1. PASQUA SENZA RESURREZIONE PER BERSANI, UN LEADER CHE NELL’EPOCA DI PALMIRO TOGLIATTI AVREBBE POTUTO A MALAPENA GESTIRE IL BARETTO DELLE FRATTOCCHIE 2. DOPO PALAZZO CHIGI IL FALLIMENTARE SMACCHIATORE DI GIAGUARI PERDE ANCHE IL PD 3. IL FLOP ELETTORALE E LA SUCCESSIVA LINEA DI “INSEGUIMENTO A GRILLO” VIENE SEPOLTA DALLE PAROLE DEL MAGO DALEMIX: “QUELLO È MATTO, COSÌ CI PORTA ALLA ROVINA” 4. LA DISPONIBILITÀ UFFICIALE DEL PD SBERSANIZZATO A DARE I PROPRI VOTI A QUALSIASI GOVERNO SCELTO DA NAPOLITANO PROVOCATA DALLO STESSO CAPO DELLO STATO, CHE DI FRONTE ALL’IMPASSE HA MESSO SUL PIATTO LE PROPRIE IMMEDIATE DIMISSIONI

1. «QUELLO È MATTO CI PORTA ALLA ROVINA»
Franco Bechis per Libero

Era concitata quella telefonata a voce alta fatta da Massimo D'Alema di primo mattino nella via vicino casa, a pochi passi da piazza Mazzini, cuore del quartiere Prati a Roma. Chissà chi era l'interlocutore che ascoltava il veemente sfogo su Pierluigi Bersani: «Quello è matto, così ci porta alla rovina».

Nelle stesse ore il gruppo dei fedelissimi(ormai una sparuta pattuglia parlamentare dopo l'utilizzo del Ddt contro la corrente nella formazione delle liste) provava a chiedere una riunione qualsiasi - una direzione, un caminetto, almeno un barbecue - prima che Enrico Letta salisse al Quirinale: «Dobbiamo dirgli pure qualcosa. Qui stiamo tornando indietro di 20 anni. Il partito sembra quello che si è rovinato con i girotondi e gli arancioni».

Qualche riunione c'è pure stata. Letta jr e Dario Franceschini si sono trovati nella sede dell'Arel. Ieri sera si era diffusa anche la voce di una presenza di Bersani, e addirittura il retroscena di un incontro simile a quello fatale di Giulio Cesare con Bruto e Cassio. Fantasie, perché Bersani si è tolto di mezzo dal primo mattino facendo sapere di andare a Piacenza.

Lì a dire il vero nessuno l'ha trovato. E l'inviato del Tg La7 che si era precipitato lì su indicazioni del portavoce del segretario Pd, Stefano Di Traglia, ha provato invano a scampanellare. Al citofono ha risposto solo la signora Bersani lanciandosi in un «il segretario non è in casa», che doveva avere sentito all'epoca di PalmiroTogliatti.

Il segretario certo non era alla riunione Arel, ma da lì devono essergli fischiate parecchio le orecchie. C'è chi dice che sia arrivata da Letta una telefonata cortese, ma determinata: «Pier Luigi, non possiamo continuare sulla stesa linea». Dalle fila del segretario traspare invece una soluzione concordata: un cambio di rotta per uscire dall'angolo e ribaltare le difficoltà su chi li aveva messi alle corde.

Chissà quale è la versione più vera. Una cosa sola è certa: ieri il Pd era una maionese impazzita. Il capogruppo al Senato, Luigi Zanda, di primo mattino aveva iniziato sue personali consultazioni con i senatori Pd per sondare un eventuale via libera a un governo guidato da Fabrizio Saccomanni. A metà giornata filtravano indiscrezioni su contatti informali fra il Quirinale e il presidente dell'Anci, Graziano Delrio, per verificare l'eventuale disponibilità di Matteo Renzi.

