1. MARCELLO DELL’UTRI PIANIFICAVA LA SUA “LATITANZA PREVENTIVA” DA MOLTO TEMPO 2. GLI INVESTIGATORI LO SCOPRIRONO PER CASO, A NOVEMBRE 2013, GRAZIE A UNA INTERCETTAZIONI AMBIENTALE IN UN NOTO RISTORANTE ROMANO,“ASSUNTA MADRE”, NEL CORSO DI UN’INCHIESTA SUL RICICLAGGIO INTERNAZIONALE 3. NE PARLAVA A CENA IL FRATELLO DI DELL’UTRI, ALBERTO, PRIMA CON L’IMPRENDITORE CATANESE VINCENZO MANCUSO E POI CON L’EX ESTREMISTA NERO GENNARO MOKBEL 4. IL 20 FEBBRAIO LA PROCURA DI ROMA TRASMETTE A PALERMO QUEL FRAMMENTO DI CONVERSAZIONE. IL 4 MARZO PARTE UNA RICHIESTA PER IL DIVIETO D’ESPATRIO CHE, IL 10 MARZO, VIENE BOCCIATA DALLA CORTE D’APPELLO. LA PROCURA GENERALE INSISTE COL RIESAME PER IL RITIRO DEI PASSAPORTI A MA IL 4 APRILE, ARRIVA UN ALTRO “NO” 5. ALBERTO DELL’UTRI: “MIO FRATELLO NON È UN LATITANTE. È UN EVASO, LA SUA VITA È UN CARCERE. È STATO IMPRUDENTE NEL PORTARE VITTORIO MANGANO AD ARCORE”

1 - DELL'UTRI, LA «LATITANZA PREVENTIVA» SVELATA DA UNA CIMICE
Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

Il piano di fuga lo stavano studiando da tempo, avendo cura di non seminare troppi indizi. «Se io fossi Marcello prenderei un volo diretto per Tel Aviv», consigliava l'imprenditore catanese Vincenzo Mancuso al fratello di Marcello Dell'Utri, Alberto. Poi bisognava proseguire per il Libano: «Se è possibile andarci in macchina è meglio, anche se si fa due ore e mezzo... Aereo no... non bisogna lasciare traccia... Io non conosco le distanze, però non ci deve arrivare con l'aereo».

Consigli dall'ex estremista nero
Altri consigli e indicazioni, per l'ex braccio destro di Berlusconi che pianificava la latitanza preventiva nella Terra dei Cedri, erano arrivate da Gennaro Mokbel, l'estremista nero degli anni Settanta divenuto uomo d'affari e condannato lo scorso anno a quindici anni di galera per la truffa Finmeccanica-Sparkle-Fastweb. «Devi avere gente sul posto che ti dà una mano, che t'aiuta... Questi sono bene sistemati...», dice Alberto Dell'Utri a Mancuso, spiegando che il fratello aveva scelto il Libano, probabilmente Beirut, «perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene, lui c'è già stato, la conosce, c'è un grande fermento culturale». Come dire che se la latitanza da preventiva doveva diventare stabile, una volta arrivata la sentenza definitiva, il bibliofilo condannato per mafia avrebbe potuto continuare a coltivare le sue passioni.

Intercettazione
L'intercettazione avvenne a un tavolo del ristorante Assunta Madre in via Giulia a Roma, a pochi passi dalla sede della Procura nazionale antimafia, e risale alla sera dell'8 novembre 2013. Una microspia della Squadra mobile della capitale registrava i discorsi fatti all'interno del locale - molto ben frequentato tra professionisti, uomini di spettacolo e politici - nell'ambito di un'indagine su un presunto riciclaggio internazionale.

Il 20 febbraio, quando la Procura di Roma lo trasmette a Palermo, quel frammento di conversazione diventa lo spunto per bloccare il progetto di fuga dell'ex senatore in attesa di pena definitiva (la Cassazione è convocata martedì per pronunciare quello che potrebbe essere l'ultimo verdetto). La Procura generale deve decidere come muoversi: chiedere l'arresto o una misura più blanda, il ritiro del passaporto?

