DI PADRE IN FIGLIO: NON SOLO L’ITALIA ANCHE L’AMERICA SI PIEGA AL FAMILISMO E AL POTERE DINASTICO - PER LA CASA BIANCA POTREBBERO SFIDARSI CLINTON-BUSH COME NEL 1992 - L’ECCEZIONE SILICON VALLEY

Federico Rampini per “la Repubblica”

 

OUR KIDSOUR KIDS

Robert Putnam è stato definito il Tocqueville del terzo millennio: lo studioso più profondo della società civile in America. Putnam, sociologo di Harvard, si era distinto per decenni con le ricerche sul “capitale umano”, le strutture intermedie della partecipazione, il ruolo dell’associazionismo nell’esaltare la sovranità del cittadino. Ma il suo ultimo saggio, già un best-seller, s’intitola “Our Kids”. I nostri figli. È un titolo che da solo equivale all’ammissione di una disfatta, di un decadimento. L’America, culla della meritocrazia, diventa una società ereditaria.

 

Di padre in figlio. “I nostri figli” è un’inchiesta che fa il paio con le analisi di Thomas Piketty sulla deriva patrimoniale dell’Occidente. Putnam la osserva soprattutto sul fronte del capitale umano: cosa rende i figli dei ricchi così diversi, anche in America? Dalla tenuta della famiglia, agli investimenti nell’istruzione, tutto gioca a favore dei “figli di… qualcuno”.

 

L’Italia è il laboratorio perverso di queste patologie. Prima del caso Lupi, senior e junior, alla fine del 2014 c’era stato un episodio emblematico. Fu il caso di Giuseppe De Rita, l’ex direttore generale del Censis, che ha piazzato suo figlio sulla stessa poltrona che occupava lui. In un’intervista gli fu chiesto: «Ma come, proprio lei che da sociologo usò la definizione del familismo amorale per descrivere una tara dell’Italia? » E De Rita: «Mio figlio è bravo e competente».

FAMILISMO CENSISFAMILISMO CENSIS

 

I figli di qualcuno hanno sempre avuto la vita facile in Italia. “I Vicerè” di Federico De Roberto (1894), “I vecchi e i giovani” di Luigi Pirandello (1913), “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa (1958) intrecciano la storia dell’unità d’Italia con i fallimenti nella creazione di una classe dirigente; gratta gratta, il familismo non è mai lontano, tara ereditaria che impedisce il rinnovamento dei leader, la formazione di un nuovo establishment, l’arrivo di energie fresche.

 

FAMILISMOFAMILISMO

Oggi, ogni censimento fatto tra i giovani talenti che abbandonano l’Italia per venire a lavorare — o a fare ricerca — qui negli Stati Uniti, vede questo problema al primo posto. I nostri cervelli in fuga che approdano a New York o nella Silicon Valley californiana, molto prima delle lamentele sulla burocrazia o sulle tasse italiane, dicono: “Non ero figlio di nessuno, nei concorsi universitari mi passavano davanti i figli di…”

 

Ma l’America era agli antipodi. “Meritocrazia”, il termine fu coniato dallo studioso inglese Michael Young negli anni Cinquanta, ma è stato un tratto distintivo dell’American Dream. Oggi? Sempre meno. Barack Obama nell’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione ha preso di petto proprio il degrado della meritocrazia. “Eravamo un paese dove c’erano opportunità per tutti, a condizione di lavorare sodo. Ora non lo siamo più. La mobilità sociale è bloccata, se si nasce poveri troppo spesso lo si rimane”. Gli fa eco Hillary Clinton: “Il terreno di gioco non è più livellato, le regole sono truccate a favore dei privilegiati”.

jeb bush hillary clintonjeb bush hillary clinton

 

Già, la Clinton. Il suo cognome è diventato un simbolo dello stesso male. La parentocrazia dilaga in politica. La sfida per la Casa Bianca nel 2016 rischia di ridursi a Clinton-Bush come nel 1992 (allora fu Bill contro George senior).

 

Figli di presidenti contro mogli di presidenti? L’elenco delle dinastie si allunga, per esempio i Cuomo di New York. Non è un fenomeno nuovo: ci furono i Roosevelt (Ted e Franklin) e i Kennedy (John, Bob, Ted). Una sottile differenza non va ignorata. I Roosevelt erano dei patrizi, un’aristocrazia borghese, premiati dal successo negli affari, educati da una rigida etica protestante a restituire alla comunità i propri privilegi, dedicandosi con abnegazione al servizio pubblico.

