SENTITE CHE CORETTO DI CROCE & COMPASSO! - SE IL PAPA “SI DISPIACE” PER LE DIMISSIONI DI MONTI, IL CARDINAL BAGNASCO DIVENTA PROPRIO VENTRILOQUO DEL PREMIER: “NON SI POSSONO MANDARE IN MALORA I SACRIFICI DEI CITTADINI. LA GRAVITÀ DELLA SITUAZIONE RICHIEDE DI CONTINUARE A CONCENTRARSI SULL’ECONOMIA” - IL PREMIER HA SENTITO IERI TUTTE LE CANCELLERIE EUROPEE, CHE SPERANO “VADA ANCORA AVANTI”…

1 - IL DISPIACERE DEL PAPA "DAVVERO SI È DIMESSO?"
Marco Ansaldo per "la Repubblica" - «Wirklich?». Davvero? Il Papa tedesco ha manifestato dispiacere nell'apprendere la scelta di Mario Monti di concludere la sua esperienza di premier. Benedetto XVI è rimasto colpito dalla decisione, ma ne ha infine compreso i motivi. Tra l'Appartamento e la Presidenza del Consiglio sono intercorsi colloqui, e lo stesso ufficio del segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, ha avuto contatti con esponenti del governo. Nel contesto il Vaticano ha valutato il ruolo di Silvio Berlusconi.

Joseph Ratzinger, il cui asse con il capo del governo è stato fin dall'inizio molto forte, ha poi scelto di non toccare pubblicamente l'argomento della crisi politica. E all'Angelus ha fatto solo un riferimento alla sobrietà, tratto distintivo del governo Monti, commentando il Vangelo su Giovanni Battista: «Occorre vivere - ha detto - in maniera essenziale». Il Papa continua a seguire gli sviluppi con grande attenzione. Oggi il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, rientrato da Genova («l'Italia ha bisogno di speranza», ha detto nell'omelia), valuterà la situazione all'interno della Conferenza episcopale e con i principali collaboratori.

2 - BAGNASCO: «NON SI POSSONO MANDARE IN MALORA TUTTI I SACRIFICI FATTI DAI CITTADINI»...
Gian Guido Vecchi per il "Corriere della Sera"

Bagnasco: irresponsabile chi pensa a sistemarsi mentre la casa brucia
«Non si può mandare alla malora i sacrifici di un anno». Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, è preoccupato e certo non lo nasconde. L'arcivescovo di Genova è appena tornato da un battesimo. Nella lettera di Natale ai bambini della sua diocesi ha scritto: «La vita vera si realizza quando si ama molto». Più che mai di questi tempi, si tratta anche di «amare il nostro Paese», ha ripetuto più volte.

Eminenza, tra crisi economica e politica il Paese vive ore drammatiche. Qual è in questo momento la preoccupazione più grande della Chiesa italiana?
«La preoccupazione più grande è la tenuta del nostro Paese e quindi la coesione sociale. Fino a quando ce la farà l'Italia? Un anno fa il problema era di metterla in sicurezza dentro una crisi di sistema che era stata sottovalutata per troppo tempo e di fronte a una classe politica incapace di riforme effettive, spesso solo annunciate. Nel frattempo il governo tecnico ha messo al riparo da capitolazioni umilianti e altamente rischiose.

Non si può mandare in malora i sacrifici di un anno, che sono ricaduti spesso sulle fasce più fragili. Ciò che lascia sbigottiti è l'irresponsabilità di quanti pensano a sistemarsi mentre la casa sta ancora bruciando. E si conferma la radice di una crisi che non è solo economica e sociale, ma culturale e morale. Per troppo tempo i partiti sono stati incapaci di pervenire a decisioni difficili e a parlare il linguaggio della franchezza e non quello della facile demagogia».

Come valuta la scelta del premier Mario Monti di lasciare dopo l'approvazione della legge di Stabilità?
«La chiusura anticipata della legislatura è sempre un segnale negativo per la politica e per un Paese. Nello specifico, piuttosto che galleggiare è meglio un atto coraggioso. Era una decisione, forse, inevitabile. Ma i grandi sacrifici che sono stati richiesti hanno il diritto di vedere frutti concreti, oltre ad avere permesso di non cadere nel baratro del fallimento del sistema-Paese. Inoltre è saggio tenere in seria considerazione l'autorevolezza che l'Italia ha acquisito in campo europeo e internazionale».

