SIAMO ALLA RESA DEI CONTI? – BRUNETTA: RENZI HA FATTO MALE I CONTI, SUI MERCATI C’È ARIA DI TEMPESTA – IL SILENZIO DELLE AGENZIE DI RATING -L’ITALIA NEL CIRCOLO VIZIOSO DI INVESTIMENTI FERMI ED ECONOMIA CHE RISTAGNA

Renato Brunetta per “Il Giornale

 

Renato Brunetta Renato Brunetta

Chissà perché le agenzie di rating che nell'estate-autunno del 2011 erano tanto loquaci (a Trani è in corso una serissima indagine) oggi tacciono? Lo scorso venerdì né Moody's né Standard & Poor's hanno aggiornato il loro giudizio sull'Italia. Per Moody's l'ultimo rating emesso è del 14 febbraio, il giorno delle dimissioni del governo Letta, poi nessun aggiornamento, neanche il 10 ottobre. Che strano: Moody's non si pronuncia più sull'Italia da quando c'è il governo Renzi.
 

renzi affacciato da palazzo chigi con maglietta biancarenzi affacciato da palazzo chigi con maglietta bianca

O in questi mesi il giudizio è cambiato talmente poco da essere irrilevante (il che vuol dire anche che l'azione di governo ha prodotto effetti impercettibili), oppure il giudizio è talmente grave che renderlo pubblico destabilizzerebbe l'intera Eurozona. In entrambi i casi siamo davanti a una manipolazione del mercato come quella del 2011 che portò alla caduta di un governo legittimamente eletto dal popolo e a comportamenti speculativi i cui effetti devastanti hanno messo in ginocchio l'Europa. Ma di questo ci darà conto il tribunale di Trani. Certo, la coincidenza desta più di qualche dubbio.

Fino ad oggi i gestori (soprattutto grandi banche d'affari e hedge funds americani) hanno avuto un eccesso di liquidità da investire, per effetto delle politiche di allentamento monetario della Fed. L'acquisto di titoli di Stato italiani è stata una strategia ragionevole: sono titoli meno rischiosi con un rendimento conveniente. La situazione cambierà invece con la fine del quantitative easing della Fed. Con meno soldi in circolazione le scelte dei gestori saranno più selettive e i primi titoli di cui si disferanno saranno quelli italiani se per allora il nostro Paese non avrà fatto le riforme necessarie. Ai mercati basta poco per cambiare atteggiamento.

pier carlo padoanpier carlo padoan

 

Tutto potrebbe precipitare di nuovo, con un rapporto debito/Pil fuori controllo, oltre il 140%, nel 2015. A ciò si aggiunga che poco meno di tre anni fa le banche italiane hanno preso in prestito oltre 200 miliardi Bce tramite la Banca d'Italia fornendo in garanzia dei titoli del Tesoro. Tra poco queste operazioni saranno chiuse e i Btp o i Ctz potrebbero essere svincolati. Aumentando l'offerta di titoli sul mercato, diminuirà il prezzo e aumenteranno i rendimenti (le due grandezze sono inversamente proporzionali). Con le conseguenze che tutti conosciamo sugli spread. Se la tempesta perfetta arriva, spazza via tutto. E tutti.

È credibile la finanza pubblica?

Il documento più recente ufficiale del governo è la Nota di aggiornamento al Def, approvata dal Consiglio dei ministri il 30 settembre, che rappresenta una completa riscrittura del precedente documento di aprile, dimostrazione evidente del fallimento della linea di politica economica fin qui seguita da Matteo Renzi. Errate si sono dimostrate le scelte finora compiute, a partire dal bonus di 80 euro; errati i presupposti analitici su cui quella politica si è fondata.
 

matteo renzi e angela merkelmatteo renzi e angela merkel

A dimostrazione di questo assunto basta considerare lo scarto nella previsione di crescita del Pil (dal +0,8% di aprile al -0,3% di settembre): 1,1 punti di Pil di differenza. Scarto che supera di gran lunga tutta l'esperienza storica più recente. Senza considerare il grado di realismo (basso) implicito nell'ultima previsione di -0,3%. A giustificare un simile scarto previsionale non si è verificato alcun elemento traumatico. Al contrario si è seguito solo il trend a ribasso degli anni precedenti: -2,4% nel 2012, -1,9% nel 2013. Per ritrovare il segno più negli andamenti del Pil italiano bisogna risalire al 2010 (+1,3%) e al 2011 (+0,4%), quando il governo del Paese era affidato a un'altra maggioranza.
 

