renzi martina boschi

IL PD SI UNISCE SOLO NEI FISCHI A ORFINI - MARTINA CONGELATO, ZINGARETTI PLACATO, LA MINORANZA ANNUSA L'ODORE DEL SANGUE: IL FRONTE RENZIANO INIZIA A SCRICCHIOLARE MA NON BASTA PER RIBALTARE IL PARTITO. SE NE RIPARLA A LUGLIO, CON LA PROSPETTIVA DI UN'OPPOSIZIONE AL BUIO O, SE TRA MATTARELLA E IL DUO DI MAIO/SALVINI ANDRÀ MALE, DI FARE DA STAMPELLA A UN GOVERNO DI MINORANZA. UN FUTURO GRAMO...

Luca Telese per ''la Verità''

 

Il leader battuto. Mentre lo dice - gridando dal palco - si batte la mano con il palmo aperto sul petto: «Se tocca a me, anche se sono poche settimane, tocca a me! Tocca a me! Tocca a me con tutti voi!». Solo all' ultimo minuto su 27 di discorso Maurizio Martina si lascia scappare di bocca un grido, una speranza rotonda, una reiterazione appassionata, un appello senza filtri al partito. Macché.

ASSEMBLEA NAZIONALE PD

 

Non toccherà a lui: il suo è un messaggio che non viene raccolto. Era un appello per essere confermato segretario, con pieni poteri, fino al congresso, in una ultima possibile conciliazione con il potere reale di governo dell' Assemblea nazionale democratica, ancora stretto nelle mani dell' ex segretario, suo grande avversario. Eppure l' appello non è stato raccolto, nel caminetto si è scelto di non farsi male.

 

Il Pd continua ad essere incartato dentro il suo paradosso, né con Renzi (che voleva aprire addirittura lui l' assemblea) né senza Renzi (con una nuova maggioranza raccolta intorno a Martina). Né piantato nel suo passato, né proiettato nel suo futuro, né a favore né contro: una nave dove si combatte sul ponte di comando tra fischi (a Matteo Orfini) applausi, cori - «Segretario! Segretario!», «Vergognatevi!!!» - senza epilogo e senza rimedio.

 

Un gorgo che turbina e non appare. Alla fine vince la cosiddetta «linea della tregua» voluta da Renzi. Passa con 397 sì, 221 no, e 6 astenuti su un totale di 829 delegati registrati. Nessuna fazione in campo ha 500 voti di maggioranza per eleggere un nuovo leader, ci sono sul campo due schieramenti che si battono con un reciproco fuoco di interdizione. Ecco perché l' assemblea che doveva ufficializzare le dimissioni di Renzi per eleggere - nelle speranze di Martina - un nuovo segretario con pieni poteri, ha deciso di rimandare tutto a un nuovo appuntamento, il 30 giugno o il 7 luglio.

ASSEMBLEA NAZIONALE PD

 

Martina resta, ma con poteri dimezzati. È il terzo rinvio della resa dei conti: ma consegna l' immagine di un partito spaccato, frantumato e che per ora nessuno può governare. Malgrado l' accordo tra le correnti, sono arrivati più di duecento no, il segnale di un grande mal di pancia collettivo.

 

Anche la relazione di Martina è a metà strada. Rompe con l' analisi di Renzi sulla vittoria dei «populisti» dovuta solo alle promesse non mantenibili della campagna elettorale. Anzi, senza fare nomi, Martina tratteggia un chiaro j' accuse del renzismo: «Non sono stati gli italiani a non capirci», dice Martina, «siamo stati noi a non capire loro. Abbiamo perso male. Abbiamo sbagliato noi. Non abbiamo capito gli italiani. Le loro inquietudini, le loro incertezze, le loro paure».

 

Aggiunge il segretario reggente: «Io penso che ci sia mancato il contatto con il bisogno. Abbiamo pensato che la crescita, che pure c' è, portasse più uguaglianza. E invece no!». Ma la discontinuità viene bilanciata dalla continuità.

