
CAFONAL MITO! - PER I QUARANT’ANNI DI ‘’QUELLI DELLA NOTTE’’ LA BANDA DI ARBORE SALE IN CATTEDRA: FRASSICA, FERRINI, MARCHINI, SALVATORI, LUOTTO, D’AGOSTINO. AL CENTRO IL PROF. ALDO GRASSO – DAGO: “LA VERA NOVITÀ FU QUELLA DI METTERE IN LUCE COME D'INCANTO LA PROFONDA FRATTURA FRA IL "PAESE REALE" E IL "PAESE LEGALE". SE IL "PAESE LEGALE" DELLA TELEVISIONE DI STATO E' TUTTO DEDITO A TRASMETTERE IL CONSENSO SOCIALE IN TERMINI POLITICI, IL "PAESE REALE" MESSO IN SCENA DA ARBORE LI METTE IN DUBBIO, LI SCARDINA, LI SBEFFEGGIA, SCODELLANDO LA CULTURA DI MASSA EMERGENTE NEGLI ANNI OTTANTA” – L’INTERVENTO DI ANDREA MINUZ - ARBORE: “LA MIA BATTUTA PREFERITA? ‘’NON SI SAREBBE DOVUTO ROMPERE’’, CHE DECLINAZIONE È? PRESERVATIVO IMPERFETTO!” (VIVA LA GOLIARDIA!)
"Quelli della notte" compie 40 anni. Renzo Arbore: "Una rivoluzione. L'erede e' Fiorello" #ANSA pic.twitter.com/iqf8rhGA6o
— Agenzia ANSA (@Agenzia_Ansa) May 22, 2025
ARBORE “TOUCH”
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Intervento di Roberto D’Agostino all’evento “Quelli della notte…in cattedra”, all’Ateneo dell’università “La Sapienza” di Roma
Quali sono state le ragioni profonde del successo di ‘’Quelli della notte’’? Intanto, spazziamo via un termine spesso usato e abusato: parodia. ‘’Quelli della notte’’ non fa il verso al varietà televisivo; che arrivò più tardi con “Indietro tutta”.
Il programma è espressione di un nuovo umorismo, perché per la prima volta Arbore fa commedia dell'arte in una televisione che fino ai primi anni ’80, era ingessata con canoni e regole ben precise, e l’ha sgangherata da cima a fondo.
Azzera intanto il verticalismo della scaletta, via l’“Ecco a voi…”, un personaggio dopo l’altro. Il format di “Quelli della notte” è invece orizzontale, il gruppo è tutto in scena, fin dall’inizio, con Arbore che saltella da un personaggio all’altro.
Personaggi che, singolarmente, sono estranei, se non in conflitto, con gli altri: un fratacchione dal “Cuore Toro” (Frassica), un comunista ortodosso che ‘’non capisce ma si adegua’’ che, qualche anno prima di Bossi, azzarda l’idea di innalzare il “Muro di Ancona” contro le invasioni dei terroni (Ferrini), un intellettuale borbonico scandalizzato dal basso livello cognitivo dei presenti (Pazzaglia), un borghese rimpannucciato strangolato da cachecol che spara banalità da vagone ferroviario, una donna ossessionata dall’amore che va e viene (Laurito), un’altra signorina turbata dai pettegolezzi sulle celebrità (Marchini), un para-guru di look modaioli e orecchiante di cultura post-moderna (D’Agostino), un arabo in modalità “vu’ cumpra” (Luotto), un secchione di musica pop (Salvatori), eccetera.
Secondo: Arbore è un grande professionista in modalità capocomico, perché riesce a capire quando un uomo di spettacolo vale, sa presentarlo sottolineandone le capacità e infine da regista sulla scena dà ritmo e naturalezza allo scorrere del programma che va in onda in diretta.
Terzo: Per la prima volta in televisione vediamo, se Dio vuole, qualcuno che non si prende sul serio. Il programma è ironico anche su sé stesso. A partire da Arbore che non può fare a meno di ridere lui per primo di quello che sta orchestrando.
