TRAFITTO DAL CONFLITTO D’INTERESSI - SE IL BANANA SBUCCIATO HA DATO IL SUO OK AL GOVERNO TECNICO DI MONTI È SOLO PER SALVARE MEDIASET, ALTRO CHE SENSO DI RESPONSABILITÀ - DAL SUO AMICO ENNIO DORIS (MEDIOLANUM) È ARRIVATO L’AUT AUT: NIENTE ALFANO O ELEZIONI, DOPO IL CROLLO IN BORSA SUBÌTO IERI DAL GRUPPO (-12%) L’ESECUTIVO DI TRANSIZIONE È LA SOLA SALVEZZA PER L’IMPERO DI FAMIGLIA - OGGI IL TITOLO DI SEGRATE È TORNATO POSITIVO...

Francesco Manacorda per "La Stampa"

La fine di un'era, seguita sui terminali di Borsa, ha i toni della tragedia: piazza Affari cala ma intanto l'impero finanziario di Silvio Berlusconi collassa, con Mediaset nell'inferno borsistico di quota -12%. La fine di un'era, vista da dentro il gruppo del Biscione, è la presa d'atto che ancora una volta le ragioni della politica devono piegarsi a quelle dell'interesse aziendale.

Ma questa volta - ecco la novità dirompente - in senso opposto ai desideri del capo. «È evidente che quello che chiedono il mercato e l'Europa è un governo di transizione - detta nel pomeriggio Ennio Doris, amico fraterno, sodale e socio di Berlusconi in Mediolanum - con un presidente del Consiglio che abbia un grande prestigio sul mercato» e «non sia né di centrodestra né di centrosinistra. Secondo me, e me lo auguro, questo dovrebbe essere lo sbocco di questa crisi».

Altro che elezioni immediate, altro che governo Alfano. Le parole di Doris sono la dichiarazione ufficiale che il fronte berlusconiano - componente aziendale - vede nel governo tecnico aborrito dal premier uscente la sola salvezza anche per l'impero di famiglia. Non a caso ieri pomeriggio, a palazzo Grazioli, entra e s'intrattiene per un'ora anche Fedele Confalonieri, anche lui intimissimo di Silvio e presidente di Mediaset.

A Berlusconi, spiega chi è vicino alle segrete cose del mondo Fininvest, è stato spiegato in queste ore che questa volta deve accettare anche misure e nomi che in condizioni normali non digerirebbe. Lo richiede la tenuta del sistema finanziario italiano e di conseguenza - una conseguenza tutt'altro che trascurabile, vista la tempesta di ieri - anche quella delle aziende di famiglia.

Diciassette anni dopo la «discesa in campo», così spesso letta come la difesa della posizione economica conquistata, una rapida uscita di campo senza che dalla panchina del Pdl subentri qualcuno è considerata allora come la condizione necessaria per difendere lo stesso patrimonio. La nemesi del conflitto d'interessi, si potrebbe dire.

I dati di ieri, del resto, non lasciano dubbi. Oltre al tonfo di Mediaset, perla ormai appannata della corona di Silvio imprenditore, c'è il -4,8% di Mediolanum che proprio in giornata annuncia utili in caduta netta del 60%; il solo paradossale sollievo è il calo del 2,93%, in linea con il mercato, della Mondadori. Quella Mondadori che da solido caposaldo editoriale si è trasformata però in cruccio perenne di Berlusconi, causa omonimo Lodo e successiva sentenza di risarcimento da 564 milioni alla Cir.

In una sola seduta calcolano le agenzie di stampa Mediaset ha perso 350 milioni di capitalizzazione; se ci si aggiunge il calo della vigilia, quando già il Silvio IV traballava, siamo a 450 milioni. Ma i calcoli veri si fanno nelle sale operative e tra i gestori di risparmio che al tramonto presunto - del Cavaliere, si affrettano ad attaccare l'etichetta «in vendita» alle azioni della sua galassia, pensando soprattutto a un calo della pubblicità sulle reti tv. Da inizio anno il titolo Mediaset ha perso oltre il 50%, il doppio degli indici di piazza Affari, e proprio martedì ha annunciato che i risultati 2011 saranno peggiori di quelli del 2010.

Ma il bilancio di questi diciassette anni in politica non si fa solo oggi, e per Berlusconi e i suoi cari è un bilancio tutt'altro che in rosso. Ritagli d'archivio, calcolatrice alla mano, qualche conversione in euro dalla vecchia lira ed ecco che nel periodo 1994-2010 per la Fininvest spunta un utile consolidato cumulato appena sotto i 5 miliardi, per l'esattezza 4984 milioni di euro.

Risultati ordinari che le aziende del gruppo hanno pompato a monte anno dopo anno e che comprendono qualche mossa straordinaria, dalla vendita della Standa, alla cessione del 16,6% di Mediaset. Nello stesso periodo l'indebitamento «monstre» di Fininvest - erano cinquemila miliardi di lire nel ‘93 - è sceso a un dato più fisiologico di 1,3 miliardi di euro.

Non tutti i cinque miliardi di utili hanno preso la strada di casa Berlusconi, visto che la politica di distribuzione dei dividendi è stata prudente. Ma certo non c'è di che lamentarsi: solo negli ultimi sette anni, ad esempio, dal Biscione sono arrivati oltre un miliardo e duecento milioni di dividendi. Soldi, anzi soldoni, divisi in base alle quote di possesso della holding di famiglia. Il grosso al Cavaliere, che possiede il 63% e rotti di Fininvest e che ha incassato dunque poco meno di 800 milioni di cedole.

Il 7,6% a testa a Marina e Pier Silvio, mentre un 7,1% va a ciascuno dei figli del secondo matrimonio: Barbara, Eleonora e Luigi. Scenari che potranno cambiare, alla luce della diversa valutazione che il mercato dà del gruppo senza più l'ombrello della politica. Ecco allora - sperano ai piani alti del gruppo - che un governo tecnico inviso al Berlusconi politico potrà dare una mano al Berlusconi imprenditore.

 

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