donald trump putin russiagate

TUTTE LE STRADE DEL RUSSIAGATE PASSANO PER ROMA – IL 3 OTTOBRE 2016, NELLA CAPITALE, QUATTRO MEMBRI DELL'FBI INCONTRARONO L'AGENTE SEGRETO BRITANNICO CHRIS STEELE, AUTORE DEL PRIMO DOSSIER SULLE RELAZIONI PERICOLOSE TRA TRUMP E MOSCA. E GLI OFFRIRONO UN MILIONE DI DOLLARI, IN CAMBIO DELLE PROVE PER INCASTRARE "THE DONALD". LA RIVELAZIONE CONTENUTA IN UN RAPPORTO DEL PROCURATORE JOHN DURHAM, DAL QUALE EMERGE CHE STEELE ERA “GESTITO” DA UN AGENTE DELL’UFFICIO DI ROMA DELL’FBI – SI RIAPRONO GLI INTERROGATIVI SUL RUOLO DELL'ALLORA PREMIER CONTE…

Estratto dell'articolo di Paolo Mastrolilli per “la Repubblica”

 

donald trump 1

La giornata chiave è il 3 ottobre del 2016, in piena campagna presidenziale tra Donald Trump e Hillary Clinton, quando a Roma si incontrano cinque personaggi da fare invidia alla sceneggiatura più spericolata della serie televisiva "The Diplomat". Di due conosciamo l’identità, sono l’analista supervisore dell’Fbi Brian Auten e l’ex capo del Desk Russia all’MI6 Chris Steele.

 

cristopher steele 1

Gli altri vengono identificati solo come Special Agent-2, Acting Section Chief-1 e Handling Agent-1, ma sono pezzi grossi del Federal Bureau of Investigation. Sono nella capitale italiana per incontrare l’agente segreto britannico, autore del famoso dossier sulle relazioni pericolose fra Trump e Mosca, all’origine del "Russiagate". Vogliono offrirgli un milione di dollari, se riuscirà a provare le sue accuse contro il candidato repubblicano alla Casa Bianca.

 

Questa rivelazione scottante, contenuta nel rapporto di 316 pagine appena pubblicato dal procuratore John Durham, rimette l’Italia al crocevia dello scandalo che ha paralizzato per anni gli Stati Uniti.

 

cristopher steele 2

Infatti nelle carte si scopre che Steele era gestito da un agente dell’ufficio di Roma dell’Fbi, allora guidato da Michael Gaeta. Così si spiega l’interesse di Trump ad investigare sul ruolo del nostro paese nel "Russiagate", e si riaprono gli interrogativi sulle decisioni prese dall’allora premier Conte. 

 

Lo scandalo nasce a Roma, quando il professore della Link Campus University Joseph Mifsud incontra George Papadopoulos, consigliere del candidato repubblicano, e gli dice che i russi hanno le email di Hillary. Il 6 e 10 maggio 2016 Papadopoulos rivela la dritta a due diplomatici australiani, che la girano al governo Usa. Così ad agosto l’Fbi apre l’inchiesta "Crossfire Hurricane".

 

Trump e Putin

[…]

 

Quando Trump diventa presidente, chiede al segretario alla Giustizia Barr di indagare sulle origini del "Russiagate", sospettando che fosse una trappola ordita da agenti infedeli dell’intelligence. Barr incarica Durham dell’inchiesta e i due chiedono all’ambasciata italiana a Washington di venire a Roma per incontrare i vertici dei nostri servizi.

 

Ora sappiamo che cercavano informazioni sugli agenti dell’Fbi che avevano gestito Steele dalla nostra capitale. Secondo il protocollo una simile domanda sarebbe dovuta passare dal ministero della Giustizia, ma Conte ordina al capo del Dis Gennaro Vecchione di ricevere Barr e Durham. Il primo incontro avviene il 15 agosto del 2019 nella sede dei servizi, con un’appendice al ristorante Casa Coppelle per la cena. Il 27 agosto, dal G7 di Biarritz, Trump pubblica il tweet con cui si augura che "Giuseppi" venga confermato premier.

 

conte trump

Il 27 settembre Barr e Durham tornano a Roma per vedere i capi dei servizi e ricevere le informazioni. Gli italiani rispondono di non sapere nulla del "Russiagate", ma secondo una notizia del New York Times confermata dal segretario alla Giustizia, rivelano di aver sentito voci su potenziali reati commessi da Trump.

 

L’interpretazione più benevola del comportamento di Conte è che l’Italia aveva interesse a conservare un buon rapporto col presidente americano e perciò lo aveva accontentato. Così però aveva messo a rischio la sicurezza nazionale, costringendo i nostri servizi a passare a Barr potenziali informazioni compromettenti sui colleghi dell’Fbi, con cui poi dovevano lavorare ogni giorno per sventare attentati, catturare terroristi o arrestare mafiosi.

