SPIONAGGIO DI STATO – RENZI SI ACCORGE CHE ALFANO STAVA ESAGERANDO E BLOCCA LA NORMA CHE PERMETTE DI SPIARE LE CONVERSAZIONI PRIVATE SUI SOCIAL E SU WHATSAPP – NORMA STRALCIATA E TOLTA DAL DL ANTITERRORISMO, SE NE RIPARLA CON LE INTERCETTAZIONI

1.RENZI STRALCIA LA NORMA CHE CONSENTE DI FRUGARE NEI COMPUTER DEI CITTADINI

da “lastampa.it

 

RENZI ALFANORENZI ALFANO

Matteo Renzi ha chiesto ed ottenuto lo stralcio dal dl antiterrorismo del passaggio che consente di “frugare” nel computer dei cittadini. Il tema verrà affrontato in maniera più complessiva nel provvedimento sulle intercettazioni. 

 

La norma era inserita nel dl terrorismo all’esame dell’aula della Camera. In mattinata era stata chiesta la sospensione con rinvio alla commissione, su richiesta dello stesso governo, per valutare l’emendamento presentato da Arcangelo Sannicandro, deputato di Sel, che prevedeva la soppressione integrale del comma che prevede il controllo del remoto, cioè della memoria delle comunicazioni fatte su web da cittadini sospettati di reati. 

 

Fonti di governo riferiscono che è stato lo stesso Matteo Renzi a chiederne lo stralcio: si tratta - spiegano da palazzo Chigi - di un tema delicato e importante che riguarda diritti, privacy e sicurezza e che verrà affrontato in maniera più complessiva all’interno del provvedimento sulle intercettazioni già in esame in commissione. 

 

2. SE LO STATO CONTROLLA LA NOSTRA VITA

Alberto Mingardi per “la Stampa

 

angelino alfanoangelino alfano

La sensibilità delle persone, in materia di privacy, è cosa ben strana. Ci preoccupano tantissimo social network e giganti del web. Se stiamo sviluppando una qualche perplessità, non è perché Twitter o Facebook sappiano molte cose di noi più di quante non fossero note, ad altri, anche prima. Sui social network noi distribuiamo opinioni e fotografie con la stessa liberalità che usavamo al bar o alle feste di famiglia. 

 

Amazon conosce le nostre abitudini, ma né più né meno del nostro libraio di fiducia.
Ciò che comincia ad inquietarci è il fatto che queste aziende sono enormi, e riuniscono enormi quantità di dati, che riguardano una popolazione assai vasta. Che facciano alcunché di male, è tutto da dimostrare. Ma nutrire una sorta di pregiudizio negativo verso le organizzazioni di così grande dimensione non sembra irragionevole. Ci spaventa la scala: ci spaventa sentirci soli, piccoli, impotenti, davanti a un colosso. Ci spaventa ciò che di noi stiamo sicuramente rivelando senza accorgercene, e ci irrita che qualcuno possa trarne beneficio senza che ce ne accorgiamo.


Per questo è tanto più sorprendente che non ci sia nessuno che alza un sopracciglio, se invece è lo Stato a sapere tutto di noi: nello specifico, tutto sulle nostre finanze, e senza che ci abbia mai chiesto di acconsentire al trattamento dei dati.

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Tuttavia, il segreto bancario è morto e sepolto, dentro e fuori i confini delle nazioni, e nessuno ha recitato una prece. Già oggi lo Stato può facilmente farci i conti in tasca: consumi, investimenti, debiti. Nel giro di un paio d’anni questo varrà anche al di fuori del territorio su cui è sovrano. C’è poco da prendersela con l’Agenzia delle Entrate, il trend è internazionale. Grazie ad un accordo promosso dall’Ocse, dal 2017 le autorità fiscali di quaranta Stati potranno inviarsi dati relativi ai contribuenti residenti, con una procedura amministrativa che prescinde dall’esistenza di un’indagine della magistratura. Fra i Paesi coinvolti, anche Argentina, Ungheria, e Russia. Poco importa se basta un minimo di memoria storica a suggerire a un argentino di tenere lontano dal suo governo i suoi risparmi, o se dissidenti ungheresi e russi hanno l’esigenza di proteggersi (e di proteggere i propri fondi) da leader non precisamente liberali. Lo scambio d’informazioni sarà, per l’appunto, automatico.

PRIVACY PRIVACY


Vale, certo, la giustificazione universale per qualsiasi misura poliziesca: gli onesti non hanno nulla da temere. A dire il vero, anche i più integerrimi qualcosa da temere ce l’avrebbero: la straordinaria concentrazione di potere che si produce, in capo ad organizzazioni che possono essere informate, in tempo reale, di ogni e qualsiasi transazione economica. Questa «concentrazione» di informazione e potere è la stessa cosa che in molti trovano spaventosa quando si parla di Google o di Amazon, che – orrore – sa giorno per giorno come si consuma la mia passione per la fantasy di George R.R. Martin. 