 

I Kennedy li emularono e ne seguirono il modello. I Bush e i Clinton? Hanno fatto più soldi dopo l’ingresso in politica, di quanti ne avessero prima. I “figli di…” stanno costruendo quella che Daron Acemoglu e James Robinson definiscono la società “estrattiva”: formano delle oligarchie parassitarie, prelevano rendite dal resto della comunità, bloccano la mobilità verso l’alto.

JEB BUSH E HILLARY CLINTONJEB BUSH E HILLARY CLINTON

 

In America la chiave di tutto va cercata nell’istruzione. Quando Putnam era bambino, nell’America che aveva inventato l’università di massa come motore di creazione di una vasta middle class benestante, il divario tra ricchi e poveri nel finire l’università era il 39%. Oggi è salito al 51%. I ricchi americani fanno come De Rita: prima ancora di raccomandare i propri figli, si assicurano che abbiano un curriculum coi fiocchi.

 

A Manhattan la gara dei privilegiati comincia alla scuola materna: quelle che ti preparano il figlio a diventare un futuro genio, coi corsi di matematica avanzata e mandarino, costano 40.000 dollari l’anno. Le iscrizioni sono talmente selettive che i genitori assumono dei “coach” (allenatori-istruttori) per bambini di due anni e mezzo, onde prepararli ai test d’ingresso. Le grandi università di élite, quelle della prestigiosa Ivy League, hanno dei tassi di accettazione sotto il 5% delle domande.

 

Eppure, guarda caso, il 16% dei loro iscritti sono figli di ex-alumni. Che l’intelligenza, la preparazione, l’attitudine alla creatività siano davvero ereditarie? Ha più importanza il meccanismo di finanziamenti. Anche le università pubbliche dipendono sempre più dal mecenatismo privato: e come dire di no alla domanda d’iscrizione del figlio di un grande imprenditore che ha appena fatto costruire a proprie spese il nuovo centro ricerche di biogenetica?

 

bill gatesbill gates

Quella che era stata la fucina dell’America Dream, la grande livellatrice delle opportunità, cioè la scuola, è oggi all’origine delle nuove diseguaglianze americane. Che si mascherano abilmente: secondo una ricerca della Stanford University, non c’era mai stato un nesso così stretto fra ricchezza dei genitori e voti accademici dei figli. I privilegiati made in Usa hanno scippato la meritocrazia, assicurandosi che il “merito” sia sempre dalla parte dei propri figli.

 

Allora come si spiega che i “figli di nessuno”, i non-raccomandati, continuino ad affluire proprio in America? Si è “figli di…” all’ennesima potenza in Italia o in India, in Russia o nella Cina comunista dove il presidente Xi Jinping è figlio di un compagno di lotte di Mao Zedong. Da tutte queste nazioni dove imperversano il familismo, il nepotismo, la terra promessa per i giovani di talento restano gli Stati Uniti. Da una parte, perché tutto è relativo.

 

BILL GATES E STEVE JOBSBILL GATES E STEVE JOBS

Rispetto al familismo sfacciato nella versione italiana, gli Stati Uniti praticano una versione più presentabile: non si raccomanda il rampollo incapace, lo si costringe a guadagnarsi un Ph. D. a Yale o a Princeton. Ma soprattutto c’è una vasta area dove i “figli di…” hanno la vita dura. È la punta avanzata del sistema americano: il capitalismo. Il principio dinastico che in politica ci ha dato i Clinton e i Bush, viene rovesciato nel mondo dell’imprenditoria, quella vera. Bill Gates ha diseredato i suoi figli dicendo:

 

“Lasciare le imprese ai nostri figli è una follia. La squadra americana alle prossime Olimpiadi, non la selezioniamo scegliendo i figli degli ex-olimpionici”. I Rockefeller e i Carnegie amministrano fondi filantropici, da tempo le loro aziende sono public company guidate da manager selezionati sul mercato. Non ci sarà una discendente di Steve Jobs alla guida di Apple. E tutte le imprese neonate che hanno fatto grandi la Silicon Valley e il Nasdaq, sono state create da geni di vent’anni, figli di nessuno.