Non prendendosi sul serio, Arbore rivitalizza quella che dovrebbe essere la funzione storica della comicità: insinuare clandestinamente elementi di disgregazione e di irrisione, quindi di demolizione del sistema stereotipato, in cui si inserisce. Cioè, la televisione di Stato dove tutto era dannatamente pedagogico e serioso. Allora si comprende meglio la sensazione di sano spiazzamento che coglie all'improvviso lo spettatore nell’anno di grazia 1985.
Ma tutto ciò non basta a spiegare la novità del fenomeno. Infatti: se il riso provocato da ‘’Quelli della notte’’ fosse solo questione di comicità, ne ricaveremmo l'impressione che Arbore sia più bravo degli altri, ma non una precisa sensazione di "diversità".
Il codice della comicità di ‘’Quelli della notte’’ non è un codice facile a definirsi perché somma contrapposizione e interazione di codici diversi. E solo la combinazione di generi differenti produce il comico. Arbore possiede, in chiave televisiva, ciò che nel cinema si chiama il “tocco” di Lubitsh.
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Secondo il genio tedesco (“Mancia competente” ‘’Ninotchka’’, “Vogliamo vivere!”), il comico si produce sommando “due cose che si somigliano tra di loro, nessuna delle quali ci fa ridere di per sé, diventano risibili quando sono giustapposte”. In sé, gli interventi di Pazzaglia, Ferrini, Laurito, etc. non hanno bisogno di alcuna battuta o di gag, ma i loro demenziali racconti una volta appaiati l’uno all’altro, creano uno spettacolo comico.
Sull’esistenza di una corrente di spettacolo che si fonda sul non prendersi sul serio, come non ricordare i nonsense, le gag e le situazioni assurde di “Hellzappopin’”, il capolavoro del cinema americano del 1941, protagonista una folle baraonda senza capo né coda che ha ispirato molti artisti, da Mel Brooks a Woody Allen.
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Si potrà obiettare che Arbore, Boncompagni, Marenco e Bracardi ci avevano già provato, per esempio alla radio con il famoso ‘’Alto gradimento’’.
Ma non è la stessa cosa. Quello era un programma pioniere di grande successo radiofonico. Quel che invece caratterizza “Quelli della notte” è proprio la sua specifica appartenenza al mondo della cultura di massa. La vera novità fu appunto quella di mettere in luce come d'incanto l'ennesima profonda frattura fra quelli che di solito sono definiti il "Paese reale" e il "Paese legale".
Se il "Paese legale" della televisione di Stato è tutto dedito a trasmettere il consenso sociale in termini politici, il "Paese reale" messo in scena da Arbore li mette in dubbio, li scardina, li sbeffeggia, scodellando la cultura di massa emergente negli anni Ottanta.
Nell’anno di grazia 1985, siamo al di qua delle ideologie e al di là dei partiti. Chiuso il ciclo della politicizzazione degli anni ’70, finito a un passo dalla guerra civile con l’assassinio di Aldo Moro, in soffitta il “Sole dell’avvenire” e della ricerca della felicità sociale, il paesaggio degli anni Ottanta vede il narcisismo prendere il sopravvento, sale alla ribalta la felicità individuale, l’affermazione personale, la fine degli steccati ideologici e dei ruoli sociali consolidati.
Quindi, mescolare le carte, cambiare il guardaroba, creare la fiction di sé stessi perché l’artificio è meglio della realtà. Dal comunismo all’edonismo, dal Noi all'Io, dalla sommossa delle Bierre alla mossa delle Pierre, da Lotta Continua al successo di breve durata, dal ciclostile al computer, dalle Botteghe Oscure alle boutiques lucenti, dalla rivolta a Travolta. Signore e Signori, il mondo è cambiato: benvenuti negli anni Ottanta.
