MOGGIOPOLI, GIUSTIZIA È FATTA? - TRAVAGLIO: “BASTA LEGGERE LE INTERCETTAZIONI PER RITENERE SACROSANTA LA SENTENZA DI NAPOLI” - BEHA: “NON VORREI CHE FOSSE UN MACIGNO A CHIUDERE, INVECE CHE UN ARGOMENTO DI RIFLESSIONE” - BECCANTINI: “PIÙ DI TUTTI, FACEVA MOGGI, MA PIÙ CHE UN’ORGANIZZAZIONE CHE TENEVA SOTTO SCACCO I CAMPIONATI, SEMBRA DI ESSERE NEL MEZZO DI UNA GUERRA PER BANDE: PECCATO CHE ALCUNE DI ESSE SIANO STATE TENUTE FUORI DAI TRIBUNALI”...

1 - SAPEVANO TUTTI, ANZI NESSUNO...
Marco Travaglio per il "Fatto Quotidiano"

Quando scoppiò Calciopoli collaboravo con Repubblica e fui il primo a pubblicare le intercettazioni dell'inchiesta della Procura di Torino. Si riferivano alle gare di precampionato dell'estate 2004, dunque non avevano rilevanza penale perché la frode sportiva si consuma soltanto in partite ufficiali. Poi un gip sciaguratamente negò la proroga quando la stagione entrava nel vivo e si dovette archiviare.

Ma la Cupola del Pallone era già chiara e lampante. Poi per fortuna, partendo da altri fatti, la Procura di Napoli intercettò dirigenti della Figc e di vari club, arbitri e designatori durante il campionato 2004-2005 e giunse alle stesse conclusioni, però penalmente rilevanti.

Il sistema funzionava così: il calcio italiano era nelle mani della Juventus di Moggi e Giraudo e del Milan di Berlusconi e Galliani, che facevano il bello e il cattivo tempo attraverso manutengoli come il vicepresidente della Figc Mazzini, i designatori arbitrali Pairetto e Bergamo e un harem di arbitri e guardalinee di fiducia. Il presidente Carraro fingeva di non vedere. Così come la giustizia sportiva e gli altri organi di controllo.

Chi si sottometteva alla Cupola (la Lazio, la Reggina, la Roma da una certa fase in poi e altri) aveva diritto di esistere; chi si ribellava, come inizialmente la Fiorentina dei Della Valle, o era fuori dal giro, come Moratti e Gazzoni Frascara, veniva bastonato.

I Della Valle, secondo l'accusa, vedendo la loro Fiorentina perseguitata dagli arbitri, andarono a baciare la pantofola dei Mazzini e dei Moggi, e i viola si salvarono in extremis a scapito del Bologna di Gazzoni. L'Inter intanto continuava a spendere e spandere senza toccare palla. Finché Facchetti tentò anch'egli di entrare nel giro, ma con scarsi risultati.

Tutti sapevano come andavano le cose, ma nessuno denunciava (a parte Zeman, Baldini e pochi altri outsider, subito messi fuori gioco). Anche molti giornalisti sportivi e moviolisti, che infatti Moggi curava amorevolmente con regali e scoop-omaggio. Gli arbitri che sbagliavano nella direzione giusta venivano premiati, gli altri finivano anzitempo la carriera. In pieno conflitto d'interessi, Moggi e il figlio gestivano un battaglione di calciatori e allenatori con la Gea World, che riuniva i figli di papà che contavano: Geronzi, Lippi, De Mita, Calleri, Cragnotti, Tanzi.

Bastava leggere le intercettazioni per ritenere giuste, anzi troppo lievi, le sanzioni sportive a Juve, Milan, Fiorentina, Lazio e Reggina (la Juve evitò la Serie C solo perché si doveva salvare il Milan dalla B). E basta rileggerle oggi per ritenere sacrosanta la sentenza del Tribunale di Napoli che ha condannato gran parte degli imputati per associazione per delinquere e frode sportiva.

Tre giudici, con una presidente tutt'altro che tenera con l'accusa (che tentò addirittura di ricusarla) e sempre elogiata dalle difese, hanno ritenuto provate le accuse dopo tre anni di dibattimento. E si son fatte una risata dinanzi alla linea difensiva moggian-craxiana del "così fan tutti". Sia perché l'eventuale responsabilità altri non cancella quella di un imputato colpevole; sia perché le mirabolanti intercettazioni sfoderate dalla difesa dimostrano al massimo che l'Inter tentò di entrare nel giro, non che ha commesso reati.

