1. MONTIMER SCENDE IN CAMPO E VARA LA SUA PRIMA LEGGE AD PERSONAM. ANZI, ‘’AD LISTAM’’! DIMEZZATA LA RACCOLTA FIRME AI NUOVI PARTITI PER PRESENTARSI ALLE ELEZIONI 2. ALTRO CHE IL “POPULISTA” BEPPE GRILLO, CHE GIÀ RACCOGLIE LE FIRME DA GIORNI: È LA COSTITUENDA “LISTA MONTI” A RINGRAZIARE SENTITAMENTE IL PREMIER MARIO MONTI. PURE L’UDC DI PIER-FURBY CASINI GODE (GRUPPO IN ALMENO UNA DELLE DUE CAMERE) 3. DOMANDINA DA UN MILIONE DI FIRME AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: MA MONTI NON AVEVA DETTO CHE RIMANEVA IN CARICA SOLO PER APPROVARE LA LEGGE DI STABILITÀ? 4. TENDENZA PORCELLUM ANCHE PER BERSANI: IL LISTINO DIVENTA LISTONE E CULATELLO SI ASSICURA 120 POSTI SICURI PER I FEDELISSIMI. UNA QUOTA DEL 10%? MACCHÉ! E’ IL 30% IN CASO DI VITTORIA (SU CIRCA 400 ELETTI), CHE DIVENTA QUASI IL 50% SE IL PD PERDE. IL RESTO DELLE LISTE: BERSANIANI SCELTI DALLE SEGRETERIE PROVINCIALI… 5. PARTITA L’EPURAZIONE DEI RENZIANI: DA GIACHETTI A CECCANTI, FINO A DELLA SETA (IL NEMICO DEI RIVA A TARANTO), DALLE LISTE SCOMPAIONO I SOSTENITORI DEL ROTTAMATORE

1. FIRME DIMEZZATE PER LE NUOVE LISTE
Maria Antonietta Calabrò per "Il Corriere della Sera"


Il governo ha ridotto della metà il numero di firme necessarie per presentare le liste e i candidati. E ha reso possibile l'election day. Dal momento che il Consiglio dei ministri, riunito ieri sera a Palazzo Chigi, «nell'ottica del necessario contenimento della spesa e del rispetto del principio dell'election day, ha stabilito che le prossime elezioni regionali del Molise e della Lombardia si svolgano contestualmente alle elezioni politiche».

Il Cdm, prosegue la nota, «ha auspicato altresì che, con riguardo alle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale del Lazio, in considerazione delle suddette esigenze di finanza pubblica, riconsideri la data per il rinnovo degli organi di governo della Regione convocando le relative elezioni nella medesima data che sarà fissata per le elezioni politiche».

Palazzo Chigi è intervenuto con un decreto legge (quindi un provvedimento che entra subito in vigore). In pratica, vista l'esiguità del tempo che separa dalle possibili elezioni nel mese di febbraio, ci sarà il dimezzamento del tetto delle firme necessarie (da 120 mila a 60 mila) per i nuovi partiti. La riduzione sarà anche aumentata fino al 60% per i partiti costituiti in gruppo parlamentare almeno in una delle due Camere (come è ad esempio l'Udc).

Ma il partito di Casini, se rimarrà formazione autonoma, potrebbe avvalersi anche dell'estensione (prevista nel nuovo decreto legge) dell'esonero dalla raccolta firme «anche alle componenti politiche interne costituite all'inizio della legislatura al momento della convocazione dei comizi».

Norma che quindi si applicherà anche ai partiti che fanno parte del gruppo misto (Udc al Senato) e ai Radicali all'interno del Pd.
Se il governo non fosse intervenuto tutti i partiti tranne Lega, Idv, Pd e Pdl (e questo è stato uno dei motivi per cui verrà riproposto il «vecchio» simbolo), avrebbero avuto la necessità di raccogliere le 120 mila firme.

Adesso ne serviranno soltanto 60 mila, ad esempio, per gli ex An guidati da Ignazio La Russa se si staccheranno dal Pdl.
Un'alleanza con l'Idv permetterebbe agli Arancioni di non dovere neppure raccogliere firme per presentare le liste. Roberto Rao, dell'Udc, dice: «Adesso bisogna vedere quale sarà la lista che presenteremo, quale il nome e quale il simbolo». Perché l'esonero «vale» solo per «l'Udc». Problemi dimezzati, si diceva, per i «nuovi» partiti.

Dal movimento di Montezemolo e dei centristi «Verso la terza Repubblica» («Ma al momento sul problema della raccolta delle firme non facciamo alcun commento», dice Andrea Romano), fino a Beppe Grillo, che in ogni caso sessantamila firme dovrà raccoglierle e quindi dovrà presenziare sulle piazze italiane durante le feste natalizie.

Il segretario di Radicali italiani, Mario Staderini, in ogni caso solleva una questione di metodo. Ha scritto al presidente del Consiglio, al ministro dell'Interno e al Guardasigilli, per chiedere che il governo metta a disposizione delle liste gli autenticatori non solo «all'interno degli uffici comunali, in orari limitati» e soprattutto il sabato e la domenica.