Tutto ciò è ben rappresentato dalle culture emergenti del decennio che Tom Wolfe definì “The Me Decade”: il Post-moderno nell'architettura e nel design, la Transavanguardia nella pittura, il "Pensiero debole" nella filosofia, la disintegrazione del rock in tante tribù, il miraggio del look come identità effimera, il personal computer come operazione di smontaggio e rimontaggio della realtà per trasformarla in rappresentazione.
maurizio ferrini simona marchini gianni mazza
Non è singolare che sia toccato proprio a Umberto Eco, che negli anni ’60 come membro del Gruppo 63 puntava a scardinare la letteratura dei “Liala” Bassani e Cassola, diventare il testimone letterario del grande cambiamento con il trionfo di un polpettone popolare come "Il nome della rosa"?
Si avvera ancora una volta la profezia di Karl Rosenkranz, filosofo tedesco allievo di Hegel, che nel fondamentale ’’Estetica del brutto’’ del 1853 asseriva essere il comico una caratteristica sia delle società in crisi sia delle società di massa.
Le società di massa generano infatti satira, irrisione, caricatura, che corrispondono alla crisi dei sistemi di valori dominanti, e danno il via alla liberazione di nuove energie.
E così Arbore, liberando sul piccolo schermo la vitalità di una quarantina di scappati di casa, è riuscito, nottetempo, in maniera sotterranea, a conciliare l'alto e il basso, il passato e l’avvenire, l’avanguardia e la tradizione, la Storia e la scoria.
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Ecco perché “Quelli della notte”, a distanza di 40 anni, lascia una traccia ben profonda nel nostro immaginario: le radici del presente sono infatti da ricercare in quelle 32 puntate andate in onda dal 6 aprile 1985, dal lunedì al venerdì, su Rai2.
LA BANDA DI QUELLI DELLA NOTTE SALE IN CATTEDRA
Paolo Boccacci per “la Repubblica – ed. Roma”
Lezione alla Sapienza per i quarant’anni della trasmissione cult con tutta la squadra e Roberto D’Agostino. Ma sì, evviva la banda di Quelli della notte, la banda del mago Renzo Arbore, dei nanetti di Sani Gesualdi di Frassica fratacchione, dei pedalò di Ferrini, il romagnolo che voleva il muro di Ancona tra Nord e Sud.
maurizio ferrini aldo grasso ugo porcelli roberto d'agostino
Evviva questa meravigliosa foto di gruppo qui nel teatro della Sapienza, che immortala i quarant’anni dalla trasmissione cult per cui si sbracciava anche Prodi, dove arrivava Ruggero Orlando. Anno 1985, l’uscita dagli anni di piombo, l’entrata nell’era dell’edonismo reaganiano esaltato dal lookologo Roberto D’Agostino.
Tutti sotto questa bella immagine con la luna gialla che suona la chitarra e la scritta “Quelli della notte in Cattedra”. Perché il gioco è un po’ come quello di “…chiedimi chi erano i Beatles”, con tanti ragazzi di vent’anni stipati tra le vecchie glorie nel teatro, con la rettrice Polimeni e il professor Andrea Muniz («uno studente mi ha detto: sembra Hollywood Party» ) che parlano di Storia della televisione e della cultura.
Con il critico televisivo Aldo Grasso («è stato con ‘’Lascia o raddoppia’’ uno dei pochi programmi che hanno cambiato la tv e l’Italia» ), con D’Agostino in completo con gonna nera e barba bianca fluente.
Ma soprattutto, con lui, Renzo, il maestro del divertimento che fa cultura, che fa tendenza, che invita a un evento da ricordare. In giacca azzurra fiammante, con il foulard, l’elegante bastone e sempre con il suo sorriso contagioso, la voglia di «cazzeggiare», come dice.
Quella voglia che ha fatto scrivere saggi sul Frate di Scasazza di Frassica al linguista Tullio De Mauro, che li ha fatti invitare ai congressi da Umberto Eco.
«Ci piaceva cazzeggiare, questa è la parola giusta, se si può dire all’università. Non avrei mai immaginato di esser qui dopo quarant’anni a ricordare un salotto surreale, una follia in seconda serata, arrivata dopo il successo di “Cari amici vicini e lontani” sui sessant’anni della Rai.