Si intensificavano anche le voci di un arrivo di Renzi a Roma addirittura per ricevere l'incarico. Nulla veniva confermato, ma tutto questo dava l'idea dell'impazzimento nelle fila del centrosinistra. Bersani una telefonata di sicuro l'ha fatta ed è quella con Nichi Vendola, leader di Sel: «Vai avanti tranquillo, io non mollo un centimetro. O governo del cambiamento con me o si va alle elezioni ».

E infatti Vendola si è immolato su questa linea nemmeno un'ora prima del voltafaccia di Letta jr. Che cosa è accaduto in mezzo per provocare la grande virata di 180 gradi e la disponibilità ufficiale del Pd a dare i propri voti a qualsiasi governo scelto da Napolitano? Secondo i rumors lo stesso presidente della Repubblica, che di fronte all'impasse ha messo sul piatto le proprie immediate dimissioni.

Questa ipotesi è stata sicuramente ventilata nell'incontro con i rappresentanti di Lista civica per Monti, quando Napolitano si è lasciato scappare «a questo punto non sarò più io ad occuparmi di una soluzione alla crisi politica». Secondo le ricostruzioni è stata fatta in modo più deciso durante l'incontro con la delegazione Pd: «Io mi dimetto il 2 aprile». E ancora ieri a tarda sera molti erano convinti che quella non fosse solo una minaccia, ma una decisione ormai presa. E che semmai potrebbe essere addirittura anticipata e comunicata pubblicamente oggi.

Certo, la svolta nel Pd è sembrata evidente dalle comunicazioni finali di Letta. Ma non è stata colta come tale dagli altri protagonisti. «Quale svolta?», commenta infatti il neosenatore Augusto Minzolini, «hanno detto no al governissimo e sì a un governo di scopo che noi non possiamo certo votare. Sembra solo un trucco per perdere tempo».

Mezza svolta, mezza umiliazione per Bersani. Che ieri però l'ha presa come uno schiaffone. Lui si sentiva ancora premier incaricato. Napolitano invece ha spiegato alle delegazioni che «non c'era alcun bisogno di revoca dell'incarico, visto che aveva un perimetro limitato che è evidentemente finito giovedì». Il segretario Pd non l'ha presa bene, e schiuma rabbia: «Ah, sì? Adesso si divertiranno con il presidente della Repubblica. Faremo eleggere Paolo Flores D'Arcais o anche Margherita Hack, se piace di più ai grillini».


2. IL SEGRETARIO SARÀ "PROCESSATO" DAGLI STESSI CHE L'HANNO ELETTO
Federico Geremicca per La Stampa

Se cominciamo con lui, uomo moderato e alleato leale - dalle primarie fino al deludente voto di febbraio - è solo per render meglio un'idea: l'idea, cioè, di quanto si sia mosso dentro e intorno al Pd nel mese trascorso dalle elezioni a oggi. E quanto, soprattutto, si muoverà da oggi in poi.

Erano giorni che Bruno Tabacci era in sofferenza: e ieri quest'insofferenza ha tracimato.
«L'inseguimento a Grillo non si può fare rimettendo insieme i cocci della sinistra, da Ingroia a Di Pietro ai Comunisti italiani...», ha dettato Tabacci alle agenzie. E poi, raggiunto telefonicamente, ha spiegato: «A Roma, per le elezioni al Campidoglio, stanno rimettendo in piedi proprio una cosa del genere: da far rimpiangere la "gioiosa macchina da guerra" di Achille Occhetto. Ma io avevo capito che la rotta del Pd fosse cambiata. Definitivamente cambiata...».

E invece eccoci qui a fare i conti con l'«inseguimento a Grillo»: che, Tabacci a parte, costituirà il primo capo d'accusa dal quale Pier Luigi Bersani dovrà difendersi, appena il suo tentativo di fare un governo risulterà anche ufficialmente tramontato. Ad aspettarlo al varco c'è ormai una folla: leader al momento defilati, come D'Alema e Veltroni; figure fino a ieri di primo piano - come Bindi, Finocchiaro e Franceschini - sacrificate nell'«inseguimento a Grillo»; gruppi - come i giovani turchi di Orfini, Orlando e Fassina - per i quali «la ruota del cambiamento» ha girato poco o niente; e Matteo Renzi, infine, il leader in sonno, l'asso da calare, la risposta a Grillo e chi più ne ha più ne metta.