2. DA EPIFANI A GOTOR, I 120 «BLINDATI» CHE CREANO IMBARAZZI NEL PARTITO
Maria Teresa Meli per "Il Corriere della Sera"


Ha preferito non fare il convitato di pietra e come un «bravo boy scout» si è presentato in Direzione, anche se nessuno - o quasi - se lo aspettava. Ha abbracciato Nico Stumpo, sorridendogli: «Sei un delinquente». Ha soffiato il posto in ultima fila a Beppe Fioroni e quando il capo degli ex ppi lo ha chiesto indietro gli ha risposto sornione: «Non ti ho potuto rottamare, almeno fatti prendere la sedia».

Poi, a riunione ancora in corso, prima che dentro e fuori la sala si parlasse dell'unico argomento che stava a cuore a tutti (la quota dei «garantiti»), se n'è andato e così ha saputo solo più tardi delle dieci deroghe votate in Direzione: «L'avevo detto io che ci voleva la rottamazione», ha ironizzato.
Ieri Renzi ha voluto marcare la sua presenza-assenza. Il sindaco ha lasciato intendere che, pur stando a Firenze, è in campo e che al Pd non conviene «restringere il recinto», non accogliendo tutte le «energie nuove che si erano raccolte attorno al partito durante le primarie».

Parlare non ha parlato, ma il significato della sua presenza era inequivocabile. Anche se il sindaco ha intenzione di dedicarsi solo a Firenze, un occhio a Roma lo butterà per forza. Non per trattare le candidature con Bersani (anzi Renzi tesse le lodi di Ichino che farà le primarie perché non vuole stare nella quota dei garantiti) ma per non «disperdere» tutto quello che si è mosso nella società attraverso i comitati a lui intitolati: «Non cedete al pessimismo: il futuro ci raggiungerà presto».

Del resto, circola un sondaggio riservato che rivela un fatto sorprendente: se nascessero delle «liste Renzi» in appoggio a Bersani e al Pd otterrebbero il 13 per cento.
È un dato da cui è difficile prescindere, anche se l'aria che si respirava ieri a Largo del Nazareno non aveva il sapore del nuovo che avanza. E non solo perché Rosy Bindi, al contrario dell'amica Livia Turco che si ritira con stile e senza profferire verbo, ha chiesto la deroga, passando sopra alle critiche e alle ironie e dando ragione alla profezia fatta qualche tempo fa da Veltroni: «Vedrete che un po' di parlamentari di lungo corso sfrutteranno il passo indietro mio e di Massimo per poi fare capolino e sollecitare la ricandidatura».

Non è solo per questo che l'atmosfera in Direzione è pesante e i mal di pancia e le tensioni si moltiplicano. È il listino il vero pomo della discordia. O meglio la quota dei garantiti che finiranno nelle teste di lista, assicurandosi un posto in Parlamento.
I «nominati», tra protetti del segretario, esponenti della società civile e capilista, saranno centoventi circa.

Un numero elevato se si pensa che Maurizio Migliavacca, all'inizio della riunione, ha spiegato: «In caso di vittoria avremo 400 parlamentari». Tra i fortunati ci saranno l'ex leader della Cgil Guglielmo Epifani, Miguel Gotor, il politologo Carlo Galli e tanti altri. C'è chi aspira, chi sgomita, e chi se ne va sbattendo la porta. Alcuni parlamentari di lungo corso verranno salvati e messi in quota, garantiti per le loro «competenze». Peccato che altri loro colleghi, con una sola legislatura alle spalle e molta più esperienza e preparazione saranno invece fatti fuori perché non hanno un padrino politico.
Un caso esemplare riguarda il senatore Roberto Della Seta.

Il parlamentare ambientalista che ha condotto una dura battaglia contro l'Ilva, quello di cui Riva parla in una lettera del 2010 a Bersani chiedendogli di fermarlo. Due anni dopo Della Seta è stato fermato. Non sarà nel listino. E con lui sono stati fatti fuori gli altri due parlamentari ambientalisti Realacci e Ferrante. Esponenti del Pd che non sono radicati sul territorio, visto che rappresentano interessi diffusi, e quindi non hanno possibilità di passare alle primarie tramite i voti dell'apparato o dei signori delle tessere. Un caso analogo è quello di Stefano Ceccanti, costituzionalista, esperto di riforme elettorali.

Fuori pure Roberto Giachetti, l'unico del gruppo del Pd di Montecitorio, che conosca i regolamenti della Camera e li sfrutti sempre a vantaggio del partito. Guarda caso si tratta di renziani.
Ma anche tra i bersaniani non ortodossi sono state fatte delle vittime: Bindi, contraria alle unioni civili di stile europeo, ha avuto la testa di Paola Concia, deputata gay, attivissima sul fronte dei diritti civili. Singolare per un partito il cui segretario ha annunciato che la proposta di legge sulla «partnership» sarà tra i primi atti del suo governo.

 

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