LA COLPA DI OBAMA E QUELLA DI ROMNEY - OBAMA AMMETTE DI NON ESSERE STATO IN GRADO DI ISPIRARE IL POPOLO AMERICANO - ROMNEY NE APPROFITTA E AFFONDA: “UN PRESIDENTE DEVE GUIDARE, OBAMA NON L’HA SAPUTO FARE” - MA IL REPUBBLICANO HA POCO DA RIDERE: PARE CHE NEL 2002 GESTISSE IL GRUPPO FINANZIARIO CHE LICENZIÒ MIGLIAIA DI PERSONE E SPOSTÒ MOLTE AZIENDE FUORI DAGLI USA...

Paolo Valentino per il "Corriere della Sera"

Mario Cuomo amava dire che un candidato «campaigns in poetry, but governs in prose», fa campagna con la poesia, ma governa con la prosa. E forse nessuno più di Barack Obama conferma plasticamente l'assunto. Nel 2008, Obama vinse le elezioni stregando l'America e il mondo col suo messaggio di cambiamento e speranza, la forza della sua «narrativa». Quattro anni dopo, impegnato in una difficile e incerta battaglia per la rielezione, il maestro dell'affabulazione si volta indietro e ammette che, una volta alla Casa Bianca, gli è mancata proprio la capacità di ispirare il popolo americano, travolto dalla mole dell'agenda politica. Paradossi del potere o comode scuse per un fallimento?

Siamo solo a metà luglio, mancano più di 100 giorni al voto di novembre. Ma la campagna elettorale americana è già un fuoco d'artificio di polemiche furiose, attacchi personali, continue rivelazioni e svolte improvvise. E se l'autocritica, un po' condiscendente, di Obama ha offerto allo sfidante repubblicano Mitt Romney il destro per una bruciante replica, il fronte democratico è ripartito all'offensiva con nuove e più gravi accuse, sul ruolo svolto da Romney nelle liquidazioni selvagge di Bain Capital, la società che guidava negli Anni Novanta.

Nell'intervista concessa insieme a Michelle nella Sala Blu della Casa Bianca a Charlie Rose, in onda domani sera sulla CBS, il presidente definisce «il più grande errore del primo mandato l'aver pensato che il mio compito fosse semplicemente quello di varare le politiche giuste». «Sicuramente importante - aggiunge -, ma la natura della presidenza è anche quella di raccontare agli americani una storia che dia loro un senso di unità, motivazione e ottimismo, specie in tempi duri».

Obama parla di «critica legittima» da parte dell'opinione pubblica che si è chiesta, oltre le tante cose fatte, «quale fosse il senso di tutto e dove ci stesse portando». Immancabile promessa in caso di rielezione: passare più tempo fuori dalla bolla di Washington, «per ascoltare meglio il popolo americano e avviare una conversazione su dove vogliamo andare come Paese». Concessione finale: «Nel secondo mandato dovrò far meglio».

Non è stato complicato, per Romney, segnare a porta vuota, commentando che «fare il presidente non significa raccontare storie». Obama, così il repubblicano, «crede che milioni di americani abbiano perso case, lavoro e benessere perché lui non ha narrato loro una buona storia. Un presidente deve guidare, Obama non lo ha saputo fare». Ma l'ex governatore del Massachusetts ha problemi più complicati e potenzialmente devastanti di una polemica sulla «narrativa».

La campagna del presidente ha lanciato negli ultimi giorni un attacco molto pesante contro Romney, accusandolo di aver mentito sui tempi del suo ritiro da Bain Capital, il gruppo finanziario da lui fondato nel 1984 e pietra fondante della sua ricchezza. Lo sfidante repubblicano ha sempre detto di aver lasciato ogni responsabilità operativa nell'azienda nel 1999, quando venne chiamato a salvare con successo dalla bancarotta le Olimpiadi Invernali di Salt Lake City del 2002.

Ma nuovi documenti riservati, inviati fino al 2002 da Bain alla Securities and Exchange Commission, la Consob americana, indicano Romney come «unico azionista, presidente e amministratore delegato» e mostrano che tra il 2001 e il 2002 gli vennero pagati almeno 100 mila dollari in compensi. Fu in quei tre anni che Bain acquistò e liquidò decine di aziende, eliminando migliaia di posti di lavoro, o ne trasferì la produzione fuori dagli Usa. Romney ha detto più volte di non aver avuto alcun ruolo in queste decisioni.

«Delle due l'una - ha dichiarato Stephanie Cutter, vice-direttrice della campagna di Obama -, o Mitt Romney non ha detto il vero alla SEC sulla sua posizione, il che sarebbe un reato, ovvero ha mentito agli americani sul suo ruolo in Bain Capital, per evitare di assumersi la responsabilità delle conseguenze dei suoi investimenti».

Il campo repubblicano ha reagito con durezza, accusando un certo nervosismo. Matt Rhoades, manager dell'organizzazione, ha detto che «le dichiarazioni di Cutter sono così scomposte da mettere in discussione l'onestà della loro campagna». Ma quanto a scompostezza, anche i conservatori non hanno nulla da imparare: l'ultimo spot di Romney accusa Obama di essere un bugiardo: «Quando un presidente non dice la verità, come possiamo credere nella sua capacità di guidare?». Un segnale che la vicenda di Bain Capital ha toccato un nervo scoperto.

 

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