l'editoriale del Wall Street Journal sull'articolo 18, come fosse quella I got You, Babe di Sonny & Cher che lo svegliava inesorabile sempre alle 6 in punto.

Così, quando ieri il quotidiano finanziario è tornato a bacchettare il premier per essersi «arreso» sulla riforma del lavoro «davanti a coloro che stanno conducendo il paese» verso un «abisso stile Grecia», la sensazione, fortissima, del déjà vu deve avere afferrato Palazzo Chigi. Che già sabato scorso aveva mandato una cortese letterina di precisazione di Monti, tanto sulla iniziale apertura di credito del giornale che lo aveva paragonato alla Thatcher, quanto sulla successiva bocciatura per le aperture sull'articolo 18 che al Wall Street Journal proprio non vanno giù.

Il fatto è che sempre dello stesso editoriale si tratta, pubblicato venerdì scorso e ripubblicato ieri, nella edizione europea del quotidiano. Un bis in idem che, vista la giornata disastrosa dello spread e delle borse, all'inizio sembrava metterci il carico da dieci, per poi srotolarsi in un evanescente circolo vizioso. Per il quale lo staff del premier ha pensato bene di rinviare nuovamente alla precisazione di cui sopra, tanto per restare nel loop, appunto.

È vero che il vincolo esterno è tornato a farsi sentire, eccome; vuoi come pressione di mercati e poteri forti che condizionano le chances della nostra ripresa, vuoi come sponda per consentire al governo tecnico di ricordare agli stakeholder politici che la tempesta non si è affatto placata ragion per cui chi pensasse di staccare adesso la spina sarebbe un pazzo suicida.

Risiamo punto e daccapo, insomma. Nella ruota della marmotta. Con un aiutino, però, chissà quanto intenzionale. Da ieri, infatti, la rassegna stampa di Palazzo Chigi è sparita dal sito del governo.
Ufficialmente su «specifica richiesta avanzata dalle associazioni degli editori nel rispetto del diritto d'autore» (d'ora in poi sarà disponibile solo sulla rete Intranet ai dipendenti della presidenza del consiglio).

Magari, però, come qualche maligno potrebbe pensare, dopo il pasticcio sugli elogi attribuiti a Barack Obama a proposito del premier italiano e un articolo misteriosamente saltato dalla rassegna stampa dell'esecutivo, per darci un taglio con queste critiche, chissà quanto interessate, che sono tornate a piovere da fuori. Illazioni senza fondamento, figurarsi. Tanto domani, rassegnati o meno, la sveglia a Palazzo Chigi sarà puntata comunque alle sei, sul fuso di Punxsutawney.

2- RASSEGNE ONLINE: NEI SITI DEI MINISTERI RIMANGONO VISIBILI, SOLO GOVERNO.IT L'HA CASSATA

L'avranno anche chiesto gli editori, ma al momento l'unico che si è adeguato al divieto di accesso pubblico per le rassegne stampa online sembra essere il sito di Palazzo Chigi. A differenza di "governo.it", nei siti di gran parte dei ministeri le rassegne stampa rimangono visibili a tutti gli utenti. Basta navigare sui portali dell'Interno (http://www.interno.it/mininterno/site/it/sezioni/sala_stampa/rassegna_stampa/), Difesa (http://www.difesa.it/Sala_Stampa/rassegna_stampa_online/Pagine/giorno.aspx?d=11/04/2012), Esteri (http://stampanazionale.esteri.it/), Infrastrutture (http://195.45.104.212/datastampa/List.aspx?Date=Today)... Il ministero dell'Economia aveva provveduto da alcuni mesi a rendere visibile la rassegna solo alla intranet interna, mentre i siti di Camera e Senato continuano a pubblicarla regolarmente.

