LO SCAZZO AL SANGUE MATTEUCCIO-ENRICHETTO – RENZI: ‘’FATTI DA PARTE E RICEVERAI TUTTI GLI ONORI” (ESTERI O COMMISSIONE EUROPEA) – RISPOSTA LETTA: “QUESTE TRATTATIVE SOTTOBANCO QUALIFICANO LA MORALITÀ DI CHI LE PROPONE”

Goffredo De Marchis per ‘La Repubblica'

L'arrivo in treno, la Smart, il leggero ritardo sono le note di colore. Matteo Renzi, appena entra nello studio di Enrico Letta al primo piano di Palazzo Chigi, va dritto al punto e mette sul piatto il prendere o lasciare che è una cifra del suo modo di agire.

«La tua esperienza al governo è finita. Ho la processione di personalità, forze sociali, categorie che mi dicono che così non si può andare avanti. Lo sai anche tu. Fatti da parte e riceverai tutti gli onori». Il premier lo guarda, ascolta, non replica. Lo lascia continuare. «Il Pd dirà che hai svolto un buon lavoro, che il momento era di merda, che è stato fatto il possibile ma è arrivato il tempo di una nuova fase».

È l'exit strategy che il segretario del Pd offre al presidente del Consiglio del Pd. Una guerra fratricida, si conclude, nelle intenzioni del sindaco, con una resa infiocchettata. Il fiocco è l'offerta di un posto al governo. Che c'è stata, chiara e forte, in quella stanza della sede del governo. E ha fatto imbestialire Letta, tanto da suggerirgli la battuta più tagliente del faccia a faccia: «Queste trattative sottobanco qualificano la moralità di chi le propone».

L'uscita soft proposta dal segretario si connota così: ministro degli Esteri o un posto garantito nella commissione europea che sarà rinnovata dopo le elezioni continentali. Oppure entrambi gli incarichi: prima la Farnesina, poi l'"esilio" a Bruxelles. Ma Letta si sente ancora in sella. Fa capire di essere pronto a sfidare il Pd e la sua maggioranza, a celebrare la conferenza stampa di presentazione del programma per i prossimi anni. «Io sono qui per servire il Paese, l'ho sempre detto. E sono stato votato dal Parlamento.

Certo, non per rimanere a ogni costo». Sono le parole che fanno dire a Renzi, rientrando a Largo del Nazareno, «è andata così così». È chiaro che Letta non intende cedere senza un passaggio ufficiale, che sia del partito o delle Camere. Non vuole dimettersi come gli sta chiedendo Renzi annunciandogli «il capolinea». Il trauma dev'esserci, il sangue deve scorrere.

Qui le versione divergono. Letta racconta di un confronto a muso duro perché, come racconta a un amico, «non pensavo che Matteo fosse così spregiudicato, che potesse spezzare un patto concordato con il Quirinale per far durare l'esecutivo fino al 2015». Renzi affronta il tema del Quirinale anche durante il faccia a faccia. «Tu sai Enrico cosa pensa il capo dello Stato. "Se è il Pd a dire che è arrivato il momento di cambiare, che devo fare io?"». Letta tace e ascolta.

La versione del sindaco è diversa. Il premier non avrebbe mostrato i muscoli a viso aperto. Anzi, avrebbe ascoltato con attenzione gli argomenti a favore di un addio anticipato da Palazzo Chigi. Per questo il segretario scorre i siti e le agenzie e si sfoga appena torna al partito. Lo indispettisce la descrizione di un incontro di fuoco. Soprattutto per l'annuncio (che però è una conferma) della presentazione di "Impegno Italia", il patto di coalizione, che viene fissato per il pomeriggio.

«Non me l'aveva detto che sarebbe andato avanti». La verità è che il segretario si aspettava una pausa riflessione e le dimissioni del premier, formalizzate già ieri sera a Napolitano dopo il suo ritorno dal Portogallo. Dario Franceschini gliel'aveva garantito: «Vedrai che Enrico si fermerà un attimo prima e non andrà fino in fondo». Renzi però esce dal vertice di Palazzo Chigi non proprio convinto che finirà così. Risale sulla Smart del deputato Ernesto Carbone e riunisce il gabinetto di guerra a Largo del Nazareno.

Un gabinetto che si attende una mossa del premier da un momento all'altro, ma nel quale Renzi è il più prudente. «Se vuoi lo scontro frontale allora si può anche andare a votare. È una soluzione, stiamo attenti», è una parte del discorso fatto nello studio di Palazzo Chigi. Certo, c'è anche quella terza via. Non la vuole il Colle, non la vuole il Pd, non la vogliono i parlamentari di tutte le forze politiche, ma come escluderla?

Tutto dice che il gelo assoluto, durato ben tre settimane senza telefonate, senza sms, è stato rotto solo per una parentesi di 60 minuti, in cui «ognuno è rimasto sulle sue posizioni». In pratica, è andata così: Letta seduto forse per una delle ultime volte sulla poltrona da premier e di fronte a lui il Rottamatore pronto a incassare le terze dimissioni dopo quelle di Cuperlo e Fassina e a sedersi al posto di "Enrico".

Un gelo esteso alle diplomazie, se alla fine il premier va davvero in conferenza stampa e si propone per i prossimi anni alla guida dell'esecutivo. Anche Renzi dice di fermare le macchine. «Aspettiamo le sue mosse - comunica all'ora di pranzo - . È gravissimo che sia lui a far scorrere il sangue parlando di colloquio andato male quando gli aveva offerto l'onore delle armi. Gravissimo perché io sono il segretario del Pd, ovvero del partito che è anche il suo e che praticamente tiene in piedi la baracca del governo da solo». Ma il sangue scorre da giorni, difficile fermarlo in un'oretta scarsa.

 

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