Ma volevo fare ammuina e feci una settimana di “addestramento reclute” con i miei amici, poi siamo partiti, senza una riga di copione, improvvisando, come in una jazz session”. Con la mitica squadra.
«C’era Simona Marchini che faceva il gossip e parlava del suo Roby, c’era Pazzaglia che faceva l’intellettuale in mezzo a conversazioni disutili, di “basso livello”, Luotto che era diventato arabo, un’idea che mi era venuta in Giordania. E per la quale il Re di Giordania protestò con il ministro degli Esteri Andreotti. Tutto uno sciuè, sciuè, ma c’erano, come dire, le good vibrations».
roberto d'agostino aldo grasso
E D’Agostino, che lanciò anche ‘’L’insostenibile leggerezza dell’essere’’ di Milan Kundera? «Quando Arbore mi chiamò lessi un articolo sul Manifesto sul romanzo e non avevo capito un c... o, ma lo ripetevo a memoria. In quel folle scenario, dove Arbore era il capocomico con un tocco alla Lubitsch, nessuno si prendeva sul serio, eravamo quaranta scappati di casa con una grande energia, nel periodo in cui si passava dal ciclostile al computer. Benvenuti negli anni Ottanta».
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«Il mio senso dell’umorismo è quello della vecchia Unione goliardica italiana di Scalfari, Craxi e Pannella», aggiunge Arbore. «La mia battuta preferita? ‘’Non si sarebbe dovuto rompere’’, che declinazione è? Preservativo imperfetto!».
Grasso fa scorrere le immagini degli sketch e Renzo commenta. «Di Ferrini poi ho conosciuto il padre supercomunista, a cui si è ispirato, che era abbonato alla Rassegna dell’Unione sovietica. D’Agostino portò Nicolini, Bonito Oliva e Lina Sotis. La Laurito doveva fare la parte della cugina parlereccia che non si tiene un cecio in bocca. E a Nino, fu un’idea del coautore Porcelli, mettemmo il saio».
Poi Dario Salvatori, con le notizie di musica e i suoi look incredibili. Il «buono, no buono» di Andy Luotto («come sarebbe bello se si ragionasse ancora così» ) e Bracardi che fa un balletto vestito da cinese e la litania di Arbore: «Ma lei quanti anni ha?». Ha un’idea per ritorno in tv? « Sto cercando complici, ma è Fiorello che deve fare l’erede » . Gran finale, la Annicchiarico intona «Ma la notte» e tutti tornano a cantare.
IL DISCORSO DI ANDREA MINUZ DURANTE L’EVENTO “QUELLI DELLA NOTTE…IN CATTEDRA”, ALL’UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” DI ROMA
Nel 1985 facevo parte di un gruppo di ascolto di QUELLI DELLA NOTTE. Ero la quota bambini. I miei genitori invitavano spesso amici a cena, oppure andavamo noi da altri solo per vedere QUELLI DELLA NOTTE. Oggi suona un po’ come quei racconti dell’Italia di Lascia o raddoppia: tutti insieme nei bar e nelle case a vedere la tv, ma non è così.
Negli anni Ottanta la tv in casa ce l’avevamo tutti, anche più di una. Il fatto è che vedere Arbore insieme ad altra gente era un happening. Tra i tanti miracoli di quel programma c’era questo desiderio di emulazione: replicare in casa l’atmosfera di festa e casino organizzato che si vedeva in Tv. Oggi forse avremmo fatto un gruppo WhatsApp.
Io naturalmente ero contentissimo di fare così tardi. E ridevo. Molte battute e doppi sensi non li capivo ma ridevo con gli adulti. Più tardi avrei capito quanto è complicato riuscire a fare una cosa del genere, una cosa che riesce a pochi: costruire tanti tipi di risata, una risata stratificata – quella elementare, bambinesca, e quella sofisticata, intelligente.