3- SUL CORRIERE IL DUO ALESINA-GIAVAZZI TORNA A SBRANARE MONTI
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi per il "Corriere della Sera"

Il quarto trimestre del 2011 è stato molto negativo per l'economia italiana: il reddito si è contratto dello 0,7% rispetto al trimestre precedente. In un anno la spesa delle famiglie è scesa di oltre un punto, gli investimenti delle aziende di oltre 3. È assai probabile che il primo trimestre del 2012 sia andato ancor peggio. Lo sapremo fra circa un mese, ma non è il caso di farsi illusioni. E bisogna agire d'anticipo anche perché, dopo qualche mese di calma, il costo del debito ha ricominciato a salire: dal 4,8 di un mese fa al 5,6 di ieri per i Btp decennali.

Se la crescita continuasse a essere in rosso è quasi certo che mancheremo l'obiettivo di ridurre il rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo (Pil), dato che il denominatore, il Pil appunto, scenderà. Come è successo con la Spagna, l'Unione Europea ci chiederà di fare qualcosa per riavvicinarci agli obiettivi di bilancio per il 2012 e 2013.

A quel punto, come reagirà il governo Monti? La risposta più semplice è anche quella sbagliata: non far nulla. Dal primo ottobre aumenteranno le due aliquote principali dell'Iva, rispettivamente dal 10 al 12 per cento e dal 21 al 23. Gli aumenti avverranno in modo automatico, per effetto di un provvedimento varato a suo tempo dal ministro Tremonti, che questo governo non ha cancellato.

Questa soluzione colpirebbe ulteriormente famiglie e imprese che già soffrono, non solo per il peso fiscale, ma anche per l'incertezza sul futuro delle aliquote. Quanto dovremo pagare per l'Imu? Ancora non si sa, e anche questo non aiuta a pianificare consumi e investimenti, sia italiani sia esteri.

Un'alternativa sarebbe stata dare un impulso alla crescita, cosa non facile, ce ne rendiamo conto, ma che purtroppo non è accaduta. La riforma del mercato del lavoro, così come concepita originariamente, andava nella direzione giusta. Ma ha perso efficacia prima ancora di approdare in Parlamento (ad esempio, non si applica ai lavoratori pubblici) e probabilmente ne uscirà (se uscirà) ulteriormente annacquata, come è accaduto ai provvedimenti sulle liberalizzazioni. Immaginatevi cosa sceglierà di fare un imprenditore estero che stesse valutando l'apertura di un'azienda in Italia sapendo che potrebbe essere non lui, ma un giudice a decidere in che modo gestire i suoi dipendenti.

L'unica carta che rimane da giocare è quella della «spending review», l'analisi, una per una, delle spese delle amministrazioni pubbliche per decidere dove si può tagliare. È un lavoro che il governo Monti ha giustamente iniziato dal primo giorno, ma del quale non si vede ancora il risultato.

Non c'è dubbio che la spending review sia un'idea migliore dei tagli lineari tentati dall'ex ministro Tremonti. Tagli uguali per tutti evitano di dover concertare con questo o quel ministro, con questa o quella categoria, con questa o quella lobby. Ma è un modo inefficiente e ottuso di ridurre la spesa, perché non distingue fra uscite inutili e spese necessarie.

Il rischio, però, è che la spending review, addentrandosi nei meandri del bilancio, finisca per concludere che ogni spesa è necessaria perché c'è una lobby che la difende, come ad esempio i circa 30 miliardi di euro che ogni anno lo Stato paga a imprese pubbliche e private per i motivi più svariati. Se l'alternativa è non far nulla, meglio allora tagli lineari. Il tempo stringe. L'essenziale è che nelle prossime (poche) settimane il governo spieghi che cosa e come intende ridurre il peso dello Stato sull'economia.

Non ci sono scappatoie. Pensare che sia con la spesa pubblica (come suggeriva ieri il Financial Times) che si riprende a crescere è un errore grave. Il governo deve fare l'esatto contrario. Dare a consumatori e imprenditori un messaggio chiaro: le tasse non aumenteranno perché le spese scendono. Senza queste certezze, consumi e investimenti continueranno a rallentare. E il mondo a guardarci con rinnovata preoccupazione.

 

 

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