Secondo i dati dell'Eurostat il reddito nominale dei Paesi dell'Eurozona nel 2013 è stato del 4% superiore ai livelli pre-crisi. In Italia siamo invece ancora ben lontani dal raggiungere quell'obiettivo, e in termini reali la perdita di Pil resta ancora superiore ai 9 punti. Nelle previsioni per il 2015, inoltre, il nuovo Def ipotizza una crescita del Pil pari allo 0,6%. A questo obiettivo dovrebbe contribuire soprattutto la domanda interna, che subirebbe un balzo di un punto di Pil passando da -0,3%, nel 2014, a +0,7% nel 2015. Questo passaggio non è ulteriormente motivato, né si considera l'effetto di trascinamento della brusca caduta dell'anno precedente.
 

angela merkel magnaangela merkel magna

Nella logica del documento del governo, infine, le previsioni di crescita rappresentano il floor su cui calcolare l'impatto delle possibili riforme. Rispetto al tendenziale sarebbero destinate a determinare una crescita del potenziale produttivo pari in media allo 0,2% in tre anni. Spiccioli. L'effetto lordo delle riforme, infatti, è compensato dall'onere recato dalle misure di salvaguardia, poste a difesa del rispetto dei parametri del deficit. Misure che potrebbero scattare a partire dal 2016, per importi predeterminati fin da ora e pari a 12,6 miliardi nel 2016; 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018. Con conseguente aumento della pressione fiscale, che si stabilizza a un livello superiore al 44% del Pil. Ipotesi da scongiurare.

L'insieme di questi dati, al di là dell'eleganza formale dei ragionamenti del governo, dimostra quanto sia ancora impervio il sentiero per uscire dalle secche della crisi. Questi dati rappresentano perfettamente il «circolo vizioso» dell'economia italiana: gli investimenti privati non crescono a causa dei ridotti margini aziendali; quelli pubblici non decollano a causa delle cattive condizioni di finanza pubblica; di conseguenza l'economia ristagna, mentre lo spiazzamento competitivo derivante dal combinarsi di una bassa produttività aziendale con un'altrettanta limitata «produttività totale dei fattori» allontana il nostro Paese dal resto dell'Eurozona. Per non parlare della concorrenza che deriva dalle economie emergenti.
 

matteo renzi angela merkelmatteo renzi angela merkel

Il governo stesso si è reso conto di questi pericoli allorquando ricorda «la delicatezza della fase attuativa che ha spesso deluso in passato le aspettative degli italiani e degli investitori stranieri». Preoccupazione assolutamente condivisibile, subito disattesa, tuttavia, dai suoi comportamenti effettivi. Del resto, lo scarto tra preposizioni teoriche e comportamenti effettivi è la vera cifra che caratterizza l'intera azione del governo.


L'attuale quadro dei conti pubblici italiani appare, pertanto, venato da profonde incertezze programmatiche e dalla profonda discrasia tra il «dire» e il «fare». Esso è reticente nell'individuare i veri punti che sono all'origine dello choc endogeno che persiste nell'economia italiana, intimamente legato alla sua bassa produttività. È il riflesso di un quadro politico incerto, in cui persistono linee divergenti, segnato da fratture difficilmente conciliabili, che riducono la capacità operativa del governo e lo costringono a defatiganti azioni di mediazione, allungando i tempi della decisione politica. Il tutto in aperto contrasto con le esigenze di chiarezza richieste dai mercati e dalla Commissione europea, che non perde occasione per far conoscere le proprie riserve, lanciando ripetuti avvertimenti.

Renato Brunetta Renato Brunetta


Si rende oggi quanto mai necessario, dunque, un più intenso dialogo intereuropeo al fine di dare a quel semestre di presidenza italiano, fin troppo scialbo, l'occasione di un rilancio. Dobbiamo sgombrare il campo dall'ipotesi che l'accento riposto sulla necessità dello sviluppo sia un alibi per continuare nelle vecchie abitudini di sempre. Al contrario, occorre rafforzare la posizione negoziale dell'Italia per costringere anche gli altri, soprattutto la Germania, a fare la propria parte.


Allo stato attuale, però, l'Italia manca di credibilità sul piano internazionale e dei mercati. La finanza pubblica è fuori controllo e le previsioni del governo appaiono agli occhi degli osservatori spesso fin troppo ottimistiche. L'esecutivo, infine, si regge su una maggioranza di partito e non su una maggioranza parlamentare. Dopo i governi non eletti, Monti e Letta, con Matteo Renzi l'Italia si trova al suo punto minimo di credibilità economica e democratica. Tutti questi fattori, deflagranti in caso di tempesta sui mercati, rendono l'Italia il Paese più debole nel contesto europeo. Continuare a fare finta che non sia così è da irresponsabili.

 

 

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