La «cimice»
La «cimice» della polizia aveva anche intercettato le confidenze di Alberto Dell'Utri sui documenti del fratello: «Lui è andato lì (intendendo Bruxelles, ndr) insieme a questi della Guinea Bissau che lo hanno preso in seria considerazione, e gli hanno dato il passaporto diplomatico... gli hanno aperto le porte».

E la questura di Milano, in un'informativa del 29 gennaio, aveva segnalato che l'ex senatore poteva disporre del suo regolare passaporto italiano e di carta d'identità valida per l'espatrio, ha casa a Santo Domingo, oltre a molti soldi; e già nel marzo 2012, alla vigilia del precedente giudizio in Cassazione, era andato all'estero.

Che fare? Quando manca più di un mese al verdetto finale, all'ufficio guidato da Roberto Scarpinato il carcere - già negato all'indomani dell'appello-bis, a marzo 2013 - sembra una misura eccessiva, perché la Cassazione potrebbe anche non confermare la condanna e ordinare un terzo processo. Si decide per il divieto d'espatrio, richiesto il 4 marzo. Sei giorni più tardi, il 10, la Corte d'appello risponde «no»: secondo i giudici, per i reati di mafia la legge prevede o l'arresto o niente. È una questione di diritto, legata all'interpretazione delle norme e di una sentenza della Corte costituzionale in materia.
«Sussiste il concreto pericolo di fuga»

Ritiro dei passaporti
La Procura generale insiste col tribunale del riesame per il ritiro dei passaporti a Dell'Utri. Ma venerdì scorso, 4 aprile, arriva un altro diniego. Stavolta per un motivo diverso: un'intercettazione acquisita da un altro procedimento può essere utilizzata solo se «indispensabile all'accertamento di delitti», o se riguarda «fatti relativi alla punibilità, alla determinazione della pena, alla qualificazione del reato, o riscontro di dichiarazioni accusatorie».

Nulla di tutto ciò, secondo il Riesame, ha a che fare coi progetti di fuga di Dell'Utri. Quindi l'ex senatore resta libero e in grado di muoversi come crede, in Italia o all'estero. Gli elementi raccolti dalla Direzione investigativa antimafia, delegata a monitorarne le mosse, certificherebbero la «irreperibilità» dell'ex senatore sul territorio nazionale «sin dalla seconda metà dello scorso mese di marzo».

Il 3 aprile, alla vigilia del nuovo «no» al ritiro del passaporto, la Dia localizza un telefono cellulare in uso a Dell'Utri in Libano, «nelle vicinanze di Beirut». A quel punto la Procura generale chiede l'arresto, e stavolta la Corte d'appello lo concede: «Con tutta evidenza l'imputato intende sottrarsi all'esecuzione della sentenza, ove la stessa diventi irrevocabile».

Di conseguenza «sussiste il concreto pericolo di fuga, in relazione all'entità della pena inflitta e in considerazione dei rapporti intrattenuti, in un lungo arco temporale (1974-1992) dal Dell'Utri con Cosa nostra che, com'è noto, tra le infinite attività illecite, annovera pure quella di dare assistenza ai latitanti». Il provvedimento dei giudici è di martedì 8 aprile. Ma prima ancora che arrivasse l'ordinanza di custodia cautelare, nel pieno della diatriba giuridica tra i magistrati, l'ex senatore aveva avviato la sua «latitanza cautelare».

2. "MIO FRATELLO NON È UN LATITANTE. È UN EVASO, LA SUA VITA È UN CARCERE"
Grazia Longo per "la Stampa"


«Un gemello è più di un fratello». Alberto Dell'Utri, 73 anni, non solo è la fotocopia identica di Marcello, ma anche il suo principale difensore. Anche a scapito dell'evidenza.
«Latitante? No, mio fratello non è un latitante. È un evaso. Perché negli ultimi 20 anni è stato come in carcere, dietro le sbarre di accuse assurde come quelle di connivenza mafiosa. Accuse lontane anni luce dalla sua mentalità».

