PICCOLA GANDHI ITALIA: LA FAVOLA SPEZZATA DI SONIA

Claudio Gallo per "la Stampa"

Alla fine ha dovuto intervenire con i toni più duri, come sempre accade quando c'è di mezzo l'Italia. «Il disprezzo del governo italiano nella vicenda dei due marò e il tradimento degli impegni presi con la nostra Corte Suprema è del tutto inaccettabile», ha detto ieri Sonia Gandhi durante una riunione a New Delhi del partito del Congresso, la formazione che guida il governo indiano. «A nessun Paese può - ha aggiunto potrebbe o potrà essere consentito di sottovalutare l'India. Saranno utilizzati tutti i mezzi per assicurare che gli impegni presi dal governo italiano con la nostra Corte Suprema siano rispettati».

Non poteva fare diversamente l'erede della dinastia Nehru-Gandhi dopo che i nazionalisti hindu l'avevano attaccata per le sue origini italiane. Un'accusa endemica in una parte dello spettro politico indiano dagli Anni 80 quando, ancora vivo il marito Rajiv allora primo ministro, scoppiò lo scandalo Bofors. Per alcuni giornali dietro le tangenti pagate per l'acquisto dei cannoni da 155 mm svedesi c'era la mediazione di Ottavio Quattrocchi, businessman della Snamprogetti e amico intimo della famiglia Gandhi. Da allora si favoleggia di un'inesistente lobby italiana che condiziona le scelte dei Gandhi, tanto più che ora a guidare la dinastia c'è un'italiana.

Furibondo il primo ministro Manmohan Singh, che ieri ha accusato l'Italia di «aver violato qualsiasi procedura diplomatica». Sebbene sia stata Roma, non restituendo i due fucilieri, a riaccendere la contesa, sono parole curiose in bocca a chi trattiene illegalmente il nostro ambasciatore. Tanto che persino il pachiderma europeo ha fatto sentire, in ritardo, la sua voce. «Le limitazioni della libertà di movimento per l'ambasciatore italiano in India vanno contro gli obblighi internazionali stabiliti dalla convenzione di Vienna», ha dichiarato il portavoce dell'Alto rappresentante Ue per la politica estera Catherine Ashton.

In un comunicato di Bruxelles, si ricorda che «la convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche, la pietra angolare dell'ordine giuridico internazionale, deve essere rispettata in ogni circostanza. Qualunque limitazione della libertà di movimento dell'ambasciatore d'Italia sarebbe contraria agli obblighi internazionali».

In questa guerra di parole, la posizione di Sonia Gandhi è particolarmente delicata. Da quando decise di abbandonare il ruolo di vedova per quello di leader del più importante partito del Paese, quello che aveva ottenuto l'indipendenza dal Raj britannico, ha cercato di fare dimenticare in tutti i modi le sue radici. A cominciare dai vestiti, tutti rigorosamente tradizionali indiani, alla lingua, abbandonando l'inglese, quando possibile, in favore dell'hindi. Nonostante il rigore con cui ha perseguito il suo intento, gli avversari non hanno mai smesso di attaccarla.

Pensare che la sua vita drammatica, ha perso in attentati la suocera Indira e il marito Rajiv, era cominciata come una favola. Sessantasei anni, è nata a Lusiana, una trentina di chilometri da Vicenza, ma si è trasferita da piccola a Orbassano, alle porte di Torino, dove vive ancora la famiglia. Nel 1965 in un soggiorno a Cambridge per imparare l'inglese incontra un giovane indiano schivo dai modi principeschi: è Rajiv Gandhi, figlio di Indira e nipote di Jawaharlal Nehru, il fondatore dell'India moderna insieme al Mahatma Gandhi che però con la famiglia non ha alcuna parentela. Colpo di fulmine, fidanzamento e matrimonio nel 1968.

Non doveva essere una vita sotto i riflettori, Rajiv fa il pilota di aerei, a reggere il testimone politico della dinastia doveva essere il fratello. Ma Sanjai muore in un incidente aereo così tocca al primogenito. Nel 1984 le guardie del corpo sikh uccidono Indira, nel 1991 le Tigri Tamil uccidono Rajiv. Sonia è sola, vedova con due figli piccoli e italiana in un Paese che diffida di lei. Con una tempra straordinaria riuscirà a reggere, trovando il coraggio di scendere in politica. Un gesto che alcuni ancora oggi non le perdonano.

 

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