Ci pare invece più accettabile e più «normale» che gli Stati sappiano al centesimo di euro quanto ritiriamo al bancomat, quanto spendiamo per vestirci, la rata del mutuo, eccetera.
Perché questo accade, è presto detto. Abbiamo la percezione che siano problemi dei ricchi, che a noialtri dovrebbero interessare poco o punto. Perché abbia senso essere sleali col fisco, bisogna che ci sia un patrimonio da occultare. C’è da dire che «ricchi» sono sempre gli altri. Nella Russia di Stalin, per essere kulako, contadino proprietario e dunque nemico di classe, era sufficiente possedere due mucche. 


Oggi, è un’idea molto diffusa che la burocrazia fiscale si stia attrezzando per prendere all’amo i pesci grossi, trascurando di passare ai raggi X quelli piccoli. Parrebbe un ragionamento di buon senso: val la pena concentrare risorse, per andare a prendersi il bottino più sostanzioso. E tuttavia, non è sempre così: si pensi a quanto avvenuto a quell’operaio pisano che si è trovato alla porta l’Agenzia delle Entrate, perché era andato due volte in crociera nel corso dello stesso anno. Troppe vacanze, per il reddito di quella famiglia: o così almeno, è apparso a dei funzionari, senz’altro ben intenzionati. 

BIG DATA BIG DATA


E’ facile sorridere di un eccesso di zelo, ma ciò che conta sono i meccanismi che lo hanno reso possibile. La tracciabilità «assoluta» rappresenta un cambiamento epocale. Chiamiamola pure «trasparenza», ma implica un potere di sorvegliare le nostre vite che i più tremendi regimi del Novecento neanche si sognavano.
Twitter @amingardi

 

 

3. MENO PRIVACY SUI PC: LA POLIZIA POTRA’ SPIARCI ANCHE A DISTANZA

Fabio Tonacci per “la Repubblica

 

Nella corsa a modificare “al rialzo” il decreto antiterrorismo emanato il 19 febbraio scorso, che va in scena in questi giorni nelle commissioni Difesa e Giustizia della Camera dove il testo è approdato per la conversione in legge, è stata introdotta per la prima volta la possibilità per la polizia di fare intercettazioni telematiche da “remoto”. L’emendamento è stato voluto dal governo con la giustificazione del «necessario adeguamento tecnologico». Il cambiamento che introduce, però, non è di poco conto e il Garante della privacy ha già espresso «serie preoccupazioni» sui suoi effetti.

 

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Viene consentita, per i reati indicati all’articolo 266 del codice di procedura penale (delitti per i quali è previsto l’ergastolo o la reclusione superiore a cinque anni, quali quelli contro la pubblica amministrazione, droga, traffico di armi e sostanze esplosive, contrabbando, usura, ingiuria, minacce), «l’intercettazione telematica anche attraverso l’impiego di programmi informatici da remoto e dei dati presenti in un sistema informatico».

 

 Significa che la polizia potrà utilizzare software spia, trojian horse, keylogger, per acquisire informazioni da social network e piattaforme quali “whatsapp” usati dai cittadini su cui gravano forti indizi di colpevolezza. «Non sono intercettazioni preventive — spiegano dalla Commissione — perché comunque c’è sempre bisogno dell’autorizzazione di un giudice, su richiesta del magistrato». Secondo gli esperti di Internet, però, il controllo “da remoto” diventa molto più pervasivo e mette a rischio la privacy di tutti.

 

Il deputato di Scelta Civica Stefano Quintarelli, intervistato da repubblica. it, sostiene: «Così si introduce per la prima volta la possibilità di spiare dentro il computer di ogni singolo cittadino sospettato di qualsiasi reato e non solo di quelli di matrice terroristica». Tant’è che Quintarelli ha presentato un emendamento per ridurre l’utilizzo dei software spia solo per questioni di terrorismo, ma al momento è stato accantonato.

 

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Non è la sola modifica apportata, finora, al testo licenziato dal governo a febbraio. Gli operatori telefonici e i provider sono obbligati a conservare i dati delle comunicazioni (telematiche e telefoniche, comprese le chiamate non risposte), fino al 31 dicembre 2016. Una norma a tempo, che è andata a sostituire la previsione di allungare a 24 mesi il periodo, rispetto ai 12 mesi di cui si parla del decreto originario anti-terrorismo.

 

Su questo punto si è già espresso il Garante per la privacy Antonello Soro, sentito in audizione, secondo il quale «si sta alterando il necessario equilibrio tra privacy e sicurezza». Secondo l’Authority si va nel senso opposto a quello indicato dalla Corte di Giustizia europea, che ha annullato con una sentenza la discussa direttiva sulla “data retantion”, in quanto indiscriminata, potenzialmente applicabile a chiunque, a prescindere dai reati e dal tipo di comunicazioni tracciate.

 

Altre novità, l’aumento della pena dai 5 agli 8 anni di reclusione per i “foreign fighters” e obbligo di arresto in flagranza per gli scafisti. Ancora in discussione, invece, la cosiddetta norma “anti-Greta e Vanessa” che specifica l’esclusiva responsabilità individuale» sulle conseguenze di chi fa viaggi all’estero in zone pericolose.

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