
CHI SALVÒ L’ITALIA 15 ANNI FA DAL TRACOLLO? IL GOVERNO DI MARIO MONTI. MA DA NOI IL PEGGIO CHE PUÒ CAPITARE È IL SUCCESSO, E NESSUNO GLI RENDE IL MERITO. ALLORA SE LO SCRIVE DA SOLO, SENZA CITARSI, SULLA PRIMA DEL “CORRIERE” DI IERI – ‘’LA PROVVIDENZA HA MANDATO ALL’ITALIA IL DRAMMATICO CASO DELLA FRANCIA DI OGGI AFFINCHÉ NE FACCIA TESORO… LA RIFORMA DELLE PENSIONI HA PERMESSO AL NOSTRO PAESE DI NON ANDARE A FONDO E DI AVERE ANCOR OGGI UNA CERTA PROSPETTIVA DI STABILITÀ. MALGRADO L’ISTIGAZIONE ALL’ODIO (O ADDIRITTURA A DELINQUERE) CHE MATTEO SALVINI - MA LA STESSA GIORGIA MELONI, CHE RISPETTO PER LA SUA CONVERSIONE RECENTE, SEGUIVA A RUOTA - HA PROFUSO NEI CONFRONTI DI ELSA FORNERO; MALGRADO IL SUO SOLENNE IMPEGNO AD ELIMINARE QUELLA RIFORMA NON APPENA FOSSE ANDATO AL GOVERNO, COSA AVVENUTA PIÙ VOLTE E IN POSIZIONE APICALE, IL SISTEMA FRUTTO DELLA RIFORMA È ANCORA LÌ, CON MARGINALI RITOCCHI - LA PREMIER MELONI FAREBBE BENE A RIPENSARE ALLA SUA RIFORMA: PREMIERATO...''
Mario Monti per il Corriere della Sera – Estratti
L’attuale stabilità politica e finanziaria dell’Italia, registrata anche dalle agenzie di rating, contrasta con la crisi politica che da tempo attanaglia la Francia e le impedisce di affrontare con la dovuta energia una situazione pesante dei conti pubblici, che potrebbe sfociare in un’emergenza finanziaria.
A molti italiani e francesi sembra di vivere, a parti rovesciate, i tempi del 2011-2012 quando in tutta Europa si temeva che lo spread impazzito potesse portare lo Stato italiano al default, l’Italia fuori dall’euro e forse l’euro ad una fine ingloriosa.
Non si può dire che tale stabilità, importante e a lungo auspicata, si regga su una condizione altrettanto buona dell’economia reale, oggi e in prospettiva. La crescita economica e la distribuzione del reddito soffrono a causa di una politica che non apre alla concorrenza, cristallizza l’esistente a danno del nuovo e dei giovani, non attacca le rendite di posizione di categorie portatrici di voti. Forse anche questo fattore, non positivo, contribuisce a spiegare la stabilità politica, in sé auspicabile.
Nella maggioranza e nel governo la ritrovata stabilità finanziaria e quella politica vengono salutate con legittima soddisfazione.… A Giorgia Meloni va anche il merito di avere evidentemente trovato una solida intesa con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti su principi di prudenza nella gestione del bilancio dello Stato….
Nel 2012, da presidente della Commissione bilancio della Camera quando il suo partito era l’unico all’opposizione del governo di unità nazionale, contribuì all’approvazione della modifica della Costituzione per l’equilibrio di bilancio promossa dal governo.
In quel momento difficile e anche in seguito non ha mai attaccato le decisioni di quel periodo, impopolari ma che dovettero essere prese per mettere in sicurezza lo Stato italiano. Sa che le radici della stabilità finanziaria di oggi furono poste allora.
Invece, molti suoi colleghi della maggioranza e del governo di oggi spararono a zero, allora e negli anni successivi, contro coloro ai quali venne affidato il compito di rimettere in carreggiata l’Italia. Il capo del partito di Giorgetti, Matteo Salvini, merita senz’altro il primato della denigrazione e dell’insulto. Ma la stessa Giorgia Meloni, che rispetto per la sua conversione recente, seguiva a ruota.
E molti esponenti di Forza Italia, non però Antonio Tajani, hanno per anni gridato al golpe, dimenticando che nel novembre 2011 fu l’abbandono della Lega a costringere Berlusconi alle dimissioni da premier e che lo stesso rivendicò poi di avere suggerito lui stesso al presidente Napolitano chi nominare premier dopo di lui (Monti, ndr).
Insomma, Giorgia Meloni nel suo nuovo corso e Giancarlo Giorgetti da sempre possono andare fieri, ma solo loro, della ritrovata stabilità. La loro condotta responsabile nella politica di bilancio è da apprezzare ed è auspicabile che venga mantenuta.