BILL GATES E STEVE JOBSBILL GATES E STEVE JOBSmark zuckerberg doccia freddamark zuckerberg doccia freddaZUCKERBERG WHATSAPP ZUCKERBERG WHATSAPP ZUCKERBERG ALL UNIVERSITA TSINGUA DI PECHINOZUCKERBERG ALL UNIVERSITA TSINGUA DI PECHINO

 

Ultimi Dagoreport

pupi avati antonio tajani

DAGOREPORT! PUPI, CHIAGNE E FOTTI – ASCESE, CADUTE E AMBIZIONI SBAGLIATE DI PUPI AVATI, “CONSIGLIERE PER LE TEMATICHE AFFERENTI AL SETTORE DELLA CULTURA” DI ANTONIO TAJANI - IL REGISTA CHE AI DAVID HA TIRATO STOCCATE ALLA SOTTOSEGRETARIA AL MIC, LUCIA BORGONZONI, È LO STESSO CHE HA OTTENUTO DAL DICASTERO FONDI PER OLTRE 8 MILIONI DI EURO TRA IL 2017 E IL 2023 – L’IDEA DI UN MINISTERO DEL CINEMA AVALLATA DA TAJANI (“IL GOVERNO VALUTERÀ") PER TOGLIERE I QUASI 700 MILIONI DI EURO CHE IL MIC HA IN PANCIA PER PROMUOVERE, A SPESE DEI CITTADINI, IL CINEMA ITALICO – IL SEQUESTRO DEI BENI PER EVASIONE IVA DA 1,3 MILIONI CON L'INCREDIBILE REPLICA DI PUPI: “NON E’ UN BEL MOMENTO PER IL CINEMA ITALIANO...” - LA SUA SOCIETA', ‘’DUEA FILM’’, CHE DA VISURA PRESSO LA CAMERA DI COMMERCIO DI ROMA È IN REGIME DI CONCORDATO PREVENTIVO, DEVE A CINECITTÀ CIRCA 400 MILA EURO PER UTILIZZO DEGLI STUDI - L’86ENNE AVATI STA PER INIZIARE IL SUO 46ESIMO FILM (“NEL TEPORE DEL BALLO”) PER UN BUDGET DI 3,5 MILIONI CHE GODE GIÀ DI UN DOVIZIOSO FINANZIAMENTO DI RAI CINEMA DI UN MILIONE... – VIDEO

al thani bin salman zayed donald trump netanyahu saudita sauditi

DAGOREPORT – DOMANI TRUMP VOLA NEL GOLFO PERSICO, AD ATTENDERLO MILIARDI DI DOLLARI E UNA GRANA - PER CAPIRE QUANTI AFFARI SIANO IN BALLO, BASTA APRIRE IL PROGRAMMA DEL FORUM DI INVESTIMENTI USA-ARABIA SAUDITA. CI SARANNO TUTTI I BIG DELL’ECONOMIA USA: MUSK, ZUCKERBERG, ALTMAN, BLACKROCK, CITIGROUP, ETC. (OLTRE AL GENERO LOBBISTA DI TRUMP) - SAUDITI, EMIRATINI E QATARIOTI SONO PRONTI A FAR FELICE L'AMERICA "MAGA". MA PER INCASSARE LA CUCCAGNA, TRUMP QUALCOSA DEVE CONCEDERE: I REGNI MUSULMANI ARABI PERDEREBBERO LA FACCIA SENZA OTTENERE IL RICONOSCIMENTO DI UNO STATO PALESTINESE - L'INCONTRO DEI MINISTRI DEGLI ESTERI SAUDITA E IRANIANO PER UNA PACE TRA SCIITI E SUNNITI - PRESO PER IL NASO DA PUTIN SULL’UCRAINA E COSTRETTO DA XI JINPING A RINCULARE SUI DAZI, IL CALIGOLA DELLA CASA BIANCA HA DISPERATAMENTE BISOGNO DI UN SUCCESSO INTERNAZIONALE, ANCHE A COSTO DI FAR INGOIARE IL ROSPONE PALESTINESE A NETANYAHU…

starmer - zelensky - macron - tusk - merz - a kiev giorgia meloni fico putin

DAGOREPORT – DOVEVA ESSERE UNA “PONTIERA”, GIORGIA MELONI ORMAI È UNA “PORTIERA”. NEL SENSO CHE APRE E CHIUDE IL PORTONE AGLI OSPITI IN ARRIVO A PALAZZO CHIGI: L’ULTIMO CHE SAREBBE DOVUTO ARRIVARE TRA FRIZZI E LAZZI È ROBERT FICO, IL PREMIER SLOVACCO UNICO LEADER EUROPEO PRESENTE ALLA PARATA MILITARE, A MOSCA, SCAMBIANDOSI SMANCERIE CON PUTIN - PER NON PERDERE LA FACCIA, LA DUCETTA HA DOVUTO RIMANDARE LA VISITA DI FICO A ROMA AL 3 GIUGNO - QUESTI SONO I FATTI: L’AUTOPROCLAMATASI “PONTIERA”, TOLTA LA PROPAGANDA RILANCIATA DAI TROMBETTIERI DI ''PA-FAZZO'' CHIGI, NON CONTA NIENTE SULLO SCENA INTERNAZIONALE (LA PROVA? IL VIAGGIO DI MACRON, MERZ, STARMER E TUSK A KIEV E IL LORO ACCORDO CON TRUMP) - RUMORS: IL TEDESCO MERZ PERPLESSO SUL VIAGGIO IN ITALIA DI LUGLIO. E MELONI PUNTA A INTORTARLO DOMENICA ALLA MESSA DI INIZIO PONTIFICATO DI LEONE XIV, IN PIAZZA SAN PIETRO...

