IL LUNGO PARTO DELL’ITALICUM - RENZI GODE E CONFESSA AI SUOI: “BERLUSCONI MI HA FATTO IMPAZZIRE” - LA TELEFONATA A BERSANI PER STOPPARE LA MINORANZA PD DI CUPERLOO

Francesco Bei e Goffredo De Marchis per ‘La Repubblica'

Ecce Italicum. Alle due del pomeriggio, dopo una trattativa estenuante che ha occupato parte della notte, Matteo Renzi ufficializza su Twitter l'accordo raggiunto con Berlusconi e Alfano: «Bene così. Adesso sotto con il Senato, le Province e il Titolo V. E soprattutto con il Jobs act. Dai che questa è la volta buona».

Parlando con i suoi, il leader del Pd rivendica il merito principale della "sua" riforma: «D'ora in avanti l'Italia avrà sempre un vincitore alle elezioni». E dunque, aggiunge sui social network, «mai più larghe intese grazie al ballottaggio, mai più potere di ricatto dei piccoli partiti. Dopo anni di melina, in qualche settimana si passa dalle parole ai fatti». ANCHE per Berlusconi quello raggiunto ieri è «un accordo storico».

Ma per arrivare all'intesa finale la strada è stata tutt'altro che facile. E adesso bisogna respingere gli «agguati» parlamentari dei possibili franchi tiratori, a partire dalla prima votazione (segreta) di domani sulla pregiudiziale di costituzionalità. Per il momento c'è la soddisfazione di aver tagliato il primo traguardo. «Berlusconi però ci ha fatto impazzire», racconta il segretario del Pd ricostruendo la notte decisiva. Per questo ieri mattina sono servite altre due telefonate con il Cavaliere.

Per questo Renzi, mentre aspettava l'ultima risposta del leader di Forza Italia, ha stretto i bulloni con gli altri protagonisti del patto. Ha chiamato Alfano più volte, ha sentito Gianni Letta che ha mediato per conto di Fi con il Quirinale, ha parlato con Pier Ferdinando Casini, con Scelta civica, contattando la segretaria Stefania Giannini e Andrea Romano. Fino alla telefonata della liberazione, quella da Palazzo Grazioli.

Che gli ha permesso di comporre il numero del Colle e annunciare a Giorgio Napolitano il "parto". «Era contento anche lui», raccontava alla fine della giornata. «Gli italiani non mangiano legge elettorale - osserva Renzi parlando al Tg1 - ma sono vent'anni che i partiti litigano su tutto. Ora si fanno insieme le regole del gioco, è come se si fosse rotto un incantesimo, sbloccata una magia».

Naturalmente, la trattativa con il coltello fra i denti è stata quella con Berlusconi, assistito da Denis Verdini. Renzi l'ha condotta creando una piccola task force a Largo del Nazareno: il capogruppo Roberto Speranza, il ministro Dario Franceschini, il portavoce Lorenzo Guerini, Maria Elena Boschi. Il Cavaliere è tassativo: «Oltre il 36 per cento di soglia per il premio di maggioranza non vado. E il 5 per cento di sbarramento
rimane così». «Dobbiamo fare un regalo anche ad Alfano - lo rabbonisce Renzi - e sul 36 sai che c'è anche l'occhio del Quirinale. Chiedi a Gianni Letta, lui sa tutto».

Bisogna arrivare almeno al 37 per cento, insiste il sindaco di Firenze. Altrimenti salta tutto. Berlusconi resiste, prende tempo, se ne esce con altre proposte stravaganti che lasciano di sasso il leader democratico: «Semmai, per il secondo turno, possiamo fare un ballottaggio a tre, che ne dici?». S'intuisce, dietro i tentennamenti del Cavaliere, uno scontro lacerante dentro Forza Italia tra favorevoli e contrari al patto. La trattativa s'interrompe. Ma il lavoro di Renzi va avanti.

Il segretario manda sms a tutti. Sente Rosy Bindi. Persino a Beppe Fioroni, che sta sulle barricate contro l'accordo, invia un messaggino: «Sto lavorando sul 37 e il 4 per cento di sbarramento, non ti preoccupare». Il gruppo del Pd resta in subbuglio, ma una telefonata di qualche ora prima ha frenato una possibile, plateale, scissione in corso d'opera. Renzi chiama Bersani, convalescente a Piacenza. Un lungo colloquio, per tenere unito il partito. Bersani allora si attiva. Telefona a Cuperlo, sente il fedelissimo Alfredo D'Attorre: «Fate la vostra battaglia, ma fermatevi un attimo prima. Il dissenso non deve portare a rotture insanabili».

È l'aiuto che serve per limitare i danni del dissenso interno. Oltretutto la minoranza dem è spaccata. Matteo Orfini è favorevole al compromesso e scolpisce così le distanze da D'Attorre e compagni: «Leggo dichiarazioni fatte a nome della minoranza. Immagino s'intenda la minoranza della minoranza». Il cuperliano Enzo Amendola, segretario regionale della Campania, taglia corto: «Meglio questo accordo di niente». Renzi tira tutti i fili, ma quello che ancora manca è il sì ufficiale di Angelino Alfano. Il leader del nuovo centrodestra è stato coinvolto nella trattativa e ha ottenuto le pluricandidature, l'abbassamento dello sbarramento al 4,5%, la ripartizione nazionale dei seggi. E pure pretende di più.

Enrico Costa, il capogruppo, a sera fotografa una situazione ancora aperta: «Sono stati compiuti dei passi avanti, ma questioni di rilievo restano irrisolte». Oggi Ncd presenterà una serie di casi paradossali, ipotesi estreme che potrebbero portare il sistema in tilt per colpa della nuova legge.

Ad esempio se una coalizione, composta tutta da partiti che restano sotto il 4,5 per cento, dovesse arrivare prima e vincere il premio di maggioranza. A chi andrebbero i seggi? A nessuno. Al di là dei paradossi, Ndc chiede una garanzia robusta per sopravvivere in coalizione con Forza Italia: il recupero del partito meglio piazzato sotto la soglia di sbarramento. «Perché alla Lega è stato concesso e a noi no?».

Ci sono altre serie questioni che potrebbero mettere a rischio il passaggio parlamentare. L'alternanza di genere, non garantita dall'Italicum, potrebbe portare a una saldatura tra le donne di Forza Italia e quelle del Pd. Anche la mancanza delle primarie - nemmeno facoltative - è fonte di imbarazzo per il Pd. «Noi le primarie le faremo comunque, l'alternanza di genere ci sarà nelle nostre liste», assicura il segretario. Risentimenti, dubbi e rivalità potrebbero ingrossare le file dei franchi tiratori.

Una riunione con Dario Nardella, Renato Brunetta e Dario Franceschini serve a fare il punto sui numeri. Sulla carta la maggioranza a favore dell'Italicum è di 415 deputati, ma ci potrebbero essere una quarantina di defezioni nel Pd, una decina di Forza Italia (area Fitto), qualche alfaniano e qualche cane sciolto di Scelta civica. Non bastano ad affossare la legge, però fanno già capire quanto sarà faticosa la battaglia al Senato, dove i numeri sono molto più incerti. Lo ammette lo stesso Renzi, anche se oggi è il giorno dei brindisi: «Non è finita ma in tre settimane io sono riuscito dove altri hanno fallito. È la prima volta che Berlusconi mantiene un patto».

 

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