Nella sostanza, è la stessa maggioranza che lo elesse segretario ad essersi letteralmente sfarinata: Bersani naturalmente lo sa e da ieri - nella sua Piacenza - ha cominciato a ragionare su come affrontare l'inevitabile resa dei conti che lo attende nel Pd. Tener duro e difendere le scelte fatte? Presentarsi dimissionario alla prima occasione utile? Rimettere al partito la decisione su cosa fare?

Bersani riflette, sapendo però che il cerchio si stringe e nuove alleanze interne si vanno costruendo. Matteo Renzi, in particolare, esercita ormai una sorta di effetto-calamita: non ha bisogno di muovere un dito, perché c'è la fila davanti alla sua porta. Il chiarimento - per usare un eufemismo - resterà sospeso fino alla conclusione (qualunque essa sia) della complicata vicenda del governo: poi - e salvo elezioni a breve - sarà tutto un ribollire fino al Congresso, già programmato per ottobre. Un segretario giovane (Letta? Barca?) e un futuro candidato premier ancor più giovane (Renzi), sembrano l'approdo obbligatorio: ma è difficile immaginare che vi si possa giungere in un clima di solidarietà e concordia...

Molte cose - forse troppe cose - hanno avvelenato il clima nel Pd: e quasi tutte vengono - naturalmente - imputate a Bersani. I capi d'accusa sono numerosi, e non riguardano solo la linea tenuta dopo il voto (l'«inseguimento a Grillo»). Molti, infatti, contestano addirittura i toni e gli argomenti di una campagna elettorale iniziata da vincitori e finita in altro modo.

Altri, i più delusi, puntano l'indice contro quello che, con poca generosità, è stato definito l'«autismo» del segretario: pochissime informazioni al partito su quel che maturava nella crisi, le riunioni continue riservate al solo «tortello magico» (Migliavacca, Errani, Fiammenghi), l'incaponirsi su una linea (riecco l'«inseguimento a Grillo»...) che 48 ore dopo il voto poteva esser tranquillamente abbandonata.

Può essere che abbia una risposta per tutto: e può essere, naturalmente, che quelle risposte vengano archiviate come poco convincenti o addirittura sbagliate. Per esempio: bene l'apertura al nuovo, a Beppe Grillo, subito dopo il voto; ma male incaponirsi su una posizione vanificata (mortificata) dalle porte ripetutamente sbattute in faccia dal comico genovese.

E male, anzi malissimo, aver tarato ogni iniziativa solo in funzione dell'«inseguimento a Grillo»: dagli otto punti di programma ai nuovi presidenti di Camera e Senato (intorno ai quali già si registrano insoddisfazioni e ironie) tutto è stato fatto guardando da una parte sola. Pessimo, infine, il «mai con Berlusconi» ripetuto all'infinito: con il risultato di sbarrare qualunque altra strada al Pd (e al capo dello Stato)...

Acque tempestose, dunque. All'indomani della delusione elettorale, a Bersani fu chiesto se aveva pensato alle dimissioni: «Io non abbandono la nave - rispose, ed era il 26 di febbraio -. Posso starci sopra da capitano o da mozzo, ma non la abbandono». È passato un mese: e nessuno sa come Bersani risponderebbe oggi...