Arbore traduceva alla lettera l’ida di “risata contagiosa”: ogni tipo di risata, quella più colta o quella più immediata, contagiava l’altra. Chi si appassionava a Pazzaglia, chi alle critiche del lookologo D’Agostino, chi agli svarioni di Nino Frassica o al gossip di Simona Marchini. Ma ogni pezzo era inseparabile dal tutto che era Quelli della notte.
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Oggi, quando i nostri studenti di un corso di storia della televisione vedono per la prima volta una puntata di QUELLI DELLA NOTTE restano allibiti, affascinati, si divertono come matti. Altra cosa rara – come ogni professore universitario sa bene.
Tanto più per la televisione che certo non è fatta per invecchiare e si dimentica in fretta. Eppure, mi dicono, non hanno mai visto niente del genere. “E’ meglio di Hollywood Party di Blake Edwards mi ha detto una volta uno studente di cinema che aveva poi seguito un corso sulla storia della tv italiana (e sono d’accordo con lui).
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Qualche sera fa ho rivisto la prima puntata su RaiPlay, è quella che ogni tanto facciamo vedere ai nostri studenti: Bracardi vestito da pirata che lancia coriandoli, gente che chiacchiera appartata, chi beve, chi cucina, una sosia di Lady Diana, l’angolo degli intellettuali, Andy Luotto che traduce per i paesi di lingua araba.
La situazione che sembra sempre sfuggire di mano ma invece è un caos organizzato, una jam session, dirà Aldo Grasso, dove ognuno si sintonizza sul tema del momento. E poi la musica, non come orpello, ma ritmo portante del programma. Non è la migliore puntata. Si vede che il gruppo sta prendendo le misure. Eppure, è tutto così moderno. Non rispetto a quello che c’era in tv nel 1985, ma rispetto a oggi.
Riuscire a catturare ancora oggi un pubblico che ha vent’anni, acchiappandolo quindi non con l’effetto nostalgia, l’effetto Techetecheté, come può capitare a me che ho i miei ricordi di bambino, ha qualcosa di misterioso. È un pubblico che si è formato sugli smartphone, sui meme, su Tiktok.
Che ha un’idea di “attenzione” completamente diversa dalla nostra, eppure resta affascinato e – soprattutto – ride. Che è sempre l’unita di misura più precisa (diceva Billy Wilder che i film drammatici o d’autore sono più facili perché se il pubblico sta in silenzio non hai mai la controprova che gli stia piacendo, magari dormono, magari pensano ai fatti loro; se invece non ride davanti a un film brillante, se non ride nelle scene in cui dovrebbe ridere, non hai scuse: non funziona).
Credo che la persistenza di QUELLI DELLA NOTTE dipenda anche dal fatto che intelligenza, ironia, leggerezza mescolate assieme sono diventate una merce rara non solo in televisione, ma anche nel dibattito pubblico, nella vita.
Vorrei chiudere dicendo che ci sono due cose che ho sempre invidiato di Arbore – si intende nel senso migliore del termine.
La prima è il tipo di ironia di Arbore. Ho sempre pensato che QUELLI DELLA NOTTE riassuma bene tutta l’arte di Renzo Arbore che è musicale, televisiva, teatrale, ma che ha sotto sotto anche una filosofia ben precisa. Una filosofia che lì, in quel momento di vita italiana, cioè la metà degli anni Ottanta, con un decennio terribile alle spalle, si vede ancora meglio, e si capisce quanto sia utile in un paese come il nostro.
Perché bisogna dire che in tanti, grazie a Arbore, si sono salvati dall’intossicazione ideologica. Bisogna dire che Arbore ha capito che la cosa più irriverente che si può fare in Italia è divertirsi.
In una cultura che tendeva e tende a essere sempre un po’ seriosa, bacchettona, parruccona, sistematicamente politicizzata, divertirsi da morire mentre si fa quello che si fa è credo la trasgressione più grande. Anche per questo la nostra cultura gli deve molto.
La seconda cosa che gli invidio è la sua formidabile collezione di flipper.
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