 

La mattanza delle liste elettorali con l' epurazione delle minoranze viene affidata a una citazione pallida, in cui non ci sono indicazioni dirette di responsabilità. Il trucco che decide la giornata ha per protagonista Matteo Orfini, ed è un giochetto classico. A mezzogiorno il presidente del partito apre l' assemblea presentando la proposta che illustra come condivisa «all' unanimità» dall' ufficio di presidenza: cambiare l' ordine del giorno, rimandando l' elezione del leader.

martina renzi

 

È il segnale che, malgrado i proclami della vigilia, le correnti hanno sottoscritto la tregua. Ma i delegati che si rendono conto in quel momento di essere arrivati fino a Roma per nulla, si arrabbiano. Partono grida scomposte, brusio, «buuu!» per Orfini che fatica ad andare avanti. Il presidente si arrabbia. Dalla platea chiede la parola contro Marco Sarracino, uomo della minoranza che fa capo ad Andrea Orlando. Sgomento di Orfini: ma Orlando non era anche lui d' accordo sulla tregua? Per qualche secondo il brivido dell' imprevisto potrebbe accendere le scintille e far deflagrare tutto, poi Orlando fa un cenno a Sarracino e lui si tira indietro.

 

Arriva quel dato clamoroso, 221 ribelli al papocchio, che tagliano tutte le anime del partito. E così si arriva al secondo episodio, il voto sulla relazione. Chiesto da Orlando, quasi per prendersi una rivincita, e concesso dai renziani quasi come uno schiaffo. È un voto di minoranza. Ancora una volta la montagna partorisce il topolino. Finisce con 294 sì, 8 astenuti, nessun contrario. Di nuovo il Pd si mostra immaturo, Incapace di contarsi, diviso tra unanimismo di facciata e dispute avvelenate. Anche perché quando questo rito stanco si celebra, più di metà della platea è già partita.

ANDREA ORLANDO

 

Cosa ottiene il fronte antirenziano? Che l' ex premier non parli. Un altro piccolo passo verso la de-renzizzazione. Una vittoria di Pirro, però, vanificata dall' intervento sanguigno di Pina Cocci, la pasionaria di periferia in sedia a rotelle, che va al microfono e grida: «Ve sete stati tutti chiusi là dentro a discutere se doveva parlà o no, vergognatevi! Io ora me ne vado. Ma noi dovemo fare un congresso e se stamo messi così come stamo messi oggi», conclude, «nun me chiamate!».

 

È un partito appeso, questo, che si prepara all' opposizione sperando di ritrovarci dentro l' anima, con il timore di ritrovarsi ruota di scorta di un governo di minoranza se l' intesa gialloblù saltasse. Magra prospettiva.

 

Ultimi Dagoreport

giovambattista fazzolari roberto carlo mele

FLASH – I DAGO-LETTORI HANNO FATTO IL LORO DOVERE: HANNO SCOPERTO L'IDENTITÀ DELL’UOMO CHE DUE GIORNI FA ERA ATTOVAGLIATO CON GIOVAMBATTISTA FAZZOLARI DA “VITTI”, A PIAZZA SAN LORENZO IN LUCINA. SI TRATTEREBBE DI ROBERTO CARLO MELE, ESPONENTE DI SPICCO DI FRATELLI D’ITALIA (FIGURA NELL'ESECUTIVO DEL PARTITO COME SEGRETARIO AMMINISTRATIVO). COME “FAZZO”, DEVE AMARE MOLTO LA RISERVATEZZA, VISTO CHE ONLINE NON SI TROVANO SUE FOTO – ANCHE “L’UOMO PIÙ INTELLIGENTE” CHE CONOSCE GIORGIA MELONI (PENSA GLI ALTRI), SEMPRE RESTIO AI SALOTTI, HA FATTO IL SUO INGRESSO UFFICIALE NELLA ROMANELLA POLITICA DEL “FAMOSE DU’ SPAGHI”…

giorgia meloni donald trump al sisi

FLASH! - LA BOCCIATURA DEL PONTE SULLO STRETTO DA PARTE DELLA CORTE DEI CONTI HA FATTO SALTARE I NERVI NON SOLO A SALVINI MA SOPRATTUTTO ALLA MELONI – LA PREMIER, CHE SI ERA SPESA MOLTO IN EUROPA PER LA REALIZZAZIONE DEL PONTE, SI È TALMENTE INCAZZATA (“E’ L’ENNESIMO ATTO DI INVASIONE DE GIUDICI SULLE SCELTE DEL GOVERNO”) CHE HA CANCELLATO IL VIAGGIO AL CAIRO DI SABATO PER L’INAUGURAZIONE DEL MUSEO GEM - ALLA NOTIZIA CHE AL POSTO DELLA STATISTA, SBARCA IL FARAONE GIULI, ANCHE AL SISI NON L’HA PRESA PER NIENTE BENE…

giorgia meloni giampaolo rossi antonino monteleone laura tecce antonio preziosi monica giandotti pierluigi diaco

