WATERGATE BIS! OBAMA COME NIXON! - IL GOVERNO USA INTERCETTAVA 100 GIORNALISTI DELL’ASSOCIATED PRESS

Maurizio Molinari per "La Stampa"

Il Dipartimento di Giustizia ha spiato per due mesi i telefoni dell'Associated Press, la Casa Bianca dice di esserne stata all'oscuro, i repubblicani chiedono le dimissioni del ministro Eric Holder e lui si difende scaricando ogni responsabilità sul vice, Jim Cole.

La nuova tempesta che investe l'amministrazione Obama ha il sapore del Watergate perché si tratta di funzionari del governo che hanno messo sotto controllo telefoni privati, che in questo caso sono 20 linee dell'Associated Press relative alla redazioni ed ai giornalisti di New York, Washington, Hartford in Connecticut e al desk dentro la sala stampa nella Camera dei Rappresentanti.

Si tratta di oltre un centinaio fra reporter, caporedattori e direzione: l'intera struttura centrale della maggiore agenzia di stampa americana fra aprile e maggio del 2012 è stata intercettata e sorvegliata, nelle sue comunicazioni interne e con le fonti esterne, al fine di appurare come aveva potuto rivelare il 7 maggio l'esistenza di un piano di Al Qaeda in Yemen di far esplodere un aereo negli Stati Uniti nella primavera di quell'anno.

Ad ammettere le intercettazioni è lo stesso Dipartimento di Giustizia, inviando venerdì una lettera al presidente dell'Ap Gary Pruitt per spiegare l'avvenuto. La replica è infuocata. «Non c'è giustificazione per la sorveglianza delle comunicazioni dei nostri reporter, chiediamo l'immediata restituzione di tutte le informazioni raccolte» tuona Pruitt, riferendosi non solo ai tabulati dei numeri in entrata e uscita ma a ogni altro tipo di materiale accumulato dagli agenti.

Nell'arco di poche ore l'amministrazione Obama si ritrova assediata. Reince Priebus, presidente del partito repubblicano, parla di «spionaggio ai danni dei cittadini» e «violazione della Costituzione» che tutela, con il primo emendamento, la libertà di stampa. Il direttore dell'Unione americana delle libertà civili (Aclu) esprime «shock» per «l'intimidazione dei mezzi di comunicazione» e punta l'indice contro l'amministrazione Obama «che persegue le fughe di notizie con un'aggressività maggiore di qualsiasi governo precedente» come dimostra il fatto che ha aperto il doppio delle inchieste a carico di giornalisti rispetto a George W, Bush.

I democratici al Congresso sono in affanno e, dopo ore di silenzio, affidano a Patrick Leahy, presidente della commissione Giustizia, un commento che è quasi una condanna: «Sono inquieto, tali accuse richiedono una spiegazione, tocca al governo darla». In questa atmosfera pesante, senza sponde politiche e con i media all'attacco Jay Carney, portavoce del presidente, affronta una sorta di processo nella sala stampa della Casa Bianca. Carney recapita due messaggi.

Primo: «Nessuno qui era a conoscenza della sorveglianza dell'Ap, né il presidente né i suoi consiglieri politici». Secondo: «Serve un equilibrio fra il rispetto della libertà di stampa e la necessità di perseguire le fughe di notizie che ledono la sicurezza nazionale». È una difesa debole e per rinforzarla parla, dal ministero della Giustizia, Holder scaricando ogni responsabilità sul vice: «Mi ero ricusato da questa indagine, a condurla è stato Jim Cole» che guida le operazioni per contrastare le fughe di notizie sulla sicurezza.

Ora è la testa di Cole, amico personale di Holder, a vacillare. Ma al Congresso potrebbe non bastare e si parla di una commissione di inchiesta. Holder è il primo a rendersene conto e nel tentativo di guadagnare ossigeno politico annuncia: «Apriamo un'indagine nei confronti dell'agenzia del fisco che ha indagato sui gruppi conservatori». Ovvero l'altro scandalo che incombe sul presidente Obama.

 

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