“NEL GOVERNO SI SEGNALANO UN'AGITAZIONE E UNA CONFUSIONE OLTRE OGNI IMMAGINAZIONE” – SORGI COMMENTA LA SCELTA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DI RIMANDARE A GENNAIO LA DECISIONE SULLA DATA DEL REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA (SU CUI HANNO PESATO I DUBBI DEL COLLE): “NON POTENDO O VOLENDO TRASCINARE I CITTADINI ALLE URNE A PASQUA, O POCO PRIMA, SI FINIRÀ CON IL VOTARE DOPO" - "S'È DIFFUSA LA CONVINZIONE CHE CHI VINCE IL REFERENDUM VINCERÀ POI LE SUCCESSIVE ELEZIONI POLITICHE DEL 2027. DI QUI LA GRANDE AGITAZIONE DELL'ESECUTIVO…”
Marcello Sorgi per “La Stampa” - Estratti
Il rinvio della decisione sulla data del referendum, ieri in consiglio dei ministri, dopo un evidente affannarsi del centrodestra per anticiparla il più possibile, segnala un'agitazione e una confusione in seno al governo oltre ogni immaginazione.
Essendo il referendum un momento di solenne democrazia, in cui la volontà popolare viene messa a confronto con quella politico-parlamentare, e ha il potere di contraddirla o cancellarla, limitare o impedire la raccolta delle firme per la consultazione sulla riforma della separazione delle carriere dei giudici, non si può.
Neppure se la consultazione è stata già chiesta dal governo, che si sentiva sicuro dell'appoggio di cui gode tra gli elettori, ma poi appunto, alla prova dei fatti, cercando di accorciare i tempi, ha dato via via la sensazione di sentirsi un po' meno sicuro, pur avendo i sondaggi a favore.
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La ragione per cui Meloni e i suoi consiglieri hanno pensato di anticipare al massimo le urne referendarie, a gennaio, febbraio, massimo marzo, ma non più avanti, è la solita: l'illusione che il governo in fondo possa fare ciò che vuole, che finisce sempre a cozzare con le norme che valgono per tutti, esecutivo compreso.
Ragione per cui, non potendo o volendo trascinare i cittadini alle urne a Pasqua, o poco prima, si finirà con il votare dopo, più o meno com'è sempre avvenuto. E c'è poco da investire della questione fior di giuristi, come quelli che hanno scritto le riforme istituzionali che il governo o ha accantonato (premierato), o s'è visto bucherellare dalla Corte costituzionale (autonomia differenziata), tanto da renderle inservibili e da riscrivere da capo.
Questa delle carriere separate, che deve ancora passare al vaglio della Consulta, ma prima ancora del voto popolare, è la sola sopravvissuta. E dovendosi votare nel 2026, s'è diffusa la convinzione – senza alcun raziocinio che lo confermi – che chi vince il referendum vincerà poi le successive elezioni politiche del 2027. Di qui la grande agitazione, del governo in primis. E la conseguente confusione.
STOP AL BLITZ DEL GOVERNO SUL REFERENDUM
Gabriella Cerami per repubblica.it – Estratti
ALFREDO MANTOVANO. - GIORGIA MELONI - CARLO NORDIO - MATTEO PIANTEDOSI - FOTO LAPRESSE
A palazzo Chigi la chiamano "operazione appeasement".
Le acque iniziavano ad essere troppo agitate e sempre più duro veniva percepito lo scontro tra maggioranza e opposizione attorno alla data del referendum sulla riforma della giustizia.
Così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha capito che era il caso di intervenire e di fare, almeno, un mezzo passo indietro anche per il timore di eventuali ricorsi da parte di chi sta raccogliendo le firme per presentare una nuova richiesta di referendum. Circostanza che anche il Colle ha invitato a non sottovalutare.
giorgia meloni e sergio mattarella - consiglio supremo della difesa
Il braccio destro di Giorgia Meloni, ieri, è entrato in contatto con le opposizioni. In particolare ha sentito al telefono la segretaria del Pd, Elly Schlein e il presidente 5S Giuseppe Conte, per trovare una mediazione. Poi in una riunione con la premier e con i consiglieri giuridici si è deciso di non forzare i tempi.
Il blitz del governo è dunque sfumato, l'accelerazione che puntava all'1 e 2 marzo anche, ed è per questo che ieri il Consiglio dei ministri non ha emanato il decreto con la data del referendum, che con ogni probabilità sarà il 22 e 23 marzo.
Una data che comunque non piace al campo largo che chiede di attendere i novanta giorni previsti dalla legge prima di annunciare la data referendaria, così da dare la possibilità a chi sta raccogliendo le firme di depositare la richiesta.
Per votare il 22 marzo, il Cdm può riunirsi entro il 30 gennaio, giorno in cui tra l'altro scadono i 90 giorni, e firmare il decreto fissando la data cinquanta giorni dopo (la legge prevede tra i 50 e 70 giorni successivi l'emanazione del decreto). I conti di palazzo Chigi sono questi. «Ne riparliamo a inizio gennaio», ha detto il vicepremier azzurro Antonio Tajani sostenendo che siano sufficienti i 60 giorni dall'approvazione del quesito da parte della Cassazione per stabilire la data del voto senza dover aspettare nuove richieste di referendum.
carlo nordio matteo piantedosi giorgia meloni – foto lapresse
In realtà ad aver avuto un peso determinante è stata invece la nuova raccolta firme avviata da 15 cittadini e sostenuta dal campo largo. In una settimana sono state raccolte quasi centomila sottoscrizioni così l'obiettivo delle 500 mila firme entro il 30 gennaio potrebbe anche essere alla portata.
Ragion per cui il Quirinale, nelle consuete interlocuzioni con il governo, si è limitato a far presente che, se si votasse i primi di marzo, potrebbero maturare dei ricorsi. La maggioranza ha fatto propri questi dubbi considerandoli fondati.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha sempre sostenuto che fosse importante votare il prima possibile per evitare che la consultazione possa essere percepita con il passare del tempo non più come battaglia nel merito, ma come uno scontro politico. Alla fine l'orientamento è quello di evitare forzature, senza però rimandare troppo.
SERGIO MATTARELLA GIORGIA MELONI
«Aprile, come chiede l'opposizione, sarebbe troppo tardi», è il ragionamento del forzista Enrico Costa: «Si rischierebbe di non fare in tempo con l'approvazione dei decreti attuativi e se così fosse il Csm verrebbe eletto con la vecchia legge».
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