PRIMA O POI, AFFONDE-RAI! - MENTRE IN CDA SI TRASTULLANO SUGLI ASCOLTI DECLINANTI DI “TG2 POST”, SI CHIUDONO GLI OCCHI SULLO STATO ALLA DERIVA DI RAI2 E DI RAI3 - UN DISASTRO CHE NON VIENE DAL CIELO. LA TRASFORMAZIONE DELLA PRODUZIONE DEI PROGRAMMI DALLE TRE RETI A DIECI DIREZIONI IN BASE AL "GENERE" (INTRATTENIMENTO, INFORMAZIONE, FICTION, ECC.), AVVIATA DA FUORTES NEL 2021 MA IMPLEMENTATA DALL’AD GIAMPAOLO ROSSI (CON LA NOMINA DELLA DIREZIONE DEL "COORDINAMENTO GENERI" AFFIDATA A STEFANO COLETTA), HA PORTATO ALLA PERDITA DI IDENTITÀ DI RAI2 E DI RAI3 MA ANCHE AL TRACOLLO DEGLI ASCOLTI (E DELLE PUBBLICITÀ) - LO SCIAGURATO SPACCHETTAMENTO HA PORTATO A UNA CENTRALIZZAZIONE DECISIONALE NELLE MANI DI ROSSI E A UN DOVIZIOSO AUMENTO DI POLTRONE E DI VICE-POLTRONE, CHE HA FATTO LA GIOIA DEI NUOVI ARRIVATI AL POTERE DI PALAZZO CHIGI - PURTROPPO IL SERVILISMO DI UNA RAI SOTTO IL TALLONE DELL'ARMATA BRANCA-MELONI NON PAGA. LE TRASMISSIONI CHE DOPO UNA MANCIATA DI PUNTATE FINISCONO NEL CESTINO ORMAI NON SI CONTANO PIÙ. TANTO CHE I DUE CANALI SONO STATI RIBATTEZZATI ‘’RAI2%’’ E ‘’RAI3%’’...

fabio pinelli soldi csm

DAGOREPORT – ALTRO CHE SPENDING REVIEW AL CSM TARGATO FABIO PINELLI – IL VICEPRESIDENTE DI NOMINA LEGHISTA SEMBRA MOLTO MENO ATTENTO DEL PREDECESSORE NELLA GESTIONE DELLE SUE SPESE DI RAPPRESENTANZA – SE NEL 2022, QUANDO ERA IN CARICA DAVID ERMINI, ERANO STATE SBORSATI APPENA 4.182 EURO SU UN BUDGET TOTALE DI 30 MILA, CON L’ARRIVO DI PINELLI NEL 2023 LE SPESE DI RAPPRESENTANZA PER TRASFERTE E CONVIVI SONO LIEVITATE A 19.972 EURO. E NEL 2024 IL PLAFOND DISPONIBILE È STATO INNALZATO A 50 MILA EURO. E PER LEGGE IL VICEPRESIDENTE DEL CSM NON DEVE DETTAGLIARE LE PROPRIE NOTE SPESE DI RAPPRESENTANZA...

giovambattista giovanbattista fazzolari vitti

FLASH – ROMA VINCE SEMPRE: IL SOTTOSEGRETARIO FAZZOLARI, DA SEMPRE RISERVATISSIMO E RESTÌO A FREQUENTARE I SALOTTI, ORA VIENE PIZZICATO DA DAGOSPIA NEL “SALOTTO” DI PIAZZA SAN LORENZO IN LUCINA, SPAPARANZATO AI TAVOLI DI “VITTI”, DOVE POLITICI, GIORNALISTI E POTENTONI AMANO ATTOVAGLIARSI (DENIS VERDINI FACEVA LE RIUNIONI LI' E CLAUDIO LOTITO AMA GOZZOVIGLIARE DA QUELLE PARTI, SPILUCCANDO NEI PIATTI ALTRUI) – ANCHE “FAZZO” È ENTRATO NELLA ROMANELLA POLITICA DE “FAMOSE DU’ SPAGHI”: L’EX DIRIGENTE DI SECONDA FASCIA DELLA REGIONE LAZIO CHIACCHIERA CON UN CANUTO SIGNORE DI CUI VORREMMO TANTO CONOSCERE L’IDENTITÀ. I DAGO-LETTORI POSSONO SBIZZARIRSI: HANNO QUALCHE SUGGERIMENTO PER NOI?