PUTIN DIFENDERÀ ASSAD DAI MISSILI DI OBAMA, MA IL PUZZONE SIRIANO SI DEVE GUARDARE DAI RIBELLI

1. LE VENDETTE INCROCIATE TRA REGIME E RIBELLI
Fabio Mini per "la Repubblica"

Alcuni collaboratori di Obama sono convinti che Assad e i suoi alleati non reagiranno all'attacco. Assad ha tollerato i raid israeliani e tollererà quelli americani. Probabile. Quando a Chang Kai Shek fu chiesto perché combatteva i comunisti cinesi invece dei giapponesi, rispose: «I giapponesi sono un male della pelle, i comunisti un male del cuore». Per Assad gli americani e gli israeliani sono mali della pelle e se riuscirà a scampare si concentrerà sui ribelli: il male al cuore. Se soccomberà, i ribelli si vendicheranno sui veri o presunti collaboratori del regime: milioni di siriani.

Le truppe di terra sono escluse, l'attacco durerà due o tre mesi e dovrà far vincere i ribelli. La campagna aerea del Kosovo durò 78 giorni invece di una settimana e Milosevic rimase al suo posto. Le truppe Nato entrarono in Kosovo dopo aver concordato con i militari serbi il loro ritiro. Entrarono anche dopo i ribelli che così scatenarono un contro-genocidio a malapena trattenuto dai nostri soldati. Dopo l'attacco, chi tratterà le condizioni militari? Chi impedirà le vendette del regime e dei ribelli? Nel migliore dei casi dobbiamo prepararci all'ennesima guerra dopo la guerra.


2. MA PUTIN GELA BARACK "IN CASO DI UN ATTACCO NOI AIUTEREMO DAMASCO"
Nicola Lombardozzi per "la Repubblica"

Al ventiquattresimo minuto della conferenza stampa conclusiva arriva la domanda, concordata per tempo, di una giovane giornalista russa. Vladimir Putin, irrigidisce la mascella e scandisce: «Certamente, aiuteremo la Siria in caso di attacco». Pausa, tensione in sala, poi il presidente russo riparte deciso: «L'aiuteremo come già stiamo facendo da tempo, inviando armi e offrendo cooperazione economica. E ci daremo da fare in favore della popolazione civile che rischia di finire in una situazione ancora peggiore di quella attuale».

Parole pesanti pronunciate proprio mentre, ad appena una decina di metri di distanza, nella sala stampa confinante con la sua, Obama annuncia l'imminente discorso agli americani e definisce Assad un pericolo per la pace nel mondo. Le minacce di una ripresa massiccia di aiuti russi alla Siria non lo fermeranno.

Così come non sembra rappresentare un ostacolo lo schieramento sempre più spettacolare della Flotta Russa davanti alla costa siriana: l'incrociatore lanciamissili "Moskva" che naviga a tutta velocità verso la base di Tartus e la nave da sbarco "Filcenkov", zeppa di paracadutisti e mezzi blindati, salpata nella notte dal Mar Nero.

Vladimir Putin lo ha capito pochi minuti prima, nell'incontro segretissimo a quattr'occhi con il suo omologo americano da qualche parte del palazzo Konstantinovskij, subito dopo il pranzo di chiusura di questo tormentatissimo vertice del G 20. «Sì, abbiamo parlato. Non frettolosamente in un corridoio, ma da seduti e con le idee chiare».

Dopo due giorni di piccoli dispetti, di sguardi duri e di rancori ostentati, a Putin è solo riuscita una piccola dilazione: preparare un incontro tra i due ministri degli Esteri, Kerry e Lavrov, per «concordare una strategia che metta fine al conflitto siriano». Ma si parla già del dopo attacco. Forse di un modo per arrivare alla destituzione di Assad nella maniera più indolore possibile per Mosca che diffida della attendibilità dei ribelli.

Intanto al presidente russo non resta che ripetere la sua contrarietà a quello che ormai appare anche a lui ineluttabile: «Chiunque partecipi a un attacco contro la Siria si metterà automaticamente fuori dal diritto internazionale». Ringrazia il Papa «per la sua lettera e per il suo tentativo di fermare le armi». Fa la conta dei capi di Stato che si sono schierati con la Russia e contro l'intervento americano. In undici su venti si diranno poi a favore della linea Obama.

A Putin invece risulta un pareggio, dieci contro dieci. Commette infatti l'errore di mettere l'Italia dalla parte del "No" all'attacco senza tenere conto della posizione molto più articolata che sarebbe poi stata espressa da Letta. E infierisce sul depresso premier britannico David Cameron, favorevole all'attacco ma bocciato dal suo Parlamento: «E' la prova vivente che i popoli amano la pace più dei governi».

E ' un vago appello al Congresso americano per fermare Obama in extremis, ma viene pronunciato senza molta convinzione che le cose possano cambiare. Così come poco prima, con l'aria stanca e perfino un po' delusa, aveva elencato i buoni propositi, le dichiarazioni di intenti e le vaghe promesse del "suo" G20 su quello che avrebbe dovuto essere l'argomento principale: la soluzione alla crisi economica internazionale. Tema trattato troppo distrattamente in un clima dominato dai rumori di guerra che giungono da Damasco.

 

ASMA E BASHAR AL ASSAD SUL PROFILO FACEBOOK basher al assadi SOLDATI DI ASSAD ENTRANO A QUSAYR IN SIRIA putin- obamaobama siria war obama CAMERON

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