«Ora sono più libero», ha detto Monti. Crede che possa giocare ancora un ruolo di servizio al Paese?
«Il governo Monti è stato fin qui sostenuto da forze trasversali a motivo della gravità eccezionale dell'ora. Il momento presente richiede di continuare a concentrarsi sui problemi prioritari dell'economia, sul modo di affrontare la drammatica questione del lavoro e sulla lotta alla corruzione. Da questo punto di vista, sarebbe un errore in futuro non avvalersi di chi ha contribuito in modo rigoroso e competente alla credibilità del nostro Paese in campo europeo e internazionale evitando di scivolare verso situazioni irreparabili».

Ma, per ridare sviluppo al Paese, quali sono le prospettive da privilegiare?
«A mio parere, c'è una condizione di partenza di cui tener conto per non vivere fuori dalla storia. Mi riferisco all'Europa. Pur condividendo l'impressione che sia stata data per scontata la sua identità, tralasciando di valorizzarne le sue coordinate culturali e spirituali, resta vero che non è pensabile di tirarsi fuori dall'area di riferimento economica e finanziaria del nostro Paese, pena un isolamento autolesionistico. Occorre mettere in conto di interagire con il Continente che il nostro Paese ha contribuito a consolidare».

E quindi?
«Fatta questa doverosa premessa geopolitica, penso che giovani e famiglia siano due prospettive da assecondare con maggiore convinzione. Sono profondamente persuaso che i giovani siano in grado di dare una spinta decisiva al cambio di passo richiesto in questa fase. La famiglia poi è decisiva come sempre. Nella difficile congiuntura l'unico ammortizzatore umano e sociale garantito pressoché a tutti si è rivelata la famiglia. E così ha trovato conferma il rilievo strategico di un'esperienza che non sopporta riduzioni o travisamenti e che in una società liquida e sfilacciata riesce a imporsi come una garanzia di solidarietà e di responsabilità».

Durante il pellegrinaggio alla Madonna della Guardia, a fine agosto, lei disse: «È necessario stringere i ranghi dell'amore al Paese». E ha insistito più volte sulla necessità di «rinnovare i partiti, tutti i partiti». Nel frattempo ci sono state le primarie del centrosinistra con la vittoria di Bersani e Berlusconi ha deciso di ricandidarsi. A che punto siamo, quattro mesi dopo?
«Il vento gelido dell'antipolitica, comunque si esprima, non va sottovalutato. Non si tratta di un atteggiamento momentaneo e solo umorale che si supera in virtù di formule ad effetto, grazie a cosmesi solo esterne. La richiesta corale di riforma della politica, pur essendo un processo complesso, richiede inevitabilmente anche la riforma dei partiti e del personale politico. Ma anche di riformare la macchinosità dello Stato.

Partecipare alla vita politica del Paese esige una dignità reale e la capacità di decidere con lungimiranza quale è il vero bene di tutti, a cominciare dai più deboli. Non si tratta di trascurare delle categorie ma di garantire e promuovere le diverse articolazioni della società in un circolo virtuoso per cui tutti possano crescere. Naturalmente partecipare significa anche poter scegliere i propri rappresentanti».

Quanto possono sentirsi rappresentati, i cattolici, in questo quadro? C'è un vuoto di rappresentanza dei moderati?
«Il fermento nelle file del laicato cattolico per un impegno a favore di una buona politica ha registrato in questi ultimi mesi una significativa accelerazione. D'altra parte pensare alla transizione del nostro Paese a prescindere dalle sue radici cristiane appare un'operazione antistorica, puntualmente contraddetta dall'esperienza di tanti che sperimentano la prossimità dei servizi sociali della Chiesa, sparsi capillarmente ovunque.

Il cristianesimo sa di essere esperienza non di regresso, ma propulsiva, una forza di moderazione e di continuo rinnovamento, capace di proporre modelli di vita in cui l'esasperazione del consumismo e del liberalismo è superata in vista di uno sviluppo più solidale ed equilibrato. Ne consegue una visione più rispettosa della dignità della persona, in tutti i suoi valori fondamentali che costituiscono il patrimonio del nostro Paese. Sono convinto che, come in una famiglia, le difficoltà possano sprigionare energie nuove così da superare prove ed errori e aprire una stagione migliore per l'Italia».


3 - MONTI E L'IDEA DI SCENDERE IN CAMPO PER NON VANIFICARE GLI SFORZI DEL PAESE...
Roberto Zuccolini per il "Corriere della Sera"

Per quanto può essere serena una giornata che viene dopo l'annuncio di dimissioni da presidente del Consiglio, per Mario Monti ieri è stata una giornata tranquilla. Domenica «tradizionale», nella sua Milano, alla messa nella chiesa di San Pietro in Sala con la moglie Elsa, con la gente che lo osserva mentre passeggia e prende un caffè, con un cittadino che lo contesta, ma con un nutrito gruppo di altri che invece fanno il tifo per lui e gli gridano «vai avanti».

