
MAGGIORANZA NELLE SABBIE MOBILI SULLE REGIONALI - GIORGIA MELONI E I SUOI VICE TAJANI E SALVINI NON TROVANO ANCORA UN ACCORDO. PER QUESTO IL VERTICE E’ STATO ANNULLATO - LE INCOGNITE SONO TRE: CAMPANIA, PUGLIA MA SOPRATTUTTO IL VENETO. LA MELONI VUOLE ASPETTARE IL RISULTATO DELLE MARCHE: IN CASO DI SCONFITTA DI ACQUAROLI RIVENDICHEREBBE IL VENETO. MA SALVINI NON MOLLA – MASSIMO FRANCO: “SE IL CARROCCIO ALLA FINE CEDE IL PASSO A FDI, CERTIFICHERÀ L’INIZIO DEL SUO RIDIMENSIONAMENTO IN TUTTO IL NORD. SE OTTIENE QUELLO CHE VUOLE, SUONERÀ COME UN BRACCIO DI FERRO PERSO DA PALAZZO CHIGI"
Massimo Franco per il “Corriere della Sera” - Estratti
GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI E ANTONIO TAJANI A GENOVA
L’ennesimo annullamento del vertice dei leader di maggioranza sulle elezioni regionali, che si sarebbe dovuto tenere ieri, non dipende dagli impegni di governo. Più banalmente, Giorgia Meloni e i suoi vice Antonio Tajani, di Forza Italia, e Matteo Salvini della Lega, non trovano ancora un accordo. Adesso fanno sapere che «probabilmente» l’incontro slitterà alla prossima settimana.
È la conferma che, quando la riunione sarà fissata, significherà che l’intesa è già stata raggiunta: si tratterà solo di ratificarla come prova, seppure un po’ tardiva, di unità. Le incognite sulle quali continuano a non intendersi sono tre: Campania, Puglia ma soprattutto Veneto. Il timore di una sconfitta nelle prime due è corposo, nonostante le tensioni e le polemiche che hanno diviso il Pd dagli alleati, e continuano a serpeggiare.
MATTEO SALVINI - LUCA ZAIA - FOTO LAPRESSE
Per quanto riguarda il Veneto, invece, il tema è più semplice, almeno in apparenza. Si tratta di capire quale partito della coalizione di destra si intesterà una vittoria data per certa. La Lega del Veneto rivendica il primato di Luca Zaia, chiedendo un suo candidato al posto del governatore.
E la sua ambizione si scontra con la premier e Tajani, e complica la posizione di Salvini: anche se ieri lui e Zaia si sono incontrati a lungo, dopo giorni di battute sarcastiche del governatore che ha evocato o lasciato evocare una sua lista personale sganciata dallo schieramento di destra. Il riflesso inevitabile è anche sul governo: tanto che c’è da chiedersi perché Giorgia Meloni non abbia concesso da subito la carica ai leghisti.
Se il Carroccio alla fine cede il passo a FdI, certificherà il cambio di fase in Veneto, e l’inizio del suo ridimensionamento in tutto il Nord. Se ottiene quello che vuole, suonerà come un braccio di ferro perso da Palazzo Chigi: seppure per salvaguardare l’unità dell’alleanza a livello nazionale.
L’insistenza dei meloniani sulla «generosità» di FdI, che in base ai numeri potrebbero rivendicare ogni carica apicale, non aiuta. Finisce per sottolineare la subalternità della Lega, già irritata per l’affondamento della riforma sull’autonomia regionale.
GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI E ANTONIO TAJANI A GENOVA 1
Gli avvertimenti del ministro Roberto Calderoli sul leghismo secessionista delle origini segnalano un malumore profondo. «Ci incontreremo presto. Il centrodestra non ha mai avuto problemi. Non siamo un’alleanza elettorale come la sinistra, ma un’alleanza politica», ribadisce Tajani.
Ma questo rende il paradosso ancora meno spiegabile all’elettorato. E acuisce il timore di perdere nelle Regioni al voto nei prossimi due mesi.
meloni salvini tajani
Alberto Stefani matteo salvini luca zaia - festa per l autnomia a montecchio maggiore
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