PER NON FINIRE DIVORATO DAI TECNICI DI PALAZZO E DALL’OSTRUZIONISMO DEI BUROCRATI, RENZI VUOLE UNA SQUADRA DI ECONOMISTI DI FIDUCIA A PALAZZO CHIGI PER “CONTROLLARE” IL TESORO

Roberto Mania per "la Repubblica"

Dai bocconiani ai luissini, economisti lib-lab, più quarantenni che cinquantenni, professori alla confindustriale Luiss di Roma. Matteo Renzi si sta preparando a trasformare Palazzo Chigi in un vero gabinetto del primo ministro sul modello anglosassone. E per questo servono gli esperti della "triste scienza".

Probabilmente risorgerà il Dipartimento degli Affari economici, che utilizzarono sia Prodi sia D'Alema, smantellato di fatto nella stagione berlusconiana perché Giulio Tremonti, super ministro dell'Economia, non voleva contropoteri, finendo però - tipico caso di eterogenesi dei fini - per lasciarne fin troppi alla tecnostruttura di Via XX settembre. Ha governato l'Economia in quegli anni, fino all'implosione dell'ultimo esecutivo del Cavaliere.

Ora Renzi vuole ridare centralità a Palazzo Chigi: da qui partiranno tutti gli input, anche quelli indirizzati a Pier Carlo Padoan, tecnico che ha accettato lo schema di gioco del premier avendo, peraltro, già giocato in uno simile ai tempi della premiership di Massimo D'Alema quando l'attuale ministro faceva parte della squadra di consiglieri economici
di Palazzo Chigi con Nicola Rossi, Marcello Messori (che lasciò molto presto in dissenso con il caso- Telecom), Claudio De Vincenti (attuale vice ministro dello Sviluppo), sulla scia del modello vincente interpretato all'epoca dalla Terza Via di Tony Blair.

È il primato della politica che Renzi, insieme al sottosegretario Graziano Delrio, vuole imporre evitando qualsiasi rischio di diarchia con il ministro dell'Economia. Palazzo Chigi non più sede di compensazione delle divisioni nel governo ma palazzo delle decisioni.

Nei prossimi giorni, sarà il presidente del Consiglio a scegliere chi, e come, farà parte dello staff di economisti. E che affiancheranno i dirigenti interni, indispensabili per dialogare con le altre amministrazioni a cominciare da quella dell'Economia. Ci sarà un coordinatore della squadra. Ed è probabile che per l'uno e l'altra, Renzi peschi tra gli economisti che dietro le quinte stanno già collaborando con il governo.

A parte Filippo Taddei, responsabile economico del Pd che ha avuto un ruolo di primo piano nella definizione del Jobs Act, le figure-chiave sono quelle di Roberto Perotti, bocconiano con dottorato al Mit, economista liberal che ama le provocazioni (l'ultima quella di rinunciare ai fondi europei per chiedere all'Europa uno sconto sui contributi all'Unione e così finanziare il taglio del cuneo fiscale) che ha preparato una sorta di spending review parallela a quella di Carlo Cottarelli; e quella di Pietro Reichlin, figlio di Alfredo e Luciana Castellina, fratello di Lucrezia che sembrava potesse diventare proprio il ministro dell'Economia di Renzi. Reichlin guida la pattuglia dei docenti che, spesso formatisi alla Bocconi e nelle università americane, ora insegnano alla Luiss.

Lui è professore di economia politica. Poi ci sono Salvatore Nisticò, docente di Macroeconomia, Giuseppe Ragusa, assistent professor del Dipartimento scienze economiche e aziendali, infine Nicola Borri, ricercatore dal 2009.

Tutti e quattro hanno scritto insieme recentemente un articolo sul sito lavoce. Info dal titolo "Cambiare l'Irpef pensando al lavoro". Sono economisti vicini alla sinistra, ma non appartengono alla tradizione della sinistra. Significativo da questo punto di vista il libro, e la discussione che poi ha suscitato proprio nella sinistra, che Reichlin ha scritto con Aldo Rustichini, "Pensare la sinistra " (Laterza).

Questa l'ultima frase del volume: «La sinistra non dovrebbe rincorrere derive comuntariste in concorrenza con i movimenti conservatori, ma incoraggiare lo scambio, l'inclusione e la libera espressione degli individui». Affinità renziane. Che si riscontrano in altri studiosi che potrebbero entrare a far parte della squadra: da Cosimo Pacciani, banchiere con sede a Londra, a Stefano Sacchi e Marco Leonardi, dell'Università di Milano, che hanno contribuito alla stesura dal Jobs Act, all'italo-israeliano Yoram Gutgeld, ex McKinsey, matematico affascinato dall'economia, ora parlamentare del Pd.

 

MATTEO RENZI IN CONFERENZA STAMPA A PALAZZO CHIGI FOTO LAPRESSE RENZI E DELRIORENZI E PADOAN FILIPPO TADDEIYoram Gutgeld

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