Lui sorride, ma non risponde a quell'invito. Non lo farà almeno per qualche giorno. Vuole prendersi un po' di tempo per riflettere, non ha ancora deciso di scendere in campo. Certo, sa bene che a questo punto non si tratta più di mesi, ma solo di ore, il tempo di approvare la legge di Stabilità, tanto che il presidente Napolitano ha già fissato le sue «valutazioni» fra una settimana appena. Non c'è nulla di scontato.

Ma se sceglierà di farlo, assicura a chi lo ascolta in queste ore, sarà solo «per non dilapidare il tesoro» di iniziative e di cultura politica messo da parte in un anno di governo. E per non danneggiare «i cittadini che in tutti questi mesi hanno fatto sacrifici», gli stessi che, una volta cominciata la ripresa, vorranno giustamente «incassare i dividendi». Prospettiva che svanirebbe rapidamente se prevalessero populismi di varia natura e marce indietro rispetto all'integrazione europea, al risanamento dei conti e dell'economia.

Non c'è del resto, nelle preoccupazioni del presidente del Consiglio, la paura che la scelta di dimettersi, annunciata sabato, possa avere creato problemi al lavoro che il Parlamento sta facendo sulla legge di Stabilità. Anzi, ne è convinto, senza sarebbe stato peggio: viste le difficoltà nate dalle non poche correzioni al testo del governo - che considera frutto della campagna elettorale già di fatto avviata - l'annuncio accelera al contrario la marcia del provvedimento e comporta, di conseguenza, una sua maggiore blindatura.

Certo, le preoccupazioni restano sul fronte dei mercati e dello spread che questa mattina ricominceranno a ballare. Ma Monti spera che la giornata «cuscinetto» di ieri e le rassicurazioni che comunque tutti i partiti, compreso il Pdl, a questo punto sono stati costretti a dare sulla pronta approvazione della legge di Stabilità, serviranno a frenare le speculazioni. E, soprattutto, il Professore è contento di come ha reagito la stampa internazionale (ma nel complesso anche quella italiana) alla notizia delle sue dimissioni, quasi un coro di complimenti per il lavoro fatto in un anno, misto a preoccupazione per il futuro dell'Italia se dovesse mancare la sua guida.

A confermare la volontà dell'Italia di andare avanti con le riforme avviate sono servite alcune telefonate fatte (o ricevute) ieri con i partner europei, gran parte dei quali vedrà oggi ad Oslo in occasione della cerimonia per il premio Nobel all'Europa, a cominciare dal presidente francese Hollande e dalla cancelliera tedesca Merkel. Colloqui che saranno preziosi anche in vista dell'importante consiglio europeo sull'unione bancaria di giovedì e venerdì.

Per Monti sarà quindi una settimana di intenso lavoro sul fronte dell'Europa e su quello interno, per capire se oltre alla legge di Stabilità potrà passare anche qualcos'altro, almeno il decreto sull'Ilva. Ma poi, tra il 17 e il 21 dicembre, i giochi dovrebbero essere fatti aprendo la strada allo scioglimento delle Camere e alle dimissioni da Palazzo Chigi.

Ovviamente secondo un calendario concordato con il Quirinale fino alle elezioni, probabilmente nella seconda metà di febbraio. È in quei giorni, a ridosso di Natale, che Monti potrebbe sciogliere la sua riserva e far sapere se ha davvero intenzione di guidare, nelle forme che sceglierà, un'aggregazione centrista e determinare una novità di rilievo nel panorama politico italiano, dominato per vent'anni da uno schema bipolare.

Per il 21 dicembre Palazzo Chigi aveva già fissato la tradizionale conferenza stampa di fine anno, ma ovviamente l'appuntamento potrebbe slittare a dopo Natale se i giochi fossero ancora aperti e le decisioni da prendere ancora in sospeso. Nel frattempo Monti osserverà da vicino le ultime mosse dei partiti in Parlamento, il loro comportamento sulla legge di Stabilità e le dichiarazioni dei loro leader. A tutto campo.

Perché se è vero che a scatenare la decisione di dimettersi è stato soprattutto il discorso di Angelino Alfano nell'aula di Montecitorio, anche i propositi di Pier Luigi Bersani che vuole «ritoccare» l'agenda Monti e che ha come alleato un Vendola che non ha mai nascosto di esserne nemico, non possono che essere visti con apprensione nella logica del «tesoro da salvare» a vantaggio dei cittadini «che in questo anno hanno fatto sacrifici».

 

 

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