 

donald trump

Visto lo scopo dell’inchiesta, non regge più la giustificazione di Conte secondo cui poteva aggirare il protocollo, perché si trattava di una questione di sicurezza.

 

[…]

 

Infine resta da capire quali notizie di reato su Trump avevano passato i servizi italiani a Barr, e se il premier le conosceva. Considerando che Donald è da capo il favorito alla nomination repubblicana per la Casa Bianca, sono tutti interrogativi da chiarire, probabilmente anche con un nuovo intervento del Copasir.

conte trumpconte trump

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni matteo salvini adolfo urso abodi giorgetti tajani giorgio armani

UN PO’ PIU’ DI RISPETTO SE LO MERITAVA GIORGIO ARMANI DA PARTE DEL GOVERNO – SOLO IL MINISTRO DELL’UNIVERSITA’, ANNA MARIA BERNINI, HA RESO OMAGGIO ALL’ITALIANO PIU’ CONOSCIUTO AL MONDO RECANDOSI ALLA CAMERA ARDENTE DOVE, TRA SABATO E DOMENICA, SONO SFILATE BEN 16 MILA PERSONE - EPPURE MILANO E’ A DUE PASSI DA MONZA, DOVE IERI ERA PRESENTE AL GP, OLTRE AL VICEPREMIER MATTEO SALVINI, IL MINISTRO DELLO SPORT ANDREA ABODI, SMEMORATO DEL PROFONDO LEGAME DELLO STILISTA CON BASKET, CALCIO, TENNIS E SCI - A 54 KM DA MILANO, CERNOBBIO HA OSPITATO NEL WEEKEND TAJANI, PICHETTO FRATIN, PIANTEDOSI, CALDERONE E SOPRATTUTTO ADOLFO URSO, MINISTRO DEL MADE IN ITALY, DI CUI ARMANI E’ L’ICONA PIU’ SPLENDENTE – E IGNAZIO LA RUSSA, SECONDA CARICA DELLO STATO, DOMENICA ERA A LA SPEZIA A PARLARE DI ''PATRIOTI'' AL DI LA’ DI RITUALI POST E DI ARTICOLETTI (MELONI SUL “CORRIERE”), UN OMAGGIO DI PERSONA LO MERITAVA TUTTO DAL GOVERNO DI CENTRODESTRA PERCHE’ ARMANI E’ STATO UN VERO “PATRIOTA”, AVENDO SEMPRE PRESERVATO L’ITALIANITA’ DEL SUO IMPERO RIFIUTANDO LE AVANCES DI CAPITALI STRANIERI…

giorgia meloni mantovano alfredo giovanbattista fazzolari gian marco chiocci rossi

DAGOREPORT - CHI AVEVA UN OBIETTIVO INTERESSE DI BRUCIARE IL DESIDERIO DI GIORGIA MELONI, PIÙ VOLTE CONFIDATO AI SUOI PIÙ STRETTI COLLABORATORI, DI ARRUOLARE L’INGOMBRANTE GIAN MARCO CHIOCCI COME PORTAVOCE? - IN BARBA ALLA DIFFIDENZA DEI VARI SCURTI, FAZZOLARI E MANTOVANO, FU L’UNDERDOG DE’ NOANTRI A IMPORRE FORTISSIMAMENTE (“DI LUI MI FIDO”) COME DIRETTORE DEL TG1 L’INTRAPRENDENTE CHIOCCI, DOTATO DI UNA RETE RELAZIONALE RADICATA IN TUTTE LE DIREZIONI, DAL MONDO DELLA SINISTRA ALL’INTELLIGENCE DI DESTRA - BEN CONOSCENDO IL CARATTERINO DELL’EX DIRETTORE DE “IL TEMPO” E ADNKRONOS, BEN LONTANO DALLA DISPONIBILITÀ AD ACCETTARE ORDINI E DINIEGHI, OCCORREVA CORRERE AI RIPARI PRIMA CHE LA SGARBATELLA PROCEDESSE ALL’INFELICE NOMINA, FACENDO CIRCOLARE LA VOCE DEL SUO TRASLOCO DALLA DIREZIONE DEL TG1 A BRACCIO MEDIATICO DELLA PREMIER - NEL CASO, SEMPRE PIÙ LONTANO, DI VEDERE CHIOCCI A PALAZZO CHIGI, ALLORA VORRÀ DIRE CHE L’EQUILIBRIO DI POTERI ALL’INTERNO DELLA FIAMMA MAGICA È FINITO DAVVERO IN FRANTUMI...