HOLLYWOOD METTE IN MOTO LA MACCHINA DEL FANGO CONTRO ASSANGE – “GLI STATI UNITI RISCHIANO DI DIVENTARE UN PAESE-FORTEZZA”

Lorenzo Soria per "La Stampa"

Per il governo americano è un «enemy combat» un combattente nemico; per altri è un «eroe», un'abile spia che svelando i segreti dei governi - dalle bombe contro i civili iracheni, ai cablogrammi diplomatici statunitensi - ha reso il mondo un po' più libero e trasparente. Julian Assange, nato in Australia 42 anni fa, ma prima di tutto un cittadino di Internet con quei suoi capelli biondi e quel suo colore bianchiccio è uno dei volti più riconoscibili del pianeta e un personaggio che divide.

E anche tra i sostenitori delle sue battaglie c'è chi lo descrive come un narciso e un megalomane che vede nemici e complotti dappertutto: ingenuo, o provocatore? Comunque un uomo di intrigo, una combinazione tra il Bourne di Matt Damon, il Robert Redford de «I tre giorni del condor» e il Frank Sinatra de «Il candidato della Manciuria».

Un personaggio da film, insomma. E infatti venerdì 18 uscirà negli Usa «The Fifth Estate». «Propaganda del Pentagono», dice Assange parlando via Skype del film. È a Londra, dove risiede da quando una anno e mezzo fa ha ottenuto asilo politico all'ambasciata dell'Ecuador per evitare l'estradizione in Svezia dove lo vogliono per un'accusa di molestie sessuali.

Partiamo «The Fifth Estate»...
«Non sono mai venuti a chiedere la nostra opinione, hanno fatto un film che solo il governo americano potrà apprezzare. Lo vedranno solo gli impiegati del Dipartimento di Stato. Sarà un flop al botteghino e verranno umiliati dai critici».

Quando si guarda indietro pensa di avare fatto degli errori? Ha dei rimpianti?
«Magari sulle piccole cose, non sulle decisioni più grosse».

Neanche sui civili le cui vite sono state messe in pericolo da WikiLeaks in Afghanistan e in Iraq?
«Questa è propaganda del Pentagono, nessuno ha sofferto fisicamente a causa delle nostre pubblicazioni. Sono le stese bugie che hanno usato contro Edward Snowden e contro tutti quelli che espongono delle storie che mettono in imbarazzo gli interessi delle complesso della sicurezza. Sarebbe meglio parlare dei veri danni causati dalle guerre e dalla tortura, parlare del fatto che l'America è diventata non un paese dove vai a cercare asilo politico ma dal quale scappi».

Non pensa che un Paese moderno abbia il diritto di avere un apparato di sicurezza?
«Ma che sicurezza c'è adesso, quando al comando c'è un gruppo di potere che non ha a cuore i tuoi interessi e quando le leggi vengono rotte impunemente? Ogni Paese deve avere un servizio militare e deve sapere che ci sono dei possibili nemici. Devono esserci dei servizi di spionaggio ma negli Stati Uniti e nel Regno Unito sono fuori di ogni controllo. Negli Usa ci sono 5,5 milioni di persone dedite alla sicurezza, con le loro famiglie diventano 15. Uno Stato dentro lo Stato. C'è il rischio che diventi un Paese-fortezza e che i suoi cittadini, come Snowden, siano costretti ad andarsene».

Cosa pensa della condanna del soldato Bradley Manning, che ormai si fa chiamare Chelsea?
«È stata una vittoria tattica della difesa, anche se aver dato 35 anni per spionaggio è un abuso linguistico. Non ci sono prove che intendesse dare informazioni a un altro Stato, ha solo informato il popolo americano degli abusi commessi in Iraq, in Afghanistan e in altri Paesi».

Da un anno e mezzo vive nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra. Come è la sua vita quotidiana?
«Il Pentagono nel 2010 ci ha intimato che dovevamo distruggere tutto ciò che avevamo in via di pubblicazione e cessare le nostre operazioni giornalistiche. Noi abbiamo detto di no, abbiamo promesso che ci saremmo battuti contro la censura. Se entri in rotta di collusione con il complesso della sicurezza del governo Usa ne paghi le conseguenze e così sono 500 giorni che mi alzo la mattina e vedo gli stessi muri.

Ma quello che hanno fatto è controproducente perché non ho tempo per fare altro che lavorare. Sì, sarebbe bello uscire ma quello che stiamo facendo è più importante . E se io sono qui intrappolato lo sei anche tu là fuori. Non vorrei infatti dover scoprire che si sta meglio qua, dove almeno non ci sono raid della polizia e leggi che vengono rispettate».

Ha fatto amicizie?
«Lo staff dell'ambasciata è come la mia famiglia e abbiamo vissuto assieme mesi molto intensi. Mangiamo assieme, a volte celebriamo compleanni ma non voglio dire molto di più a causa della situazione della sicurezza».

Ma non le manca una vita personale?
«Faccio delle cose per le quali provo grande passione, abbiamo una dozzina di casi giudiziari in giro per il mondo, ci sono....»

Assange, cerchi di essere più umano...
«Ma è così, il mio cuore e la mia anima sono nel mio lavoro. Ho una famiglia che ha dovuto trasferirsi e cambiare nome e mio figlio è stato minacciato di morte da estremisti di destra americani. Prendiamo precauzioni e a volte ho paura, ma dobbiamo andare avanti».

Come vede il mondo tra dieci anni?
«Siamo a un momento di svolta molto importante. Quelli della sicurezza intercettano più di due miliardi di comunicazioni al giorno e vogliono arrivare a venti. Potremmo trovarci a vivere in Stati che non rispondono a nessuno e in condizioni di sorveglianza di massa. Oppure la rivoluzione nelle comunicazioni aiutata da organizzazioni come WikiLeaks e altre nuove forme di giornalismo potrebbe portarci a una situazione di totale trasparenza».

 

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