Al tempo stesso, proprio guardando alla Francia, dovrebbero stare molto attenti a due iniziative che potrebbero fare ripiombare l’Italia nella situazione drammatica che oggi vediamo oltralpe. Una serpeggia nel Paese e nelle aule parlamentari e riguarda le pensioni. L’altra è addirittura una delle riforme costituzionali alle quali la premier vorrebbe legare il suo nome, il premierato.
Verrebbe da dire: la Provvidenza ha mandato all’Italia il drammatico caso della Francia di oggi affinché lo guardi, lo studi, ne faccia tesoro e non faccia la pazzia di rinunciare ai due punti di forza che le hanno permesso di uscire dalla crisi di 15 anni fa; e la cui mancanza rende così difficile alla Francia superare le sue gravi difficoltà.
Pensioni. La riforma delle pensioni introdotta in Italia nel dicembre 2011, insieme ad altre misure incisive, ha permesso al nostro Paese di non andare a fondo e di avere ancor oggi una certa prospettiva di stabilità.
Malgrado l’istigazione all’odio (o addirittura a delinquere) che Matteo Salvini ha profuso nei confronti di Elsa Fornero; malgrado il suo solenne impegno ad eliminare quella riforma non appena fosse andato al governo, cosa avvenuta più volte e in posizione apicale, il sistema frutto della riforma è ancora lì, con marginali ritocchi. Di recente però sono emerse nei dibattiti alcune diverse ipotesi che potrebbero essere insidiose.
Se Meloni e Giorgetti non vogliono ricadere all’indietro, stiano molto attenti. Vari Paesi europei, non solo la Francia, rischiano squilibri importanti di finanza pubblica perché hanno sistemi pensionistici incompatibili con la dinamica demografica (problema dal quale non sarà immune la stessa Italia, malgrado la riforma effettuata). Non si mettano nelle condizioni di dovere poi correre ai ripari. Tanto più che a quel punto, l’impopolarità colpirebbe loro, anziché restare per sempre sulle spalle di Elsa Fornero e del suo premier.
Premierato. L’Italia ha superato la crisi del 2011 perché il presidente della Repubblica Napolitano è riuscito a varare un governo di unità nazionale (premier Monti, ndr) che ha potuto ottenere in Parlamento e nel Paese un appoggio larghissimo di fronte all’emergenza.
Questo non riesce oggi al presidente francese Macron, perché in quella repubblica il capo di Stato e capo del potere esecutivo non può essere una figura al di sopra delle parti. È eletto direttamente dal popolo, guida una parte politica, non ha titolo per fare appello alle altre parti politiche, che he sconfitto alle elezioni e che gli fanno opposizione in Parlamento e nel Paese.
giorgia meloni luciano violante convegno sul premierato
Con il premierato auspicato nella riforma Meloni il capo del potere esecutivo, il premier, sarebbe eletto direttamente dal popolo. Sarebbe il capo della maggioranza, l’opposizione difficilmente accoglierebbe suoi appelli all’unità nazionale in momenti di emergenza.
E il presidente della Repubblica, con quella riforma, non avrebbe né il potere istituzionale, né l’autorità morale per nominare un premier per l’emergenza. E ciò anche nel caso paradossale in cui il premier eletto dal popolo, ove non riuscisse a superare un’emergenza, chiedesse al presidente di nominare lui una figura accettata da tutti.
Con i tempi ai quali andiamo incontro, situazioni di emergenza in tempo di pace — non parliamo di tempo di guerra — potranno presentarsi. Abbiamo una Costituzione che consente di affrontare tali emergenze e ne ha dato prova più volte. La premier Meloni farebbe bene a ripensare alla sua riforma.
DUCE DETTO DUCE - VIGNETTA BY ELLEKAPPA
Così come, prospettandosi quei tempi, sarebbe auspicabile che nello stile di governo e nel modo di parlare al Paese non adottasse toni che sembrano voler approfondire il solco tra la sua maggioranza e il resto del parlamento e del Paese. Cosa ancora più inopportuna se un premier si sente guida di una Nazione, e non semplicemente di un Paese.
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giorgio napolitano mario monti
Mario Monti e Giuliano Amato
FRANCOIS HOLLANDE E MARIO MONTI jpeg
MARIO MONTI CON IL CANE ALLE INVASIONI BARBARICHE
MARIO MONTI APPRENDISTA STREGONE
MARIO MONTI A BERGAMO
VOLANTINO DI FRATELLI D'ITALIA SUL PREMIERATO
MARIO MONTI CON IL SUO PETTINE
BRUNO VESPA IN DIFESA DEL PREMIERATO
mario monti john elkann