Eppure la condanna di concorso esterno in associazione mafiosa è assai circostanziata.
«Se fosse stato solo condannato sarebbe stato persino contento, invece è un perseguitato».

E tutte le prove contro di lui?
«Non ci sono prove. Ci sono solo racconti di pentiti che hanno sentito altri pentiti di contatti tra mio fratello e ambienti mafiosi. Non esiste alcuna prova provata di contatti reali tra mio fratello e la mafia».

Perché è scappato all'estero? Teme la condanna definitiva?
«Non è scappato, è andato in Libano per affari, per il commercio dei cedri. Poi ha avuto problemi di salute e quindi è stato costretto a rimanere fuori per curarsi».

Attualmente è ancora in Libano?
«Non lo so. Era a Beirut fino a martedì 8 aprile, ultimo giorno in cui l'ho sentito. Vede? (mostra il display del telefonino in cui risulta la chiamata dell'8 aprile, ndr). Non le racconto bugie, quel giorno mi ha detto che era a Beirut, poi non l'ho più sentito».

Neppure oggi? (ieri per chi legge, ndr)
«No, perché non risponde al telefonino. Ascolti adesso provo davanti a lei (digita il numero, ma il telefono squilla a vuoto)».

Forse non le vuole parlare per via di quella intercettazione in cui lei confidava al suo amico Vincenzo Mancuso che suo fratello sarebbe andato in Guinea Bissau o in Libano perché lì avrebbe potuto avere facilmente un passaporto diplomatico?
«Non credo, anche perché io parlavo di quei Paesi lì come luoghi in cui è meglio trasferirsi, a differenza del nostro Paese ormai invivibile».

Crede che suo fratello rientrerà prima di martedì prossimo?
«Non saprei. A me, martedì scorso, ha detto di sì, che sarebbe tornato. Ma tanto non cambia niente, perché qualsiasi sia l'esito della sentenza gli hanno comunque rovinato la vita».

Suo fratello rischia di trovarsi nella stessa condizione dell'ex premier Silvio Berlusconi, con una condanna esecutiva. Come sono i rapporti tra loro?
«Non è mai cambiato niente, c'è ancora tanto affetto. Condividono lo stesso destino giudiziario perché sono stati entrambi castigati perché venti anni fa si sono permessi di toccare i fili del potere. Si sono permessi di prendere il posto di chi governava allora, di fare quello che non era riuscito a nessuno prima di loro due. E non gli è stato perdonato. E poi mio fratello ha fatto tante cose interessanti con Berlusconi, lo ha aiutato a crescere anche dal punto di vista finanziario, ha creato delle aziende».

Secondo i giudici lo avrebbe aiutato molto anche per i voti, come mediatore del patto con la mafia.
«Non è vero, ma pensi un po': tutti i milioni di italiani che hanno portato su Forza Italia sono mica mafiosi? Non è nella mentalità di mio fratello fare affari illegali. Chi lo conosce lo sa, al massimo è stato imprudente».

Imprudente?
«Sì, a portare ad Arcore Vittorio Mangano che poi risultò legato alla mafia. Ecco, mio fratello potrebbe solo essere condannato per imprudenza».

Le indagini per la verità rivelano altro.
«Perché mio fratello e Berlusconi davano fastidio. Pensi che quando ancora lavorava in Publitalia mio fratello portava i migliori clienti a Siracusa per visitare il meraviglioso teatro greco e per questo doveva atterrare a Catania. Beh, secondo i giudici andava a Catania per incontrare Nitto Santapaola e altri mafiosi. Ma Marcello non sa neppure chi siano».

A suo fratello manca la politica?
«No, la politica non è la sua passione, mentre gli piace crescere i giovani, formare la coscienza delle persone. Gli piace organizzare. E avrebbe meritato un ruolo istituzionale».

 

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