Ora Moggi manda a dire che lui ha fatto tutto per conto della Juve: bella novità. Quando Umberto Agnelli lo ingaggiò, Moggi era imputato a Torino per aver fornito prostitute ad arbitri per le partite di Uefa del Torino. Quindi fu assunto proprio perché si sapeva chi era e come operava. Moggi aggiunge che le schede telefoniche estere da lui usate le pagava la Juventus, per aggirare lo "spionaggio industriale Telecom-Inter": e allora perché le passò ai designatori Bergamo e Pairetto?

Anziché lasciarsi lo scandalo alle spalle, come aveva fatto suo cugino John Elkann, Andrea Agnelli figlio di Umberto e amico di Moggi e Giraudo ha ripreso a gridare al complotto e a rivendicare gli scudetti dello scandalo, giustamente revocati. Ora, con la sentenza di Napoli e i messaggi di Moggi, ha quel che si merita. Forse, anziché vellicare gli istinti peggiori della tifoseria peggiore, farebbe bene a guardare al futuro. A farsi spiegare lo "stile Juventus" da chi ancora sa cos'è come Boniperti, Trapattoni, Zoff e Platini. E magari a costruire stadi più sicuri.

2 - A NAPOLI CON IL MACHETE
Oliviero Beha per "il Fatto Quotidiano"

Le sentenze in linea di massima (cfr. il casino su Amanda Knox...) si rispettano, e se ne attendono le motivazioni: questo penso e questo farei se non vedessi un rischio preciso nella pesantissima, delicata e sorprendente sentenza di condanna del Tribunale di Napoli per Moggi e compagni. Non vorrei cioè che essa fosse un macigno a chiudere, invece che un argomento di riflessione.

Che ostacolasse la voglia di capire fino a concluderne che non c'è (più) niente da capire. Che con essa si rimuovesse la sorpresa per una sentenza che in molti - quorum ego -, e ovviamente non parlo degli imputati, alla vigilia presumevano diversa dopo aver inizialmente sbandierato quintali di colpevolezza "sportiva". C'era stata poi una buona dose di resipiscenza, al venir fuori di un'altra significativa montagna di intercettazioni che o non riguardavano la Juventus e Moggi, o addirittura deponevano a suo favore (si veda il caso ultimo della telefonata tra Moggi e Della Valle "stravolta" contro entrambi nelle modifiche dell'originale da chi aveva intercettato, trascritto e presentato il brogliaccio al pm).

Invece niente: evidentemente il giudizio del collegio, prima contrastato e poi spaccato, si è fatto bastare il materiale di prova iniziale, quello in base al quale Giraudo era stato condannato a 3 anni nel rito abbreviato dal Gup De Gregorio, lo stesso che curiosamente aveva da subito archiviato Carraro e Ghirelli, ossia l'istituzione calcio. Ma come, Carraro no e Giraudo sì?

Proprio così, benché ci fossero telefonate al curaro del presidente. Potreste obiettare che la colpevolezza altrui è irrilevante se si aggiunge a quella di Moggi, promotore di associazioni a delinquere. Due note: la prima è che questa cernita "mirata" da parte degli investigatori non è ammissibile, almeno a giudicare dall'apparente rilevanza del materiale celato alle difese e poi da esse successivamente prodotto. La seconda è che, provata una compartecipazione agli eventuali trucchi nel pallone da parte di tutti, o almeno di molti di più degli imputati in aula, l'accusa di "cupola" per Moggi avrebbe subito forti scossoni.

Non sto qui a elencare le contraddizioni tra le sentenze sportive e questa ordinaria, tra alcuni arbitri condannati a Napoli e prima assolti dalla Federcalcio, o al contrario di un Fabiani del Messina parte della "cupola" per la giustizia sportiva e assolto in tribunale, a dimostrazione della jungla difficile da disboscare senza machete.

