RI-ARMARE LA SIRIA PER FARE LA PACE: UN PIANO GENIALE CHE NON STA FUNZIONANDO - NEGOZIATI AL COLLASSO

Francesca Paci per "la Stampa"

Dopo due anni di guerra, milioni di profughi e oltre 90 mila vittime, saranno i temibili missili russi S-300 a determinare le sorti della crisi siriana allargata? Il presidente Bashar Assad rivela alla tv filo Hezbollah «al Manar» di averne già ricevuto una parte e, sebbene Mosca smentisca la prima consegna della fornitura da 900 milioni di dollari concordata con Damasco nel 2010, Israele torna a ripetere che non aspetterà con le mani in mano la blindatura dei cieli nemici.

Mentre le fioche speranze nella conferenza di pace Ginevra 2 si affidano all'incontro preliminare del 5 giugno tra mediatori americani, russi e inviati Onu (forse Brahimi), lo scenario regionale resta complesso. Gli esperti militari notano che seppure Damasco avesse le nuove batterie e i radar, necessiterebbe di almeno sei mesi per attivarli, un tempo sufficiente a Israele per intervenire elettronicamente.

È probabile dunque che, al di là della promessa di Assad di «rispondere immediatamente a un altro raid israeliano», l'escalation su questo fronte resti verbale, anche perché già nel 2010 Israele persuase il Cremlino a sospendere la vendita di S-300 all'Iran offrendogli in cambio sofisticati droni da usare nel confronto con la rivale Georgia. Ma le ragioni di ottimismo si fermano qui.

Con o senza gli S-300 la soluzione, discussa anche ieri a Roma dal ministro degli Esteri italiano Bonino e dal leader della Lega Araba al-Araby, appare lontana. La Coalizione nazionale siriana, il principale cartello delle opposizioni dominato dai Fratelli Musulmani (e dalla diaspora) e ai ferri corti tanto con i liberali quanto con i ribelli armati, rifiuta di contribuire a Ginevra 2 a meno che Assad non se ne vada e i 7 mila miliziani di Hezbollah (4 mila secondo Parigi) non smettano di combattere al fianco di Damasco (in particolare a Qusayr, la Misurata siriana, sotto assedio da due settimane e con mille feriti in attesa di un corridoio umanitario).

Condizioni giudicate «inaccettabili» da Mosca che insiste nella partecipazione di Teheran (per ora invitata «solo verbalmente») e considera un ostacolo alla pace anche la vaga apertura americana a un'ipotetica no-fly zone.

La via politica alla crisi è bersagliata dal tiro incrociato di diversi avversari (nell'Iraq diviso tra il governo sciita e la maggioranza sunnita gli scontri settari si sono moltiplicati uccidendo 712 persone solo ad aprile).

Assad afferma ad «al Manar» che sarà a Ginevra 2 e accusa Qatar, Turchia e Arabia Saudita di avergli mandato contro «100 mila uomini armati, arabi e stranieri», quelli sì, a suo dire, agenti del caos, diversamente dai libanesi di Hezbollah che sarebbero invece «organici alla Siria» (come probabilmente gli iraniani) perché il nemico comune è Israele. E avverte: «L'incendio può propagarsi al Libano».

Ma tra gli oppositori le ombre non sono meno cupe. Oltre al rapporto dell'Onu secondo cui gran parte dei ribelli non sarebbe affatto democratica, c'è la polizia di Ankara che alla frontiera siriana avrebbe arrestato 12 miliziani di al Nusra, i qaedisti in campo contro Damasco, con due chili di Sarin, la potente arma chimica utilizzata a detta di Francia, Regno Unito e Turchia dalle truppe lealiste. Una miccia nelle mani di Erdogan ma anche della comunità internazionale.

 

 

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