 

 

BERSANI bersani napolitanoBersani 'convoca' il M5Suffa bersanikk bersani-BERSANI IN VERSIONE GIAGUARO PIERLUIGI BERSANI bersani vignettaBerlusconi dorme benedetto xvi bersani bersani by domenico rosa casaleggio grillo BERSANI LETTA DALEMA FRANCESCHINI BERLUSCONI NAPOLITANO GOVERNO DI SCOPO E SCOPONE BERSANI GRILLO BERLUSCONI NAPOLITANO

Ultimi Dagoreport

marcello viola alberto nagel giorgia meloni francesco gaetano caltagirone luigi lovaglio mps mediobanca piazza affari

DAGOREPORT - MEDIOSBANCA! I GIOCHI ANCORA NON SONO FATTI. E LE PREMESSE PER UN FUTURO DISASTRO SONO GIÀ TUTTE SUL TAVOLO - AL DI LÀ DELLE DECISIONI CHE PRENDERÀ LA PROCURA DI MILANO SUL PRESUNTO “CONCERTO” DEL QUARTETTO CALTA-GIORGETTI-LOVAGLIO-MILLERI NELLA PRIVATIZZAZIONE DEL 15% DI MPS, IL PROGETTO TANTO AUSPICATO DA GIORGIA MELONI DI DARE VITA A UN TERZO POLO BANCARIO, INTEGRANDO MPS, BPM E MEDIOBANCA, SI È INCAGLIATO DI BRUTTO: LO VUOLE SOLO FRATELLI D’ITALIA MENTRE FORZA ITALIA SE NE FREGA E LA LEGA E' CONTRO, SAPENDO BENISSIMO CHE L’OBIETTIVO VERO DEL RISIKONE BANCARIO È QUEL 13% DI GENERALI, IN PANCIA A MEDIOBANCA, NECESSARIO PER LA CONQUISTA CALTAGIRONESCA DEL LEONE DI TRIESTE - AL GELO SCESO DA TEMPO TRA CALTA E CASTAGNA (BPM) SI AGGIUNGE IL CONFLITTO DI CALTA CON LOVAGLIO (MPS) CHE RISCHIA DI ESSERE FATTO FUORI PER ‘’INSUBORDINAZIONE’’ - ANCHE LA ROSA DEI PAPABILI PER I NUOVI VERTICI DI MEDIOBANCA PERDE PETALI: MICILLO HA RIFIUTATO E VITTORIO GRILLI NON È INTERESSATO - LA BOCCIATURA DELL’OPERAZIONE DI FITCH, CHE VALUTA MPS CON UN RATING PIÙ BASSO RISPETTO A MEDIOBANCA - LAST BUT NOT LEAST: È SENZA FINE LO SCONTRO TRA GLI 8 EREDI DEL VECCHIO E IL CEO MILLERI, PARTNER DEVOTO DI CALTARICCONE…

silvia toffanin francesca fialdini giorgia cardinaletti tommaso zorzi alessandro giuli pietro tatafiore barbara castorina

A LUME DI CANDELA - TOMMASINO ZORZI NON SARÀ OPINIONISTA AL “GRANDE FRATELLO”: NONOSTANTE LE SPINTE DI CASCHETTO, IL SUO NOME È STATO BOCCIATO – CI MANCAVA IL MINISTRO GIULI-VO IN VERSIONE OFFICIANTE: HA CELEBRATO IL MATRIMONIO DEL SUO CAPO UFFICIO STAMPA, PIERO TATAFIORE, CON BARBARA CASTORINA, TITOLARE DELL'AGENZIA VISVERBI CHE HA ASSISTITO IN PASSATO PROFESSIONALMENTE GIULI (AVRÀ RIFILATO UN ALTRO PIPPOZZO SUL “PENSIERO SOLARE”?) - BIANCA BERLINGUER E ILARIA D'AMICO (CHE LASCIA CASCHETTO) NELL'AGENZIA DI PRESTA - GIORGIA CARDINALETTI AL POSTO DI FRANCESCA FIALDINI - DOPO LA CHIUSURA DI TANGO, COSTAMAGNA OSPITE SU RETE 4 (NEL PROGRAMMA DOVE LAVORA IL SUO COMPAGNO) - LUI È UN POLITICO DI PRIMO PIANO, LEI È UNA BELLA GIORNALISTA. I DUE SONO STATI AMANTI E LUI HA FAVORITO LA SUA ASCESA. DURANTE UNA RECENTE INTERVISTA HANNO FATTO FINTA DI NON CONOSCERSI DANDOSI DEL LEI. DI CHI STIAMO PARLANDO?