orchesta la scala milano daniele gatti myung whun chung myung-whun ortombina fortunato

DAGOREPORT: CHE GUEVARA VIVE ALLA SCALA – ALLA FINE DEL 2026, SARÀ IL DIRETTORE D’ORCHESTRA COREANO MYUNG-WHUN CHUNG IL SUCCESSORE DI RICCARDO CHAILLY - IL CONIGLIO (CONIGLIO, NON CONSIGLIO) DI AMMINISTRAZIONE DELLA SCALA AVEVA SUGGERITO IL NOME DEL MILANESE DI FAMA MONDIALE DANIELE GATTI. MA LA CGIL DELL’ORCHESTRA, SOTTOTRACCIA, HA SUBITO FATTO CAPIRE CHE NON ERA DI SUO GRADIMENTO: A GATTI VENIVA “RIMPROVERATO” UN ATTEGGIAMENTO UN PO’ SEVERO VERSO GLI ORCHESTRALI (POCO INCLINI A NON FARE QUEL CHE VOGLIONO) – ORA I SINDACATI RECLAMANO L’AUMENTO DI PERSONALE (DEL RESTO, LA SCALA, HA SOLO MILLE DIPENDENTI!), AUMENTI RETRIBUTIVI, SCELTA DELL’UFFICIO STAMPA ALL’INTERNO DEL TEATRO, FINANCO LA RICHIESTA DI PARCHEGGIARE I MONOPATTINI NEL CORTILETTO INTERNO…

orcel giorgetti nagel castagna bpm unicredit

DAGOREPORT - RISIKO INDIGESTO: LA PROTERVIA DI GIORGETTI A DIFESA DI BPM DALLE GRINFIE DI UNICREDIT, INDISPETTISCE FORZA ITALIA E I FONDI CHE HANNO INVESTITO MILIARDI IN ITALIA - GLI SCAZZI SUL DECISIONISMO DI ORCEL NEL BOARD DI UNICREDIT: IL CDA PRENDE TEMPO SULL'OFFERTA DI SCAMBIO SU BPM, CHE LA LEGA CONSIDERA LA "SUA" BANCA - LA STILETTATA DI NAGEL A LOVAGLIO ("PER BUON GUSTO NON RIPERCORRO LA STORIA DEL MONTE DEI PASCHI") E L'INSOFFERENZA DI CALTAGIRONE PER IL CEO DI BPM, CASTAGNA...

keir starmer emmanuel macron e friedrich merz sul treno verso kiev giorgia meloni mario draghi olaf scholz ucraina donald trump

DAGOREPORT - IL SABATO BESTIALE DI GIORGIA MELONI: IL SUO VELLEITARISMO GEOPOLITICO CON LA GIORNATA DI IERI FINISCE NEL GIRONE DELL'IRRILEVANZA. LA PREMIER ITALIANA OGGI CONTA QUANTO IL DUE DI PICCHE. NIENTE! SUL TRENO DIRETTO IN UCRAINA PER INCONTRARE ZELENSKY CI SONO MACRON, STARMER, MERZ. AD ATTENDERLI, IL PRIMO MINISTRO POLACCO TUSK. NON C'È PIÙ, COME TRE ANNI FA, L’ITALIA DI MARIO DRAGHI. DOVE È FINITA L’AUTOCELEBRATOSI “PONTIERA” TRA USA E UE QUANDO, INSIEME CON ZELENSKY, I QUATTRO CABALLEROS HANNO CHIAMATO DIRETTAMENTE IL ‘’SUO CARO AMICO” TRUMP? E COME HA INCASSATO L’ENNESIMA GIRAVOLTA DEL CALIGOLA DELLA CASA BIANCA CHE SI È DICHIARATO D’ACCORDO CON I VOLENTEROSI CHE DA LUNEDÌ DOVRÀ INIZIARE UNA TREGUA DI UN MESE, FUNZIONALE AD AVVIARE NEGOZIATI DI PACE DIRETTI TRA UCRAINA E RUSSIA? IN QUALE INFOSFERA SARANNO FINITI I SUOI OTOLITI QUANDO HA RICEVUTO LA NOTIZIA CHE TRUMP FA SCOPA NON PIÙ CON IL “FENOMENO” MELONI MA CON...