Machete adoperato a Napoli. Benissimo: la forza di gravità nei due sensi porta in basso e questo è il segnale che arriva dalla sentenza. Da un lato però mi basterebbe poter pensare che tutta questa vicenda fosse rimasta all'interno del recinto giudiziario, della verità processuale intendo, senza altre valutazioni politiche, o di opportunità ambientale, o di messaggio pubblico ecc. Con una sentenza opposta sarebbe crollato il potere istituzionale, non dimentichiamocelo (Figc, Alta corte del Coni ecc.).

Dall'altro che se non sono state prese in considerazione altre prove finora, venga fatto nei successivi gradi di giudizio. Più verità, non un target prescelto.

Senza cioè lasciare l'impressione che Moggi, bollato come l'Al Capone del calcio, sia servito perfettamente da tappo a una bottiglia di pessimo liquore per l'ubriacatura pubblica, finendo in un trappolone: sarebbe un rischio ancora peggiore.

3 - UN ALTRO COMPLOTTO? NO, GRAZIE
Roberto Beccantini per il "Fatto Quotidiano"

Il mio pronostico era: frode sportiva, ma non associazione a delinquere. Cambia tanto, e comunque "rispetto" la colpevolezza di Luciano Moggi, visto che nei confronti della "Biade" juventina siamo già al terzo indizio: giustizia sportiva, rito abbreviato (Antonio Giraudo), primo grado di Napoli. Non credo nemmeno all'ennesimo complotto.

Fino alle otto di martedì sera, il giudice Teresa Casoria rappresentava - per il popolo juventino e, dunque, per mezza Italia - il simbolo della giustizia vera, l'icona delle sentenze ponderate, l'incarnazione del processo corretto. Dopo la lettura del verdetto, per quello stesso popolo e per quella stessa metà, è diventata una Palazzi con i tacchi, la maestra di due picciotte con le lupare puntate alla schiena di Moggi. In questi casi, i cittadini di un Paese normale attendono le motivazioni, e poi cominciano a sparare, o a spararsi. Da noi no: ci si spara subito.

Abbasso il complottismo, dunque, ma evviva i dubbi. Non giustifico il sistema Moggi, preesistente al suo sbarco alla Juventus, e mi riesce difficile immaginare i pm napoletani al soldo di qualche grande vecchio. Ciò premesso, restano fior di misteri: l'esclusione, scandalosa, di Franco Carraro, all'epoca dei fatti gestore distratto, molto distratto, di tutto il circo; la celeberrima uscita di Giuseppe Narducci sulle telefonate di Massimo Moratti e Giacinto Facchetti ("piaccia o non piaccia, non ce ne sono"); le bobine e i baffi trascurati o scartati dal tenente colonnello Attilio Auricchio; lo spionaggio illegale di Telecom; l'atto d'accusa (postumo) del superprocuratore Stefano Palazzi contro l'Inter, il cui percorso netto a livello disciplinare non può non sollevare qualche sorriso, dal momento che, senza prescrizione, dentro al calderone (sportivo, almeno) ci sarebbe finita anche lei: altro che scudetto a tavolino.

Detesto i comodi alibi del "così fan tutti". Negli anni di Calciopoli così facevano molti, non tutti. E più di tutti, faceva Moggi. Per questo, ritengo doveroso un podio delle responsabilità, ma più che nel cuore di una organizzazione che teneva sotto scacco i campionati, mi sembrava di essere capitato nel bel mezzo di una guerra per bande: peccato che alcune di esse siano state tenute fuori dai tribunali. Per Narducci, c'era la cupola e c'erano gli altri. Ne prendo atto.

Rimangono i dodici anni di storia juventina fra il 1994 e il 2006, le stagioni della Triade, scandite da trionfi su trionfi e racchiuse tra farmaci prescritti e telefoni bollenti. Non che intorno fossero tutti frati e suore - cito alla rinfusa: passaportopoli, doping amministrativo, premio-poli, scommettopoli - ma in appello Moggi dovrà smontare e ribaltare un'accusa infamante. Per lui e per la sua ex società.

Non ho capito, per concludere, lo smarcamento della Juventus, al di là del salvacondotto offertole dal verdetto. Scaricare Moggi perché era "solo" direttore generale è viltà pura, anche se alle tasche conviene. Fingere di non sapere obbliga a saper fingere: come è stato fatto o come non sanno più fare?

 

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