luca zaia matteo salvini francesco acquaroli conte bonelli schlein fratoianni matteo ricci

DAGOREPORT - DALLA RIFORMA ELETTORALE AL RIMPASTO DI GOVERNO, IL FUTURO DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È APPESO COME UN CACIOCAVALLO AL SUO PRIMO TEST CRUCIALE: LE REGIONALI – SCATENEREBBE UNO SCONQUASSO NELLA LITIGIOSA COALIZIONE DI GOVERNO SE FRATELLI D'ITALIA DOVESSE PERDERE LE MARCHE, DOVE LA RICONFERMA DEL MELONIANO ACQUAROLI E' INCERTA - A QUEL PUNTO, A NOVEMBRE, LA MELONA VORRÀ ASSOLUTAMENTE IMPORRE UN CANDIDATO ALLA FIAMMA NEL VENETO LEGHISTA - LA DUCETTA HA BEN RAGIONE DI PRETENDERLO: MALGRADO IL SUO 28-29%, ATTUALMENTE FDI GOVERNA SOLO IN TRE REGIONI: MARCHE, ABRUZZO E LAZIO - PER FARCELA, LA DUCETTA DOVRA' CONVINCERE LUCA ZAIA AD APPOGGIARE, COL 40% DI CONSENSI DI CUI GODE LA SUA LISTA, IL SUO CANDIDATO ALLA PRESIDENZA - NEL CASO IN CUI IL "DOGE" NON ACCETTI LA PROPOSTA, A QUEL PUNTO, GIÀ TAGLIATO FUORI DA SALVINI, LE AMBIZIONI DI ZAIA DI RICOPRIRE UN DOMANI LA PRESIDENZA DELL'ENI O MAGARI LA CARICA DI MINISTRO DOVRA' RIPORLE NEL CASSETTO DEI SOGNI...

stefano belingardi clusoni belen rodriguez

DAGOREPORT - LA ''FARFALLINA'' DI BELEN È TORNATA A BATTERE. DOPO UN’ESTATE TURBOLENTA DI SCAZZI E POLEMICHE, PER LA "SCIO-GIRL" ARGENTINA È ARRIVATO UN NUOVO E AITANTE  BELLIMBUSTO - LUI È STEFANO BELINGARDI CLUSONI, ARCHITETTO MILANESE CHE, CON IL SUO STUDIO "BE.ST", NEGLI ULTIMI ANNI HA RIDISEGNATO LO SKYLINE DELLA CITTÀ MENEGHINA - GALEOTTO UN LOCALE IN SARDEGNA, DOVE I DUE SONO STATI PIZZICATI A BACIARSI CON PASSIONE, INCURANTI DEGLI SGUARDI INDISCRETI - A CONFERMARE LA LIASON È LA STESSA BELEN CON UN CAROSELLO DI FOTO SU INSTAGRAM SULLE SUE "HERMOSAS VACACIONES” -DALLO SCAZZO CON IL BENZINAIO ALLE PATATINE LANCIATE IN UN LOCALE: L’ESTATE IRREQUIETA DELL'EX DI CORONA E DE MARTINO - VIDEO

stefano de martino striscia la notizia antonio ricci gerry scotti la ruota della fortuna pier silvio berlusconi

DAGOREPORT - PIER SILVIO, QUESTA VOLTA, HA VINTO. PIAZZARE LA “RUOTA DELLA FORTUNA” NEL VUOTO PNEUMATICO DELLA PROGRAMMAZIONE ESTIVA, È STATA UNA MOSSA SCALTRA ALL’INSEGNA DI UN SOLO IMPERATIVO: FIDELIZZARE IL PUBBLICO DEI TELE-MORENTI - L’OPERAZIONE È RIUSCITA, IL PAZIENTE È ANCORA IN VITA, MA È SOLO IL PRIMO ROUND DI UNA GUERRA ANCORA MOLTO LUNGA: GIÀ IN SOVRAPPOSIZIONE, IERI SERA, “AFFARI TUOI” ERA LEGGERMENTE IN VANTAGGIO SUL PROGRAMMA DI GERRY SCOTTI, E LA SCELTA DI FAR RIPARTIRE LA TRASMISSIONE DI DE MARTINO DI MARTEDÌ, ANZICHE' DI LUNEDI', HA LASCIATO INTERDETTI GLI ADDETTI AI PALINSESTI - COMUNQUE VADA IL DUELLO NEI PROSSIMI DUE MESI, “PIER DUDI”, ALLA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, ERA STATO CATEGORICO: "'STRISCIA LA NOTIZIA' INIZIERÀ A NOVEMBRE. ANCHE SE CIÒ CHE VA IN ONDA, E NON SARÀ COSÌ, DOVESSE FARE UN TRILIONE DI ASCOLTI" - GLI ESORDI CON MARIA DE FILIPPI, IL FLOP ALL'''ISOLA DEI FAMOSI'' CONDOTTA DALLA MARCUZZI, PRESTA CHE LO SBOLOGNA E LA RISCOSSA CON CASCHETTO (E TANTI ''PACCHI'' A MO' DI CULO): L'IRRESISTIBILE ASCESA DI STEFANO DE MARTINO, ALFIERE DI RAI-MELONI, CHE SOGNA IL FESTIVAL DI SANREMO - VIDEO

vladimir putin kim jong un xi jinping donald trump

DAGOREPORT – L’UNICO RISULTATO REALE OTTENUTO DA TRUMP NEI PRIMI 8 MESI DEL SUO SECONDO MANDATO È STATO RIABILITARE PUTIN: APPLAUDENDOLO IN ALASKA, HA RILEGITTIMATO LA MALCONCIA RUSSIA COME POTENZA MONDIALE, RAFFORZANDO LA FIGURA DEL “MACELLAIO DI MOSCA” (COPYRIGHT BIDEN) - DOPO TANTO PENARE E PROMESSE SCRITTE SULLA SABBIA, TRUMP SPERAVA DI OTTENERE ALMENO UNA TREGUA AEREA SULL’UCRAINA. E INVECE “MAD VLAD” HA FATTO SPALLUCCE E, TUTTO GAUDENTE, SI E' SCAPICOLLATO IN CINA ALLA CORTE DEL SUO VERO PADRONE, XI JINPING  – DISPIACE PER TRAVAGLIO MA LA RUSSIA NON HA ANCORA VINTO LA GUERRA: L’AVANZATA IN UCRAINA È SOLO PROPAGANDA. TRANNE DUE REGIONI E QUALCHE VILLAGGIO CONQUISTATO IN DONBASS, IN REALTÀ IL FRONTE È IMMOBILE DA MESI (A MOSCA NON BASTANO LE TRUPPE NORDCOREANE, ORA E' COSTRETTA A RECLUTARE IN PATRIA, DOPO I GALEOTTI, ANCHE LE DONNE IN CARCERE) – LA PRESSIONE SU PUTIN DEL MEDIATORE ERDOGAN E DI MODI PER UNA TREGUA IN UCRAINA - IL LEADER INDIANO, INCAZZATO CON “MAD VLAD” CHE LODA E IMBRODA XI E GLI FA FARE LA FIGURA DELL’AMICO SFIGATO, FA PRESENTE CHE L'ALLEANZA DELLO SCO E' SOLO ''TATTICA MA NON STRATEGICA'. MA UN DOMANI CHISSA'...